Le fazioni si sono combattute, le tifoserie si sono schierate e gli indecisi blanditi a colpi di slogan e buoni propositi. Ora, a riflettori temporaneamente spenti, qualche momento di silenzio e di sana riflessione. Vada come vada, in un’Italia con il fiato sospeso, uscirà dalle urne un responso da rispettare e con il quale fare i conti da domani. Un esito che probabilmente non vedrà l’affermazione di nessuno in particolare, con lo spettro di un pantano istituzionale che sarebbe il peggiore dei mali.

È la conclusione di una campagna elettorale greve, dai contenuti modesti, sempre più trainata dall’impazzare dei sondaggi, che ne hanno dettato le tematiche e le schizofrenie mediatiche. L’elemento distintivo, rispetto alle tornate precedenti, è senza dubbio l’accresciuta e moltiplicata tendenza leaderistica dell’offerta politica: Berlusconi, Bersani, Giannino, Grillo, Ingroia, Monti (in rigoroso ordine alfabetico), si sono contesi il palcoscenico, chi più chi meno, cannibalizzando le loro stesse bandiere. Questa polarizzazione del dibattito ha creato vere e proprie caricature, impegnate a portare il peso di partiti e movimenti sulle loro spalle, a colpi di slogan e stucchevoli battute da avanspettacolo, ed intente a parare il colpo dell’avversario con accuse di rimando. Un’aria da post ideologia che ha fatto pressoché scomparire dalla scena i colonnelli di partito, che, quando presenti, hanno avuto l’unico compito di reggere la scena al loro capo, per rafforzarne la verve comunicativa o testimoniarne le virtù personali.

In tutto questo, la solita imbarazzante e generalizzata vaghezza nelle proposte economiche, considerate come un gadget promozionale da servire sul piatto dell’elettore in transito. Quale tipo di welfare, di istruzione, di fisco e di politiche per imprese e lavoro? Le risposte sono spesso contraddittorie, sganciate da un verosimile piano finanziario di copertura, come in quasi tutte le campagne precedenti.  L’elemento nuovo che nessuno considera, in specie i leader accreditati delle preferenze più alte, è la quasi certa necessità di allearsi con qualcuno degli attuali competitori, con cui necessariamente confrontarsi per dare sostegno ad un nuovo esecutivo.

Una sorta di ritorno al proporzionale, mixato con un primato della leadership degno del più perfetto dei sistemi maggioritari. Insomma, unendo l’attuale legge elettorale, diventa  una minestra difficilmente digeribile. Ed allora ecco crescere le incertezze di tutti noi, fermi ad assistere all’esibizione della vanità di uomini soli al comando, con un Paese dalle ferite sanguinanti fermo lì, ad aspettare. Quale sia l’oggetto di tale attesa, se una coltellata esiziale o una sequenza di suture dagli esiti imprevedibili, si scoprirà molto presto. Auguri a tutti noi, ne abbiamo bisogno.

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