Detta così, sembra un paradosso: l’economia in recessione, l’occupazione in ginocchio, non si arriva alla fine del mese e dovremmo pure essere felici? Eppure è un tema che fa capolino sempre più spesso nel dibattito economico e politico, promosso da un movimento (il “movimento per la decrescita felice”, appunto) con il quale il Movimento 5 Stelle ha trovato forti e dichiarate comunioni d’intenti. Ne sento parlare da alcune settimane con una certa superficialità da parte dei suoi detrattori, ma anche da alcuni tra i suoi sostenitori, e mi pare utile provare ad approfondire un po’ la questione. Dunque: cos’è la decrescita felice? Siamo andati a leggere direttamente il “manifesto” disponibile nel sito dei suoi promotori: “è una critica ragionata e ragionevole alla assurdità di un’economia fondata sulla crescita della produzione di merci… ed anche un’alternativa radicale al suo sistema di valori”. E’ evidente dunque che occorrono almeno due livelli di analisi: uno di tipo etico ed uno di tipo più strettamente economico.
Sul piano dei valori, si specifica: “la decrescita è l’elogio dell’ozio, della lentezza e della durata; rispetto del passato; consapevolezza che non c’è progresso senza conservazione; indifferenza alle mode e all’effimero; …. non identificare il nuovo col meglio, il vecchio con il sorpassato… ; non chiamare consumatori gli acquirenti….; distinguere la qualità dalla quantità; desiderare la gioia e non il divertimento; valorizzare la dimensione spirituale ed affettiva; collaborare invece di competere. La decrescita è … un nuovo Rinascimento che liberi le persone dal ruolo di strumenti della crescita economica e ricollochi l’economia nel suo ruolo di gestione della casa comune a tutte le specie viventi”. Che commento fare a questi nobili enunciati? Lo lascio volentieri alla libera discussione dei nostri lettori. Mi limito a riportarvi quelle che sono state le mie due primissime sensazioni. La lotta al consumismo, l’indifferenza alle mode, la solidarietà sono valori assolutamente nobili. Però, mi sia consentito, non mi sembrano così nuovi e “rivoluzionari”: tanti bravi genitori da sempre li insegnano ai loro figli e tanti bravi sacerdoti li ricordano nella messa domenicale. Se la proposta economica presuppone l’affermazione di questi valori, temo che si andrà un po’ per le lunghe. Seconda sensazione: non avrei mai pensato di trovare espressioni quali “non identificare il nuovo col meglio, il vecchio con il sorpassato” all’interno di un manifesto così fortemente “abbracciato” dalla forza politica di Grillo.
Veniamo al piano economico. Il movimento parte da una critica feroce alle due concezioni di politica economica attualmente dominanti: la “politica di austerità”, rea di averci portato dove siamo, e quella alternativa, di matrice americana, del “rilancio del consumismo attraverso il debito”, imputata di avvitare il sistema dentro una spirale perversa che prima o poi finirà per esplodere. In assoluta alternativa, il movimento propone appunto la “decrescita”: che “non è la recessione, ma il rifiuto razionale di ciò che non serve”. Si propone “di ridurre il consumo delle merci che non soddisfano nessuno bisogno…. e di sviluppare le innovazioni tecnologiche che diminuiscono il consumo di energia e risorse, l’inquinamento e la quantità di rifiuti”. Si propone, inoltre, di aumentare il consumo di beni autoprodotti (il buon “pane fatto in casa”) e di acquistare i prodotti “il più localmente possibile” (il famoso paradosso dello yogurt che viene dalla Germania).
Dunque lotta serrata al consumismo, allo spreco delle risorse, all’inquinamento dell’ambiente, alle grandi multinazionali. Promozione delle energie rinnovabili, delle piccole imprese artigianali, dell’autoproduzione, della prossimità nei consumi, dell’agricoltura biologica. Proposte assolutamente degne di discussione, anche se nemmeno queste così “rivoluzionarie” (seppur “dolcemente”) e innovative come vengono presentate. Alcuni tra questi temi sono sul tavolo da molti anni, già cavallo di battaglia di numerosi movimenti e partiti politici. Due rapide osservazioni prima di consegnare l’argomento al dibattito. La prima: non è vero che le “opzioni di base” di politica economica sono soltanto due (austerità o sostegno dei consumi con debito). C’è una terza opzione che noi, insieme ad altri, da sempre indichiamo come la strada più corretta, e che i promotori della decrescita sembrano dimenticare: il rilancio dei consumi non attraverso maggior debito, ma attraverso una seria e radicale riduzione della spesa pubblica, che consenta una altrettanto seria riduzione del carico fiscale sui cittadini e sulle imprese, con particolare riguardo alle fasce più deboli. Seconda osservazione, più “filosofica”: perché mettere in drastica contrapposizione le diverse ricette di politica economica, quasi che una escludesse necessariamente l’altra? Mi pare una visione antagonista figlia di una logica “hegeliana” molto datata, peraltro già utilizzata in passato senza grandi risultati. Da questo punto di vista, non parlerei di “obiettivo decrescita” ma piuttosto di crescita sostenibile, di sviluppo “intelligente”. Di un sistema industriale rispettoso delle risorse naturali e dell’ambiente, orientato a sviluppare le nuove tecnologie abbandonando processi di produzione vecchi e inquinanti. E se il “saldo” di questa trasformazione, in termini di posti di lavoro e benessere economico dei cittadini e delle famiglie, fosse positivo, allora sì che sarei davvero felice.
8 comments
wicks says:
Apr 5, 2013
Concordo pienamente con te, David. Aggiungo che bisogna rivedere il meccanismo di calcolo degli indicatori economici per valorizzare meglio il concetto di “crescita sostenibile” o “sviluppo intelligente”. Faccio qualche esempio, semplificandolo un po’.
1) P.I.L.: se costruisco solo case o alberghi e quindi metto su cemento al posto del verde, le relative fatture contribuiscono alla crescita del PIL, ma davvero abbiamo un beneficio a livello di collettività? Credo molto poco.
2) la vendita di un SUV contro 10 utilitarie: a parità di fatturato contribuiscono alla pari, ma le 10 utilitarie probabilemente contribuiscono meglio in termini di benefici all’ambiente.
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gino berto says:
Apr 5, 2013
Interessante. Ma non vorrei che questa pensata della decrescita felice fosse figlia di uan furba interpretazione della situiazione attuale. E’ molto facile proporre questa filosofia in questo momento, dove, per quanto ci si arrabatti non si riesce a crescere. Ma se pensiamo che tutto sommato è bello, buono e romantico pilotare i risultati al ribasso, allora sì che rischiamo di non crescere più. Per fortuna la verve italica, ne sono certo, spinge nella direzione opposta. Aspettiamo solo che le classi dirigenti smettano di fare quello che hanno sempre fatto e finalmente diano una mano alla crescita felice!
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lorella pozzi says:
Apr 7, 2013
Sono assolutamente a favore solo e soltanto della crescita felice!
Concordo sul fatto che il mondo occidentale debba rivedere e rivalutare alcuni indicatori economici rispetto ad altri, privilegiando il benessere fisico e spirituale di tutti gli esseri umani.
Per quanto riguarda specificatamente gli indirizzi di politica economica efficaci per risollevare il nostro Paese dagli abissi, sono personalmente favorevole alla terza opzione
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david p says:
Apr 7, 2013
@Wicks, Gino, Lorella: grazie delle preziose annotazioni. Il tema è molto serio e la cosa peggiore sarebbe affrontarlo con facili battute e banalità. Speriamo di aver dato un piccolo contributo in questa direzione.
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lola says:
Apr 8, 2013
Sono pienamente d’accordo con le due osservazioni, in particolare della prima; gente abbiamo bisogno ma di un gran bisogno di rilanciare l’economia con meno pressione fiscale per i cittadini e per le imprese che creano gettito, in maniera tale di far ripartire la ripresa dei consumi sul mercato interno (anche con i tagli drastici alla spessa pubblica).
Tutti ne parliamo ma lo stato fa le orecchie sorde! in un momento di crisi economica internazionale quasi tutti i governi hanno messo in atto politiche di sostegno all’economia riducendo la loro aliquota di base ( corporate tax) dando fiducia e solidità; mentre dalle nostre parti si fa tutto il contrario, la pressione fiscale e’ arrivato ad un massimo record storico il 52%! in un momento così delicato in cui lo stato non prende coscienza della situazione, ci chiediamo ma dov’è lo stato? dove sono le persone che devono prendere in visione le nostre esigenze? Perché la classe politica si lava le mani e gioca allo scambio di carte ( te mi dai uno io te ne do due e via dicendo? ) Dov’è la responsabilità e l’amore per il proprio paese? Mi sembra paradossale vivere in un paese colto e industrializzato con la mente di un paese del terzo mondo negli anni settanta…
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david p says:
Apr 9, 2013
@Lola, di tutto il tuo commento, che è perfetto, mi piace molto sottolineare un passaggio: dov’è la responsabilità e l’amore per il proprio Paese?? Accendere la televisione in questi giorni e vedere i balletti della politica (io non voglio te, ma lui non vuole me eccetera….) sta diventando veramente disgustoso. E intanto pensionati e imprenditori si tolgono la vita.
Responsabilità e amore per il proprio Paese, prima ancora che le ricette di politica economica!
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darius says:
Apr 14, 2013
Grazie David per il contributo. Non mi sono mai documentato sull’argomento ma le parole “decrescita felice”, da prendere in connubio, hanno sempre evocato in me un piacevole sentore.
La decrescita è un dato di fatto, dovuto ai cicli economici decennali, ventennali od epocali che vedono l’attività economica espandersi e contrarsi. L’espansione è connessa inevitabilmente alla richiesta di risorse da parte di una popolazione crescente. E la contrazione è una stabilizzazione dopo periodi di eccesso: sta nella natura delle cose che il “sistema” trovi un equilibrio, anche a forza di distruzioni, catastrofi, carestie, pandemie. Il sistema è quello umano, che vuol dire anche economico, sociale, ambientale.
Non esiste crescita senza decrescita. Ma come può essere felice? Innanzitutto è felice una cosa che si accetta e la si fa propria, a livello mentale. E qualcuno potrebbe pensare che sia un modo per fuggire dai problemi, non riconoscerli e non risolverli. E risponderei che come il marxismo ha fallito, pure il capitalismo ha le sue magagne di diseguaglianza e di decrescite. Accettiamo le cose, sappiamo che è così, cerchiamo solo atterraggio morbido, tirare i remi in barca, aiutiamo chi sta più indietro e pretendiamo meno.
Si può fare il pane in casa, sono d’accordo, ma poi non ci dobbiamo lamentare se i fornai chiudono.
Possiamo cambiare un telefonino ogni 10 anni (se non ci fosse la maledetta obsolescenza programmata) ma poi non ci dobbiamo lamentare se molti lavoratori di high-tech saranno a spasso.
E possiamo fare la vacanza di prossimità ma poi non si devono lamentare i lavoratori del settore trasporti e del turismo.
Possiamo lasciare a casa metà degli statali ma poi non ci dobbiamo lamentare se ci saranno rivolte sociali.
E chi rimane indietro può essere aiutato. O deve? Questione di coscienza e non mi addentro. Senza essere cinici, la selezione naturale è drastica. C’è chi è più solidale e chi meno.
Tornando alla decrescita, dato di fatto, la felicità sta nell’accettare questo stato e riscoprire l’aspetto positivo: meno costruzioni inutili, meno consumo del suolo, meno inquinamento, meno burocrazia, meno ansia di soddisfare bisogni indotti da altri. Solo ciò che è necessario. E quando non sia ha l’ultimo videogioco, è una goduria pure giocare a “biglie”. Decrescita felice per me vuol dire, come effetto finale, preservare il nostro ambiente, vivere senza ansia, lavorare un po’ meno tutti, e non fare o produrre cose assolutamente inutili.
Società primitiva questa? Non credo proprio, società consapevole di vivere sullo stesso pianeta.
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david pierantozzi says:
Apr 14, 2013
Darius, un intervento appassionato e ben argomentato il tuo, che tuttavia non mi convince. O meglio: diciamo che mi pare condivisibile l’analisi del problema, ma non la soluzione.
La parte che condivido: è vero, non si può immaginare di crescere all’infinito. Non esiste, anche filosoficamente, una crescita senza decrescita. Ce lo insegnavano già i grandi pensatori greci, ogni cosa ha il suo contrario e non può esistere senza il suo contrario. Ed è anche vero che la crescita delle società occidentali è avvenuta (spesso) senza rispetto per l’ambiente e le risorse naturali. Inquinamento, spreco di risorse e sovra-produzione di rifiuti sono un dato di fatto. Così come lo è la “induzione” di bisogni “non strettamente necessari” al puro fine di aumentare i profitti.
La soluzione che non condivido: presupporre che non ci sia niente da fare, ricercare una accettazione che mi sa un po’ di rassegnazione, “tirare i remi in barca” come tu stesso dici, “lavorare un po’ meno tutti, vivere senza ansia..”.
Per come la vedo io, la soluzione è radicalmente diversa. Certamente, intervenire per correggere le distorsioni della crescita sconsiderata: politiche a favore dell’ambiente, contro l’inquinamento e lo spreco delle risorse. Ma anche,in parallelo, tenere ben saldo l’obiettivo di una crescita pulita e sostenibile. Perchè crescita sostenibile vuol dire più benessere per tutti, anche per gli 8 milioni di italiani che oggi sono sotto la soglia di povertà e non si possono certo soltanto affidare alla “buona coscienza” degli altri. Ma vuole anche dire libertà: libertà di non stare in casa a fare il pane se non ne ho voglia, libertà di fare un viaggio in un Paese lontano, libertà di fruire delle possibilità offerte dalle nuove tecnologie. Chi può ergersi a giudice dei bisogni altrui?
Se questo è l’obiettivo, come credo, facciamo tutto quello che è necessario per raggiungerlo. Lo abbiamo già fatto senza risultati? Non mi pare proprio, abbiamo fatto ben poco, e quel poco lo abbiamo fatto tardi e male. E se non coglieremo la crescita… quanto meno avremo fatto il possibile per “arginare” la decrescita!
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