Nella lettura dei giornali estivi, tra tante banalità e tormentoni fiscal – giudiziari, è comparsa una notizia che merita la massima attenzione in tempi di spending review: su un totale di 16,5 milioni di pensioni erogate dall’INPS, ce ne sono circa 9.000 di importo superiore ai 10.000 euro lordi al mese ed altre 127.000 superiori a 5.000 euro lordi al mese (battezzate dalla stampa come rispettivamente “pensioni d’oro e d’argento”). Costo totale per le casse dell’INPS: quasi 12 miliardi di euro l’anno. Sorvolando sul fatto che questi dati siano stati divulgati dall’INPS in anteprima assoluta nell’agosto del 2013 (alla faccia della trasparenza), ci pare doveroso, in tempo di spending review, mettere sotto la lente anche questa voce di spesa e svolgere alcune considerazioni.

La prima. Non c’è nulla di male in sé che un cittadino percepisca una pensione di importo elevato o anche elevatissimo, a patto però che l’ammontare della pensione sia coerente con l’ammontare dei contributi effettivamente versati dal soggetto beneficiario. Peccato che in Italia questo banalissimo criterio (il c.d. “metodo contributivo“) sia entrato in vigore soltanto negli ultimi anni e gradualmente. In precedenza (e quindi per la totalità delle pensioni ad oggi erogate) è valso il “metodo retributivo”: la pensione veniva calcolata sulla base degli stipendi guadagnati negli ultimi cinque / dieci anni della vita lavorativa del soggetto, che in molti casi hanno ovviamente raggiunto livelli alti o altissimi. Senza alcuna attinenza con l’ammontare dei contributi complessivamente versati alle casse dell’INPS. C’è un dato davvero impressionante: soltanto un terzo dell’ammontare della pensione erogata sarebbe giustificato dai contributi versati; il resto sarebbe sostanzialmente una maggiorazione puramente dovuta al metodo di calcolo.

La seconda. La situazione sopra descritta è oggettivamente un privilegio. Maturato a termini di legge, intendiamoci, ma pur sempre un privilegio. Che tra l’altro marca una condizione di profonda iniquità nei confronti della generazione dei giovani, che si vedranno calcolare la pensione (quando la vedranno…) con il metodo contributivo. Dovendo chiedere sacrifici ai cittadini per risanare le finanze pubbliche, ci sembra giusto – anzi in un certo senso doveroso – intervenire su questa situazione e sostenere gli sforzi di quanti, anche in Parlamento, si stanno battendo in questa direzione.

L’ultima considerazione riguarda le modalità dell’intervento. Personalmente, non mi convince l’idea di porre semplicemente un “tetto massimo” alle pensioni d’oro e/o d’argento al di sopra del quale intervenire con un contributo straordinario. Mi sembra più corretto l’approccio di quanti (tra cui il prof. Ichino ed altri) propongono di calcolare la differenza tra la pensione d’oro percepita e quella (decisamente più bassa) che il pensionato avrebbe percepito con il nuovo metodo contributivo. Su questa differenza, che assume i caratteri di un vero e proprio “beneficio derivante puramente dal metodo di calcolo” , ritengo che si potrebbe e dovrebbe applicare un contributo straordinario. Che sarebbe non solo un toccasana non simbolico per le casse dello Stato, ma anche ineccepibile sotto il profilo dell’equità, ponendosi al riparo da qualsiasi possibile rilievo della Corte Costituzionale.

Cosa ne pensate amici? Mi pare una battaglia degna della massima considerazione e meritevole di supporto, a prescindere da chi la stia propugnando. Vi invito a porre il vostro “like” in segno di sostegno all’iniziativa: girando l’articolo per il web, non dubito che qualche “decision maker” potrà trarne utili indicazioni.

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