Una svolta netta, non c’è che dire. La legge anticorruzione approvata alcuni giorni fa alle Camere consegna al Paese una più rigida disciplina delle false comunicazioni sociali, meglio nota come “falso in bilancio”. Pene più severe, abolizione delle soglie di punibilità, procedibilità d’ufficio, sono tutti termini che consentono di inviare agli operatori economici un forte messaggio, ovvero che non si faranno sconti a chi “tarocca” i bilanci delle imprese, a chi volesse cercare di ingannare banche, fornitori, dipendenti od investitori potenziali. Fin qui, tutto bene, tutto chiaro. Il falso in bilancio si concretizza, secondo la lettera della norma, con l’esposizione di fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero, oppure con l’omissione di fatti materiali rilevanti, attinenti alla situazione economica, patrimoniale o finanziaria dell’impresa, tali da indurre altri concretamente in errore. Tradotto: se mediante fantasiosi artifici renderò i conti più belli del reale, alterando in modo rilevante il risultato di bilancio, magari al fine di ottenere un finanziamento bancario, avrò commesso un falso in bilancio; la stessa cosa se non avrò dichiarato un importo consistente dei ricavi maturati dalle vendite della mia attività, risparmiando imposte e sfoggiando un bilancio meno florido. In entrambe le situazioni, avrò rappresentato una situazione molto differente dal reale, in meglio od in peggio, ed avrò commesso un reato.
La norma prevede sanzioni differenziate per le società quotate in Borsa o che emettono strumenti finanziari destinati al pubblico risparmio (con pene da tre ad otto anni), e le non quotate (da uno a cinque anni); per entrambe le categorie, la perseguibilità del reato sarà sempre d’ufficio. Per la terza categoria di soggetti economici, quelli non assoggettabili al fallimento, cioè le imprese di minori dimensioni, il reato potrà essere perseguito solo a querela di parte. Vi potranno poi essere, per le società non quotate, riduzioni di pena (da sei mesi a tre anni) qualora i fatti siano di lieve entità, tenendo conto delle dimensioni della società in questione e degli effetti della condotta. In generale, una sterzata non da poco, considerando che fino ad oggi, per le non quotate, si poteva parlare di falso in bilancio solo a seguito di azioni giudiziali da parte di terzi, danneggiati nei loro interessi dalle false comunicazioni sociali; e, oltretutto, il sistema precedente era regolato dalla presenza di soglie di non punibilità, che avevano trasmesso all’opinione pubblica un messaggio di impunità. Pertanto, l’intento del legislatore diviene oggi quello di punire chi abbia concretamente indotto in errore il lettore di un bilancio.
Tutto bene, dunque? Dopo una prima positiva impressione, iniziano a diffondersi i dubbi di applicazione: quando si può parlare di violazioni di lieve entità? Cosa significa concretamente? Come molto spesso succede, la legislazione italiana gravita intorno ad avverbi e perifrasi, su cui ci si innescano divergenze interpretative e controversie infinite; perché, se da un lato il precedente sistema era troppo morbido ed escludeva molti ambiti da fattispecie perseguibili, aveva il pregio di alcuni riferimenti oggettivi, essenziali per una corretta ed equa applicazione delle norme. Dunque la risposta sarà affidata, ancora una volta, alla magistratura, con un potenziale nuovo e corposo filone di contenziosi per i Tribunali italiani, con una discrezionalità di cui una buona norma avrebbe potuto limitare la portata. L’impressione è che si potesse limare ancora qualcosa, per centrare in pieno l’obiettivo, ma le elezioni regionali incombono, e forte è stata la tentazione del Governo di uscire dall’impasse ed esibire un bicchiere mezzo pieno. Comunque la si pensi, è un dato di fatto che la corruzione morda una fetta di Pil importante del nostro Paese; da troppo tempo si rinviava un provvedimento che desse un segnale ad ampio raggio e, dentro questo perimetro, il falso in bilancio andava in qualche modo modificato. Meglio qualcosa, piuttosto di nulla, per mettere un freno al proliferare dei tanti italici furbetti
3 comments
andrea DS says:
Mag 26, 2015
Parole sante: “Come molto spesso succede, la legislazione italiana gravita intorno ad avverbi e perifrasi, su cui ci si innescano divergenze interpretative e controversie infinite”. In altri ordinamenti, il rischio che criteri di definizione più quantitativa possano colpire qualcuno che non c’entra è più che bilanciato dalla chiarezza dell’applicazione della norma.
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david p says:
Mag 27, 2015
Mi pare che la materia sia un fulgido esempio del modo di legiferare tipico di questo Paese: si mette una regola, e parallelamente si prevede una scappatoia. Cosa si intende con violazione di “lieve entità”?
Una irregolarità di 500 mila euro è lieve o è cospicua?
Come si fa ad introdurre un principio del genere senza fornire dei criteri di valutazione?
Mi pare che siamo alle solite. Spero naturalmente di essere smentito dai fatti.
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paco70 says:
Giu 7, 2015
Una definizione di “lieve”=Che si sopporta facilmente (tollerabile).
E allora ci provo: assunto che il 10% è comunemente accettato come soglia di tollerabilità, se l’irregolarita’ accertata fosse superiore al 10% del reale bilancio allora NON sarebbe lieve. Comunque è pur sempre un’interpretazione….
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