Il triplice fischio è risuonato ben 12.463 volte nel solo 2012: tanti sono i fallimenti dichiarati lo scorso anno nel nostro Paese, oltre 34 al giorno. L’individuazione delle cause di questa ecatombe, con i suoi drammatici risvolti dal punto di vista sociale ed economico, è tutt’altro che scontata. Una cosa è comunque certa: sempre più frequentemente si muore per “troppo credito”, sia verso la Pubblica Amministrazione, sia verso altre imprese private.
Nel primo caso, lo Stato in ogni sua declinazione deve oltre 70 miliardi di euro alle aziende. Soldi sottratti a consumi e lavoro. L’aggiudicazione di un appalto per lavori pubblici o in ambito sanitario, può costituire per l’impresa un’opportunità di aumento di fatturato, di visibilità commerciale e di profitto. Quindi tutto bene, verrebbe da dire. Una volta eseguito il servizio o completata la fornitura, inizia l’odissea per poter recuperare quanto impegnato in termini di acquisti, finanziamenti e retribuzioni. Come se non bastasse, a fine anno lo Stato presenterà il conto delle imposte da versare. Tasse su utili virtuali, beninteso; quello che si riuscirà a tradurre in cassa effettiva lo si vedrà poi.
Il secondo caso di “asfissia da credito” riguarda imprese che si imbattono in commesse importanti, magari con quel cliente che, all’apparenza dei bilanci ufficiali, sembrerebbe affidabile. Cominciano i ritardi nei pagamenti, che ben presto diventano cronici. Finchè un giorno, senza preavviso, viene recapitata una lettera che annuncia una ristrutturazione, con stralcio di una porzione consistente del credito, quando non una procedura concorsuale vera e propria. E qui c’è veramente da mettersi le mani nei capelli. Attraverso il “concordato in continuità”, infatti, il debitore può pattuire una riduzione dei propri debiti con il placet della maggioranza dei creditori. Oltretutto, basta la semplice presentazione della domanda di concordato per bloccare le potenziali procedure esecutive, con facoltà di proporre il piano vero e proprio anche 3-4 mesi dopo. Insomma, una normativa tutta dalla parte del debitore: e i creditori si trovano spesso a loro volta trascinati nel baratro.
E allora, che cosa fare per affrontare questi due flagelli e ridare ossigeno e fiducia al mercato? Il tema è troppo complesso per essere affrontato in poche righe. Mi limito ad alcuni spunti. Per quanto riguarda i crediti verso la Pubblica Amministrazione, occorre mettere in pista un serio piano di rientro da finanziare attraverso interventi mirati sulla spesa pubblica, senza dimenticare che vi sono anche alcune amministrazioni “virtuose” che già potrebbero sadare i loro debiti se soltanto fosse possibile derogare ai limiti imposti dal patto di stabilità. Per quanto riguarda invece i rapporti tra privati, occorre rivedere la legislazione in modo tale che, a fianco della tutela del soggetto in crisi, vengano tutelati anche gli interessi legittimi dei creditori. Da questo punto di vista, è fondamentale riprendere il tema di una maggiore trasparenza dei bilanci (con inasprimento dei reati annessi e connessi), su cui si fonda la possibilità per un fornitore di conoscere la situazione reale di un cliente. Ma questo argomento ci porterebbe davvero lontano.
7 comments
luca lumelli says:
Feb 11, 2013
Buongiorno a tutti,
prima di tutto volevo ringraziare i promotori e i sostenitori di questa “Agorà” e in particolare chi mi ha portato a conoscerla e ad apprezzarne i puntutali e interessantissimi contenuti, spunti di riflessione responsabili che trovo siano, oggi più che mai, linfa vitale per una partecipazione attiva e critica alla comunità.
Detto questo, volevo sotenere vivamente il punto di vista di Michele, in particolare in riferimento alla necessità di un’urgente revisione di tutto l’impianto legislativo relativo alla tutela della creditoria.
Aggiungerei come spunto per una riflessione, se vogliamo banale, ma altrettanto attuale, che il dilatarsi infinito dei tempi di’incasso tra aziende a cui stiamo assistendo, in particolare in settori che non ne avrebbero strettamente bisogno per la tipicità del proprio ciclo economico/monetario, andrebbero a mio avviso regolate con un impianto legislativo differente. L’effetto negativo di questi biblici tempi d’incasso, squisitamente frutto di una pratica comune lasciata deliberatamente al potere di soggetti economici commercialmente “Forti”, porta ai più svariati squilibri sotto numerosi punti di vista e penalizza di fatto un sistema economico già in grave difficoltà.
david pierantozzi says:
Feb 11, 2013
@ Luca, benvenuto nel Lab e grazie delle tue parole di apprezzamento. Parlando di un differente “impianto legislativo” a tutela del credito, credo che tu abbia messo il dito sulla piaga. La legge fallimentare, che una volta aveva come fulcro la tutela dei creditori, è stata snaturata al punto da tutelare quasi esclusivamente il debitore, nella pia illusione di un rilancio dell’attività d’impresa che quasi mai si riesce a compiere. Le proposte possono essere diverse, mi auguro davvero che questo tema possa essere al centro della prossima azione di governo, anche se sono molto scettico.
Michele D' Apolito says:
Feb 12, 2013
grazie anche da parte mia a Luca per l’apprezzamento. il vero problema che ho riscontrato negli anni (da curatore fallimentare) su questo terreno è che le crisi aziendali spesso esplodono come “per magia” all’improvviso, dopo aver prodotto bilanci in pareggio o con perdite lievi. segno che l’imprenditore è spesso portato (o costretto) a parcheggiare le proprie perdite (già presenti in bilancio) ed a rinviarle, in attesa di tempi migliori. evidente che qualcosa non va. è vero anche che le banche sono una parte del problema, perchè lavorano solo sul consuntivo e non sul prospettico. in questo contesto, si fornisce troppo tempo, a mio parere, per la ricerca di soluzioni concordatarie. chi ha reali prospettive di ripresa o ha proposte sensate da fare ai creditori, deve essere in condizione di presentare piani tempestivi. ne parleremo in un futuro intervento.
Francesco Presutto says:
Feb 12, 2013
Purtroppo una delle frasi che si sente dire da imprenditori in crisi è: “la realtà è che in Italia conviene delinquere”. Difficile dar loro torto di fronte a scudi fiscali, patteggiamenti per evasioni milionarie (in cui si paga meno della metà di quanto contestato)e concordati che in genere hanno l’effetto di non risanare l’azienda e mettere in crisi i creditori.
lorella pozzi says:
Feb 12, 2013
Condivido ognuno dei vostri commenti e mi limito ad osservare che in generale, nell’ultimo decennio, sono state riformate numerosi leggi esistenti, che hanno complessivamente avvantaggiato tutti coloro che agiscono con scarso senso di responsabilità verso i terzi, negligenza grave e contro la legge.
Aggiungo che l’attuale classe politica, di qualsiasi colore e provenienza, non mi fa sperare in un futuro migliore,anzi ogni qualvolta sento da questi pronunciare la fatidica parola “riforma, riformare” avverto un fortissimo senso di preoccupazione.
spartaco says:
Feb 12, 2013
Il problema è all’ordine del giorno per tutti gli imprenditori. Se il credito si incaglia, non resta che farsi il segno della croce. Il creditore è totalmente abbandonato, il giudice subentra solo per informarti che non c’è più nulla da fare e hai perso tutto. Ma la cosa più assurda? Nel 99% dei casi l’imprendotore fallito…. è già ripartito con una società nuova di zecca, con la benedizione dello Stato. E mentre sei ancora lì a leccarti le ferite, magari ti chiama pure per chiedergli se gli fai credito per ripartire. Giuro.
Michele D' Apolito says:
Feb 14, 2013
@ Spartaco, ti credo assolutamente, verifico nella mia quotidianità fenomeni come questo e temo che le novità introdotte sul concordato abbiano aumentato la tentazione di qualche bancarottiere in pectore di sfruttare il maggiore tempo a disposizione. l’abuso è certo connaturato ad ogni legge, ma spetta ai professionisti che assistono l’imprenditore fargli presente con senso di realtà quando una strada è impraticabile. e su questo, credimi tu, c’è una giungla imbarazzante per la categoria…