Lo spettro di uno stallo istituzionale si è dunque materializzato. Prendi i quattro pezzi di lego presenti in Parlamento, provi a pensare a tutte le combinazioni possibili e non ne viene fuori niente di sensato. Si comincia ad elucubrare sulle formule più bizzarre: governissimi, governi di scopo, staffette. Qualcuno farebbe di tutto, pur di non tornare alle urne. Qualcun altro si gode lo spettacolo, come un gatto famelico che osserva sornione i topolini intenti a giocare a nascondino. Il tormentone delle prossime settimane sarà: cercare “convergenze programmatiche”. Un brivido sale lungo la schiena. Cerchi di immaginarti quelli che si sono massacrati fino a ieri, bollandosi reciprocamente come incapaci e corrotti, a spuntare la lista delle cose da fare insieme. Ed il pensiero vola rapido al novembre del 2011, con lo spread alle stelle ed i nostri BTP invenduti nelle aste internazionali.

Non sono un politologo e mi guardo bene dal cercare di disegnare gli scenari possibili. Vorrei però sottolineare due aspetti che mi sembrano molto rilevanti dal punto di vista economico. Il primo: le forze che rappresentano una posizione europeista più ortodossa ne escono sconfitte. E con loro la linea di politica economica “di austerità” viene parecchio indebolita. Vengono premiati, al contrario, coloro i quali non hanno lesinato esternazioni contro le istituzioni europee, la leadership tedesca, la stessa convenienza della moneta unica. E’ vero, il più delle volte si è lanciato il sasso e poi ritirata la mano. Ma il risultato è quello di una certa confusione circa il reale coefficiente di “convinzione europeista” di queste forze. Intendiamoci: dalle colonne di Labeconomy abbiamo molte volte sottolineato gli inconvenienti di un eccesso di “austerità poco equa” nella politica economica. Con le inevitabili conseguenze recessive. Ma una cosa è parlare di una necessaria revisione di errori compiuti in sede europea, altra cosa è metterne in dubbio l’intera costruzione, evocando (o forse auspicando…?) una sua possibile disgregazione.

Un secondo aspetto mi preoccupa molto pensando alla situazione della nostra economia: il rischio di un “governicchio”, di un governo a tempo concentrato soltanto su alcuni nodi di natura istituzionale, come la legge elettorale, la riduzione dei parlamentari e poco più. Accantonando, per paura di litigare, una serie di problemi vitali e non più rinviabili: riforma della giustizia, mercato del lavoro, scuola e università, fisco solo per citarne alcuni. Questo, a mio avviso, sarebbe un grave errore. Una ulteriore perdita di tempo che potrebbe essere fatale per la nostra disastrata economia, oltre che per quel poco di credibilità di cui ancora la politica sembra godere. Il Paese ha bisogno di decisioni immediate e riforme coraggiose. Se si riesce a mettere insieme un governo politico all’altezza del compito, ben venga. Altrimenti, la parola torni rapidamente ai cittadini.

Print Friendly, PDF & Email