In Italia il conflitto di interessi si associa subito a Silvio Berlusconi. In realtà, il problema ha una portata molto più ampia di quanto comunemente si crede. Ma facciamo un pò d’ordine: in linea di principio, si verifica un conflitto di interessi “quando viene affidata un’alta responsabilità decisionale ad un soggetto che abbia interessi personali o professionali in conflitto con l’imparzialità richiesta da tale responsabilità”. Ciò non implica che vengano commesse scorrettezze: un conflitto di interessi esiste a prescindere che venga o meno seguita una condotta impropria. La società italiana è pervasa dal conflitto di interessi ed i casi sono all’ordine del giorno. Dirigenti politici e amministrativi che appaltano servizi pubblici a società private nelle quali hanno interessi diretti o indiretti. Parlamentari che fanno leggine per gli amici e leggi ad personam. Ma anche rettori universitari che amministrano gli atenei come beni di famiglia, imprenditori finanziati da banche di cui sono azionisti, banchieri nominati dai partiti, medici “influenzati” dalle case farmaceutiche.

Paesi come Francia, Germania, Spagna, Gran Bretagna e Stati Uniti hanno affrontato seriamente il tema del conflitto di interessi, almeno per quanto riguarda le cariche pubbliche. Ad esempio, in Germania la carica di Ministro federale (o Cancelliere) è assolutamente inconciliabile con l’esercizio di altri incarichi remunerati, mestieri o professioni. Negli Stati Uniti la disciplina è ancora più severa e riguarda non solo i vertici politici dell’Esecutivo ma anche i membri del Congresso ed ogni altro funzionario/impiegato pubblico. Nel nostro ordinamento invece la legislazione sul conflitto di interessi è praticamente assente. Esiste una legge del 2004, la cosiddetta “legge Frattini” dal nome dell’allora ministro della funzione pubblica del II Governo Berlusconi che la propose, ma ha mostrato tutta la sua inefficacia, come risulta anche dalle relazioni semestrali dell’Antitrust.

Almeno tre aspetti ci sembrano prioritari nella definizione di una legislazione seria nel nostro Paese. Innanzitutto, norme severe che riguardino non solo tutte le cariche pubbliche elettive, ma anche le istituzioni nelle quali sono previste nomine pubbliche, incluse le società per azioni di proprietà pubblica (es. Rai, Poste, Eni, Enel). In secondo luogo, c’è da considerare che in Italia la proprietà delle grandi imprese e delle banche è concentrata nelle mani di poche famiglie e dello Stato. La legge sul risparmio impone alle società quotate di riservare dei consiglieri agli azionisti di minoranza, ma molto spesso la lista è presentata da qualche famiglia che detiene una quota rilevante, seppur di minoranza, che difficilmente potrà rappresentare gli interessi di tutti gli azionisti. Infine: a chi affidare controlli e sanzioni? Potrebbe essere l’Antitrust, ma a condizione di una riforma dei meccanismi di nomina degli organismi di vertice delle Authority, attualmente poco trasparenti.

Si dice che “il Paese ha problemi più importanti” e che “con il conflitto di interessi non si mangia”, mentre, al contrario, chi si trova in situazioni di conflitto di interessi mangia, eccome se mangia. Un’azione di governo trasparente ed efficace, soprattutto nel settore pubblico ma anche nel privato, si appoggia su due fondamentali presupposti: etica individuale e un sistema di regole certe e chiare. Se questo ultimo nodo, insieme alla corruzione, non viene risolto presto, non usciremo dalle sabbie mobili e gli investitori stranieri si allontaneranno sempre di più dall’Italia, acuendo la crisi già in atto. A ciascuno di valutare se questa sia o meno una priorità.

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