Il capitalismo di matrice finanziaria basato sulla pura gestione delle relazioni sta tramontando. “Capitalismo relazionale, clientelare e corrotto” lo ha definito Luigi Zingales (Sole24 Ore 18.07.13). Quando la situazione diventa difficile pure per le banche, non esistono più gli amici, anche se di vecchia data. Così come avviene nelle normali relazioni sociali, quando le cose si mettono male, nessuno più ti fa “credito” e in quel momento ci si riscopre circondato dai pochissimi veri amici. Negli affari l’amicizia non esiste. Tutto è in funzione di vantaggi personali o per l’azienda per cui si lavora. Credere nel contrario è pura chimera, illusione che svanisce con le prime nubi.
I casi del finanziere franco-polacco Zaleski e di “mister 5%” Ligresti sono emblematici. Hanno lucrato con il potere relazionale. “Nella vita i rapporti umani sono tutto”, usava ripetere Ligresti. Piccole partecipazioni negli stessi istituti che li finanziavano hanno loro permesso di ritagliarsi un ruolo nei salotti della finanza, molto attigui a quelli politici. Tutto è lecito se i possibili conflitti di interesse sono ben esplicitati, accettati da entrambe le parti e le transazioni fatte a condizioni eque, di mercato. Certo, era alla luce del sole. Ci domandiamo però quale tipo di valutazione abbia spinto grandi istituti a finanziare personaggi discutibili che a loro volta acquisivano partecipazione negli stessi istituti o davano loro in pegno azioni finanziarie. I vertici bancari lo avranno fatto forse per sostenere i corsi azionari della banca in vista di nuove operazioni straordinarie, o per avere il nocciolo duro di azionisti che fossero facilmente controllabili, o per sistemare situazioni di crisi di altri clienti utilizzando gli stessi pseudo-imprenditori. Le locuste speculatrici e i vertici della banca hanno avuto il loro tornaconto, il tutto a scapito però dei piccoli azionisti sia della banca sia della società finanziata, mal condotta, depauperata, dai bilanci fallimentari. Mediobanca aveva impegnato nel Gruppo Ligresti 1,1 miliardi di Euro, cifra che rischiava di trascinare a fondo l’istituto, prima che s’inventasse l’operazione Unipol. A Zaleski invece pare siano stati dati negli anni 6,7 miliardi (Il FattoQuotidiano 14.08.13) e ora a Banca Intesa potrebbe costare 800 milioni di Euro, difficilmente recuperabili. Risorse sottratte alla vera imprenditoria, quella che crea ricchezza ed occupazione. Gli organi di vigilanza sono stati latitanti e solo a danno avvenuto la magistratura può intervenire.
Avendo a mente questi episodi, risulta doloroso per un piccolo imprenditore scoprire sulla propria pelle che le banche fanno tanta difficoltà a finanziarlo. Da una indagine Adnkronos sui prestiti alle PMI, solo 2 su 10 hanno avuto piena soddisfazione. La quota percentuale delle sofferenze bancarie sui prestiti erogati è poco più alta per le PMI ma il ritmo di crescita delle sofferenze negli ultimi anni è maggiore per le grandi aziende e quest’ultime contribuiscono all’80% di tutte le sofferenze. Contrarre il credito alle PMI per evitare incagli non fa che ritorcersi contro le banche stesse. Un imprenditore va aiutato innanzitutto a delineare una strategia concorrenziale e di pianificazione finanziaria. Non considerarlo, non valutare da vicino le sue iniziative ed i suoi programmi per il futuro, rischia di sprofondarlo una crisi nera, e amplia il problema a danno dello stesso istituto. Le banche non possono vivere di sole grandi aziende, specie se importanti buchi nei loro bilanci sono provocati dalla condotta di pseudo-imprenditori, grandi solo nel nome.
5 comments
filippo guidantoni says:
Set 19, 2013
Vorrei sottolineare la, da me apprezzata, differenza tra capitalismo relazionale e clientelare. Io vivo di relazioni, nel senso che svolgo un ruolo commerciale e incontrare persone, farle conoscere tra di loro, utilizzare il passaparola e le referenze trovo che siano comportamenti quotidiani positivi ed utili per risparmiare tempo nelle valutazioni. Insomma, il networking porta business, è inevitabile.
Se lo si concepisce come patto per un do it des fuori dalle regole, dagli schemi e, quindi spesso, dalla legge, va da sè che la situazione è ben diversa.
Penso che nessun analista alle prime armi avrebbe concesso fidi a personaggi che si sono persino ritrovati nel CdA di aziende e banche…quindi?! Vuol dire che dietro ci sono delle relazioni non regolari finalizzate ad arricchire pochi soggetti che dolosamente hanno operato. Le banche, SOPRATTUTTO IN ITALIA, non possono vivere di sole grandi aziende; ma come farglielo capire? Se per concedere un mutuo mettono i dati nel sistema e aspettano il semaforo verde/rosso del loro PC…come possono essere al fianco di persone che tutti i giorni sono “in trincea” per realizzare un loro sogno?!
david p says:
Set 21, 2013
@Filippo, sottoscrivo in pieno. Le relazioni in se’ non sono il problema. Lo diventano se la relazione diviene una scorciatoia per bypassare le regole e trarre indebiti vantaggi. Ma la relazione può anche essere gestita con positività per l’intero sistema: quando il direttore di banca conosceva bene il piccolo imprenditore, la sua storia e la sua famiglia, poteva meglio valutare il merito creditizio rispetto ad una logica di freddi numeri. Nulla a che vedere con i loschi affari che giustamente vengono denunciati nell’articolo, ma nemmeno nulla a che vedere con l’amicizia: chiamiamole relazioni ‘sane’ nel rispetto dei rispettivi ruoli.
adone paratore says:
Set 20, 2013
Concordo ed apprezzo l’intervento di Filippo Guidantoni quando sottolinea la differenza esiziale che passa tra il capitalismo relazionale e quello clientelare.Sicuramente e’ un problema di mentalita’ che deve cambiare,ma anche di un sistema diverso valutativo che dovrebbe essere “imposto” da che governa ( nel senso piu’ lato del termine). Se non ci riusciamo da soli…ce lo imporranno a livello europeo. E scusate per l’eccessiva semplificazione del discorso.
david p says:
Set 21, 2013
@Adone, ‘se non ci riusciamo da soli ce lo imporranno a livello europeo’ … Devo dire che questa riflessione, che proponevi gia’ anni fa, si è rivelata profetica. Quante cose non siamo riusciti a fare da soli e ci sono state imposte! Purtroppo in molti casi ne derivano soluzioni abborracciate, ma almeno qualcosa si fa. Un modo diverso, e interessante, di valutare il ruolo della Unione Europea. Forse la tua profonda conoscenza della realtà greca ha favorito questa chiave di lettura? 😉
darius says:
Set 21, 2013
Le banche italiane sono in difficoltà e tutto dipende dal sistema Italia, su cui poggiano. Ma il sistema Italia dipende anche da loro. Quando un’impresa muore, la banca perde tutto. E le competenze muoiono con l’impresa. Difficile poi ricreare la vita su un arido terreno.