Robert Putnam, con il suo “Civic Traditions in Modern Italy”, uscito nel 1993, condensò la sua visione sociologica d’Italia, a diverse latitudini. Capitò da noi proprio quando nei primi anni ’70 si istituirono le Regioni, e con i suoi collaboratori condusse ricerche per capire in cosa si differenzi la cultura civica da Nord a Sud e come questa possa permeare ogni iniziativa in campo sociale ed economico. Il professore di Harvard è un fine conoscitore sia delle istituzioni locali italiane, sia del modo di intenderle da parte dei cittadini. Per quanto riguarda i cittadini, quelli del Nord si identificavano nelle proprie istituzioni locali; spostandosi a Sud, ravvisò una certa diffidenza sia verso le istituzioni centrali che quelle locali. Pensò che a Nord le forme partecipative e associative, di tipo orizzontale e meno verticistiche, trovassero terreno fertile a causa del vecchio retaggio dei Comuni nel medioevo. Questa tradizione, non presente al Sud, è continuata anche nei secoli successivi, pur in presenza di dominazioni imperiali.

Ma veniamo al punto: l’arretratezza economica del Sud è sicuramente nei numeri statistici. Tuttavia, esistono eccellenze intellettuali ed economiche di primario ordine, che avrebbero bisogno di svilupparsi in un contesto adeguato. Altrimenti ogni singola iniziativa rimarrà isolata e sterile, sopraffatta da una ragnatela di vincoli e impedimenti. La svolta può venire cercando di aumentare il “capitale sociale” attraverso la partecipazione: alla vita comunitaria, nelle associazioni, nelle istituzioni. Le istituzioni sono al servizio del cittadino nella stessa misura in cui il cittadino contribuisce ad alimentarle di linfa vitale.

Il “palazzo” è impenetrabile se lo si osserva da fuori, autoritario se vi è mera deferenza, oppressivo se non si persegue il rispetto dei propri diritti. La cooperazione, un miglior clima di fiducia, un rapporto più stretto con le istituzioni, rappresentanti politici espressione del sentire comune e in continuo ascolto, possono, silenziosamente e senza i clamori di annunci sensazionalistici, alimentare il “capitale sociale” e permettere la crescita economica. Le regioni meridionali non hanno bisogno di assistenzialismo, il loro riscatto passa dalla consapevolezza di essere una comunità di cittadini. Una grande sfida, di portata storica. Il vento del rinnovamento stavolta potrebbe soffiare da Sud.

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