“È l’Italia che va…” recitava una canzone di ormai 25 anni or sono. Un ritornello che possiamo ritenere ancora valido in un momento storico come quello che stiamo vivendo, in cui sentiamo parlare quasi esclusivamente di crisi, contrazione della domanda, mancanza di lavoro. È l’Italia dei distretti industriali, ossia quegli agglomerati di imprese – prevalentemente PMI – racchiuse in determinati ambiti territoriali e caratterizzati da stretti rapporti di collaborazione e di concorrenza. Nel nostro Paese, dove più di ogni altro si è affermato questo modello di sviluppo industriale, si contano oltre 140 distretti nei più svariati settori.

I dati 2011 che emergono dal monitor dei distretti di Intesa San Paolo sono confortanti, in particolare per quanto riguarda le esportazioni, che si sono attestate a 77,5 miliardi di euro segnando una crescita del 10,3%, dopo un 2010 anch’esso con crescita a doppia cifra.
Ritengo importante dare luce anche a questa Italia: l’Italia del distretto dei metalli di Brescia 3,1 mld di export (+29%), o quello della pelletteria di Firenze 2,3 mld (+29%), o ancora quello delle macchine per imballaggio dell’area bolognese 2 mld (+15%), per non parlare dell’oreficeria di Valenza (+53%) o delle calzature di Fermo (+14%). E si potrebbe continuare per un bel po’! Vale la pena sottolineare che i principali mercati di sbocco sono Germania, Francia, Svizzera e USA, seguiti dalle economie emergenti.
Ci sono settori come l’alimentare, il tessile abbigliamento, prodotti per la casa (rubinetterie, piastrelle…), per citarne alcuni, la cui domanda a livello mondiale continua ad essere vigorosa; e molti nostri distretti, grazie a prodotti tipici, ad eccellenze a livello mondiale, oltre all’appeal del Made in Italy, hanno ottime opportunità di crescita. Se pensiamo, ad esempio, che l’insieme dei distretti agroalimentari esporta il 20% della produzione, mentre la Germania arriva al 25%, direi che si può fare ancora molta strada!

Ma allora ci dobbiamo chiedere: perché lo Stato non pensa di sostenere ed investire seriamente su queste realtà che nonostante tutto battono la crisi? Nei discorsi dei nostri governanti, il termine “crescita” è diventato ormai un concetto astratto, una sorta di mantra tibetano. Ma i numeri parlano chiaro: per la crescita e l’occupazione l’industria è fondamentale; e la nostra industria, specialmente sul fronte delle PMI, ha i cavalli di razza su cui puntare! Serve una politica industriale finalmente degna di questo nome e servono risorse, che si devono trovare attraverso un serio programma di tagli (finalmente!) alla spesa improduttiva. L’auspicio è che un governo fatto di tecnici (purtroppo, ahimè, tecnici solo di finanza e di banche, nessuno di industria…), possa aprire gli occhi e dare ascolto e il giusto peso a queste realtà dell’Italia che va.

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