E’ una domanda che mi sento rivolgere sempre più spesso: cosa pensi dell’euro? L’Italia potrebbe trarre vantaggio da un ritorno alla lira? Ho deciso di prendere carta e penna e scrivere qualche pensiero, con tutto il rispetto che si deve ad un argomento complesso, sul quale anche i grandi economisti (Krugman in testa) hanno rivisto più volte le proprie posizioni. Mi concederete qualche riga in più del solito.
Partirei da qui: l’uscita unilaterale del nostro Paese dalla moneta unica (è questa la fattispecie che voglio affrontare) avrebbe una serie di conseguenze negative certe o almeno molto probabili. La prima è quella della “corsa agli sportelli”. Non appena la prospettiva dell’uscita dovesse diventare concreta, i cittadini cercherebbero di prelevare i risparmi in euro per trasferirli all’estero. Esattamente come è successo in Grecia e a Cipro, e come stava accadendo in Spagna (ed in parte anche da noi) alla fine del 2011. Il panico è facilmente prevedibile, così come lo sono le misure straordinarie di blocco dei conti correnti e della esportazione di valuta, necessarie a scongiurare il rischio di collasso del sistema bancario. In questo contesto, possiamo anche immaginare gli effetti devastanti sui mercati finanziari, dei quali abbiamo avuto soltanto un “assaggio” con il tracollo del secondo semestre 2011.
Seconda conseguenza: la nuova moneta nazionale subirebbe una immediata svalutazione rispetto all’euro ed alle altre valute forti (è prevedibile almeno un 30 / 40%). Essendo l’Italia un Paese fortemente importatore di materie prime, il cui prezzo è notoriamente espresso in dollari, è facile immaginare gli effetti che avremmo in termini di inflazione non solo sui beni importati, ma anche sui beni di produzione nazionale (che utilizzano comunque materie prime importate). Ricordo che l’inflazione si può considerare una vera e propria “tassa” che riduce il potere d’acquisto degli stipendi, che sarebbero ovviamente percepiti in lire. All’aumento dell’inflazione, (oltre che alla crisi di fiducia nel sistema Paese) farebbe immediato riscontro un aumento dei tassi di interesse, in particolare sui titoli del debito pubblico, dato che gli investitori ragionano in termini di rendimenti “reali” (cioè al netto dell’inflazione). Ovvie le ricadute, non solo per le casse dello Stato, ma anche per tutti coloro che detengono vecchi BTP collocati a rendimenti molto più bassi.
La terza conseguenza è forse meno evidente, ma altrettanto grave. Dai mutui sulla casa ai titoli del debito pubblico, tutti i debiti pregressi continuerebbero molto probabilmente ad essere espressi in euro. La questione è dibattuta, ma personalmente ritengo molto difficile che possano essere convertiti in lire: sia per questioni di tipo giuridico (i contratti non lo prevedono) sia perché una eventuale conversione sarebbe rovinosa per i creditori, ed in particolare per il sistema bancario. Quindi, nell’ipotesi che restino in euro, avremmo debitori (cittadini titolari di mutuo, Stato italiano) che incassano “lire svalutate” e devono pagare rate di debiti in euro: situazione spesso insostenibile, come la storia di tanti Paesi ha già dimostrato.
Ultima, delicatissima questione: l’uscita unilaterale di un Paese della moneta unica, in assenza di una procedura formalizzata, comporterebbe la istantanea rottura di una serie di trattati internazionali, oltre a contromisure di tipo commerciale e valutario da parte dei Paesi superstiti che non tarderebbero a manifestarsi. Dunque, sarebbe praticamente impossibile uscire dall’euro senza compromettere i rapporti con l’Unione europea. Per il progetto politico di integrazione sarebbe un colpo probabilmente letale, in virtù anche di un “effetto domino” facilmente prevedibile e del fiato che si darebbe alle fanfare secessioniste in tutta Europa.
Tutte queste implicazioni negative, certe o molto probabili, non sono negate (e non lo potrebbero ragionevolmente essere) nemmeno dai sostenitori dell’uscita del nostro Paese dalla moneta unica. I quali però contrappongono un argomento forte a favore del ritorno alla lira, che – nel loro pensiero – sarebbe tale da compensare ampiamente tutti gli svantaggi, ovvero: la svalutazione della moneta garantirebbe un rapido recupero di competitività alle nostre aziende, tale da indurre in breve tempo l’agognato aumento del PIL, un robusto attivo della bilancia commerciale con l’estero e la ripresa dell’occupazione. Insomma, in estrema sintesi si rispolvera la vecchia arma delle “svalutazioni competitive”: grazie alla svalutazione della moneta, supportata da una Banca centrale che torna sovrana, le nostre merci sarebbero più convenienti sui mercati internazionali e la nostra economia potrebbe finalmente tornare a crescere.
La tesi è tutt’altro che banale, ed in fondo qualcosa di simile stanno facendo proprio di questi tempi i governi di Giappone e Stati Uniti, inondando il mondo di liquidità. Ma il punto è: può funzionare alla lunga questo strumento? E’ giusto tentare di recuperare la competitività delle imprese e di un sistema industriale attraverso la leva della svalutazione della moneta, cioè attraverso i cambi e la finanza? Personalmente, non ne sono per niente convinto. La competitività, come ci insegna il “made in Italy” sempre apprezzato in tutto il mondo (nonostante l’euro) ha a che fare con ben altre capacità: qualità dei prodotti, creatività, servizio, flessibilità, e un sistema Paese che combatta al fianco delle imprese e non contro di loro, come avviene oggi. Ascoltiamo il pensiero degli imprenditori, che di competitività se ne intendono. Li frequento quotidianamente, e non ne sento uno che invochi il ritorno alla lira. Invocano piuttosto meno tasse, meno burocrazia, una giustizia che funzioni, la certezza del diritto, un costo del lavoro ragionevole, un mercato del lavoro flessibile. Ma non il ritorno alla lira.
In conclusione, mettendo sul piatto della bilancia i costi (gravi e certi) ed i benefici (incerti e di breve periodo) credo che la sintesi possa essere questa: non continuiamo a discutere di uscita dall’euro, alimentando incertezza sul nostro Paese e smarrimento nei cittadini. Concentriamoci sul punto essenziale: riformare l’Europa, dandole – quantomeno – un’unità politica ed economica degne di questo nome.
12 comments
zorro says:
Mag 27, 2013
…una bella analisi ..complimenti Davide. Il problema è che da piu’ parti stanno tirando la coperta in questa crisi economica trovando, chi piu’ chi meno, soluzioni estreme. Per la mia esperienza di analisi rischi aziendali, ho visto molti imprenditori “accantonare” i guadagni fatti (pochi o tanti che siano) o nel mattone, o in fondi oppure in evasione fiscale all’estero…. solo pochissimo è andato nella ricerca e sviluppo di servizi e prodotti innovativi !!! Il problema è di cultura di certi imprenditori. Una soluzione fantasiosa mi è venuta ieri : Se la BCE (tramite le Banche di Stato) acquistassero tutti (o parte) dei beni immobiliari delle aziende , contraccambiando in liquidi , si potrebbe avere una ventata di sana liquidità a disposizione degli imprenditori, che potrebbero risanare e ripensare a risollevare le loro imprese. E’ una soluzione … senza scomodare l’euro !!! Zorro
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david p says:
Mag 27, 2013
grazie Zorro. E’ vero ciò che dici a proposito della limitatezza delle risorse destinate alla ricerca e innovazione; c’è anche da dire che, di questi tempi specialmente, le risorse disponibili sono davvero scarse. Da questo punto di vista, credo gioverebbe una politica seria di incentivazione mirata.
Quanto alla proposta della cessione immobiliare, temo non sia facilmente realizzabile. Specialmente se consideriamo che molti immobili sono già posti a garanzia di finanziamenti. Ma anche che, inopinatamente, la Banca d’Italia non è di proprietà statale, ma delle banche private (Intesa, Unicredit, Generali e company), che già sono piene di immobili e stanno cercando di disfarsene per fare cassa.
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enrico says:
Mag 27, 2013
Non è stato valutato un altro aspetto che mi sembra di fondamentale importanza: uno degli ostacoli che momentaneamente impedisce la crescita del nostro Paese è l’elevato debito pubblico che nonostante tentiamo di ridurre, vedi le tasse applicate dal governo Monti, sta viaggiando verso il 130% del PIL. Se si passa nuovamente alla lira anche esso dovrà convertirsi nella nuova valuta e in caso di svalutazione anch’esso sarà svalutato. Una svalutazione della nuova lire dell’ordine del 30-40% potrebbe ridurre drasticamente il rapporto debito / PIL dall’attuale 129% ad un più gestibile 80-90% con un outlook positivo, in quanto il PIL tenderà ad aumentare, vuoi per l’incremento della produzione nazionale dovuta alla maggiore competitività rispetto a quella estera, vuoi per il solo fatto che almeno in una prima fase esso si troverà di fatto “sottovalutato” e tenderà a riassumere il suo prezzo reale, vuoi per il saldo positivo tra importazioni ed esportazioni.
Vero è che almeno in una prima fase saliranno anche gli interessi sul debito pubblico, ma tali interessi saliranno nella fase di svalutazione della moneta perché è ovvio che gli investitori tenderanno a liberarsi dei titoli, ma finita la fase della svalutazione acuta (5-9 mesi), stabilizzata la valuta anche i titoli tornerebbero ad interessi simili a quelli attuali.
La strada dell’uscita dall’euro non è da sottovalutare e a mio giudizio è preferibile rispetto a quella della semplice ristrutturazione del debito (modello Grecia) alla quale sarà chiamata tra qualche anno anche l’Italia se il rapporto deficit/PIL continuerà ad aumentare.
Saluti
Enrico
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david p says:
Mag 27, 2013
Osservazione stimolante Enrico. Ho accennato alla questione nella “terza conseguenza”. Personalmente, non sono affatto convinto che sarà possibile tout cort convertire il debito pubblico in lire, con un tratto di penna. La questione è molto delicata dal punto di vista giuridico, non essendo questa evenienza prevista dai contratti stipulati con i sottoscrittori. Considerato che una quota molto significativa del nostro debito pubblico è ancora in mani estere, ritengo anzi che sarà un’impotesi molto sgradita e che si innescherebbe un lungo e delicatissimo contenzioso dagli esiti incerti. Quello che invece si innescherebbe di certo è un sentimento di sfiducia verso il nostro Paese da parte degli investitori internazionali (ma credo anche nazionali), nel momento stesso in cui la sola ipotesi fosse ventilata.
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filippo guidantoni says:
Mag 29, 2013
tutti i punti evidenziati da DAVID P sono corretti poichè un’uscita dall’euro comporterebbe uno tsunami sul fronte svalutazione, aumento inflazione e tassi, etc…che non riusciremmo a gestire in questo momento.
Ormai ci teniamo la nostra moneta unica (che probabilmente in alcuni anni ci ha permesso comunque di non essere messi all’angolo con maggiore facilità) e ci dobbiamo concentrare sulla risoluzione dei problemi più concreti che servono al nostro Paese (e che per ora sembrano ancora molto lontani dall’essere affrontati in maniera efficace).
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igor leone says:
Mag 27, 2013
Complimenti davvero per questo articolo, con un argomento così complesso é difficile poter analizzarne tutti gli aspetti!
Sono assolutamente d’accordo con l’analisi e la conclusione, l’uscita dalla moneto unica é probabilmente l’ultima delle soluzioni che chiunque dovrebbe considerare.
Questo non vuol dire però che l’euro sia una buona cosa…
Sono stati messi i buoi davanti al carro legando paesi completamente diversi tramite un tasso di cambio fisso, senza avere una politica comune, che sia economica o fiscale.
Oggi però non si può tornare indietro, si può solo andare avanti: bisogna quindi decidere come la situazione deve evolvere.
Penso che l’unica vera soluzione sia oggi di integrarsi sempre di più, cercando di armonizzare politiche, soprattutto fiscali, tra tutti i paesi.
Per potersi integrare però, bisognerebbe stoppare la politica espansionistica dell’Europa: cerchiamo oggi di metterci d’accordo (cosa quasi impossibile in quanto ogni stato ha i propri interessi) senza aggiungere altre variabili che sono i nuovi Stati che vorrebbero far parte di questa “unione” atipica.
Altro punto di discussione é comunque il fatto che certi Stati hanno certamente un interesse molto più importante nella moneta unica (la Germania in primis) mentre altri ne stanno pagando le altissime conseguenze (Grecia, Portogallo, Spagna, in parte l’Italia).
Possiamo dire che questi stessi Stati ne hanno tratto molti vantaggi nei primi anni di esistenza, ma é giusto che le popolazioni paghino oggi l’altissimo prezzo della svalutazione interna perché non é possibile svalutare la moneta?
Se gli stessi che oggi pagano fossero quelli che hanno preso decisioni sbagliate all’inizio, probabilmente non ci porremmo nemmeno la domanda dell’uscita dall’Euro, ma visto che non é assolutamente il caso, la domanda resta lecita e la risposta sicuramente non univoca.
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david p says:
Mag 27, 2013
@grazie Igor. Per quanto riguarda le critiche al processo di costruzione dell’euro, sfondi una porta aperta. Di peggio non si poteva fare!
D’accordissimo anche per quanto riguarda la politica di espansione ad altri Paesi: d’altronde, in parte si sta stoppando da sola (Polonia e Bulgaria hanno già dichiarato che non vogliono più entrare), mentre per gli altri in attesa (Romania in testa) spero bene che non si ripeteranno le follie del passato.
L’ultimo punto è molto delicato. Una parte della responsabilità è certamente da ascrivere alla inadeguatezza della politica a livello europeo; ma una parte rilevante resta in capo al livello nazionale, in termini di riforme che alcuni Paesi hanno fatto (sopportandone i costi) ed altri non hanno fatto. In ogni caso, qualsiasi siano le responsabilità di questa angosciante situazione, credo valga sempre quanto hai giustamente detto all’inizio: oggi possiamo solo guardare avanti.
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lorella pozzi says:
Mag 28, 2013
Euro sì, perseguendo quegli effetti positivi/benefici per cui è stato introdotto.
Fu tutto politico l’errore del Paese Italia circa le condizioni supine d’ingresso, fu altrettanto politico l’errore di non intervenire seriamente e responsabilmente sul debito pubblico già all’inizio degli anni ’90. E’ vero che Amato tassò i patrimoni immobiliari attraverso l’ISI nel 1992 ed i depositi bancari con una patrimoniale ad hoc, introdusse l’ICI stabilmente ed altre tasse, imposte, valori etc ma dall’altra tutti i governi hanno continuato a spendere ed in alcuni casi senza badare a spese a danno di tutti i cittadini responsabili ed onesti.
Ora la situazione economica e finanziaria italiana è divenuta estremamente grave e critica e non bastano più i sacrifici dei “soliti”, occorre altro che solo l’attuale compagine politica ( anche se disprezziamo)può e deve avere il coraggio di fare. Certo è che sul versante Europa=Germania occorre che venga intrapreso un serio cammino per il rilancio economico e dell’occupazione e il nostro paese deve attivarsi per una parte da protagonista.
Temo tuttavia che dovremo ancora aspettare e..stringere i denti.
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david p says:
Mag 28, 2013
@Lorella, è vero, il cammino che ci attende non è breve. D’altronde, oltre alle supine condizioni d’ingresso ed al mancato intervento sulla spesa pubblica, aggiungo una lunga lista di riforme non fatte che hanno messo in ginocchio cittadini e aziende: dal fisco alla giustizia, dalla burocrazia al mercato del lavoro e così via. Queste cose vanno messe subito in cantiere, ma non è possibile farle in fretta e furia, altrimenti il rimedio rischia di essere peggiore del male (vedi riforma delle pensioni con il disastro degli esodati).
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adone paratore says:
Mag 29, 2013
Articolo molto centrato David. Senza ripetere cio’ che e’ stato gia’ detto mi soffermo sulla terza parte del tuo intervento: la competitivita’ non si recupera tramite svalutazione, ma operando in primis tramite qualità dei prodotti, creatività, servizi al cliente, riorganizzazione e ripensamento del modello aziendale delle PMI,meno burocrazia, etc come giustamente da te descritto. Un appunto magari solo su quanto affermato da Igor Leone sulle responsabilita’ degli Stati e uscita dall’euro: d’accordo che i criteri che si utilizzarono a suo tempo furono molto poco tecnici e molto piu’ politici, ma nulla toglie che proprio quegli Stati ( Grecia, Italia, Spagna, etc ) ebbero la loro parte di responsabilita’ nel volere fortissimamente l’entrata nell’Euro senza fare poi le riforme necessarie, anche solo “a posteriori”, di aggiustamento ai criteri posti dall’UE. Hanno purtroppo pagato il conto ..in ritardo e tutto in una sola volta. Ad ogni modo l’Euro, tuttosommato, ci conviene. Ottima analisi David.
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fabrizio sacchi says:
Mag 30, 2013
Il grande Altiero Spinelli aveva avuto, a mio avviso, una grande intuizione: l’Europa avrebbe dovuto avvalersi del meccanismo federativo per raggiungere i suoi scopi altrimenti non avrebbe avuto futuro. A mio avviso il problema è tutto qui poiché a questa unione, che nasce come mercato comune del carbone e dell’acciaio e, successivamente, come comunità economica a tutto tondo, manca il coordinamento politico necessario per fare di più e meglio. La Comunità ha ormai trovato il proprio limite che è quello di dover gestire le economie senza gestire la politica: questo, a certi livelli d’integrazione, è impossibile.
L’Europa deve avviarsi verso il modello della federazione di Stati se vuole poter gestire efficacemente le proprie economie, e non solo, altrimenti rimarrà una sommatoria di volontà separate potenzialmente conflittuali tra di loro.
Il principio della sussidiarietà ci soccorre per individuare i livelli di governo ovvero per capire cosa gestire al meglio a Bruxelles, a Roma e a Canicattì.
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david p says:
Giu 1, 2013
@ Fabrizio, intervento ineccepibile. Ti ringrazio per aver citato nel dibattito la grande figura di Altiero Spinelli, che nel lontano 1984 presentò il primo progetto di Stati Uniti d’Europa. Profetico.
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