Da qualche giorno, tutti a strombazzare ai quattro venti del gran successo ottenuto dall’Italia: la Commissione Europea ha decretato l’uscita del nostro Paese dalla temutissima “procedura d’infrazione” per deficit eccessivo alla quale eravamo sottoposti. In sostanza, abbiamo rispettato nel 2012 il magico limite del 3% di deficit sul PIL, ciò che serve a riabilitarci agli occhi del mondo.
Bene, bravi, bis? Niente affatto. Sugli stessi giornali che riportano le dichiarazioni entusiastiche dei nostri politici ed economisti, fa capolino un’altra notizia: dall’inizio dell’anno 6.350 aziende sono fallite, soprattutto a Nord, nella parte manifatturiera del Paese. In ginocchio, in particolare, le imprese edili.
Le due notizie possono apparire prive di collegamento, ma non è così. Al contrario. Per conseguire l’obiettivo “contabile” di restare sotto al 3%, abbiamo in sostanza dovuto congelare tutti (o quasi) i programmi di investimento in opere pubbliche. E non solo: anche i pagamenti alle imprese che avevano già eseguito lavori o forniture sono stati bloccati. Fino ad arrivare ad un paradosso che ripugna a qualsiasi logica: ci sono enti locali “virtuosi” che dispongono complessivamente di almeno 14 miliardi per pagare i loro fornitori e non li possono spendere!
Il rispetto della regola contabile non è altro che una vittoria di Pirro. Oggi alziamo una bandiera sopra un bel mucchio di macerie. Una vittoria, una vera vittoria dell’intelligenza sull’ottusità, sarebbe stata quella di ottenere che la “spesa per investimenti” venisse distinta dalla “spesa pubblica corrente” e non computata ai fini della soglia del 3%. Come da sempre fanno le aziende, che mai si sognerebbero di mettere un investimento tra i costi nel conto economico. Ancora una volta, facciamo finta di non saperlo e ci prendiamo questa pacca sulla spalla dai partner europei. Ma almeno ci vengano risparmiate le manifestazioni di giubilo.
3 comments
filippo guidantoni says:
Mag 30, 2013
concordo ma chiedo a Francesco: la chiusura di questa “procedura” non è proprio il via libera per sbloccare i pagamenti da parte della PA?
Per quanto concerne le aziende che hanno chiuso il problema è di sistema: incentivi, accesso al credito, fiducia, consumi.
Io partirei dal credito, le banche non hanno soldi perchè hanno troppi problemi da sanare, qui è il cuore del problema.
L’edilizia infatti è totalmente dipendente dal credito, sia lato costruttore che lato compratore.
Francesco Presutto says:
Mag 30, 2013
Giusto Filippo, con la chiusura di questa procedura le Pubbliche Amministrazioni potranno iniziare a saldare (parzialmente)i loro debiti. Molte aziende però sono morte (e con loro qualche imprenditore)in attesa che il Paese rientrasse nei limiti imposti, pur avendo le PA i soldi in cassa…
Concordo con te sulla necessità di intervenire sul sistema: al pari del ruolo delle banche metterei certezza delle regole e tutela dei crediti.
fabrizio sacchi says:
Mag 30, 2013
Non sono mai stato un eccellente studioso d’economia politica ma ricordo che J.M. Keynes divenne famoso per aver proposto la ricetta che avrebbe portato gli Stati Uniti d’America fuori dalla crisi del ’33; una ricetta basata su un corposo piano d’investimenti pubblici infrastrutturali. Ben dice, allora, l’amico Francesco quando chiede di scorporare, dalla soglia del 3%, il debito contratto per gli investimenti poiché questo è l’unico possibile volano di una futura crescita.