Speriamo non sia un male incurabile. La nuova riforma sanitaria (c.d. legge Balduzzi), approvata in tutta fretta e senza un serio dibattito parlamentare alle spalle, si rivela una pessima legge a partire dalle fondamenta. Il punto centrale della riforma, come i lettori ricorderanno, consiste nell’ obbligo per i medici di associarsi ed esercitare all’interno di un’unica struttura centralizzata (poliambulatorio). Ebbene, quella che può sembrare a prima vista una proposta suadente alle orecchie dei cittadini si rivela in realtà una “bufala” sia sotto il profilo della qualità del servizio sanitario che sotto quello economico, per vari motivi che vado ad esporre.

Sotto il profilo del servizio sanitario – non è vero che i cittadini avranno il proprio medico a disposizione per tante ore, bensì troveranno solo un collega di turno (solo se sono fortunati il proprio), il quale avrà di loro soltanto una serie di informazioni superficiali dalla scheda sanitaria elettronica, e non sarà certo nella condizione ideale di affrontare le patologie del paziente. Inoltre, molti dovranno affrontare lunghe distanze per recarsi in ambulatorio, magari per una sola ricetta, dato che il nuovo ambulatorio potrebbe essere molto distante dal vecchio studio. Infine, la copertura notturna, prefestiva e festiva, rimarrà a carico della guardia medica, così come avviene oggi, con l’aggravante che i medici preposti dovranno coprire anche la sede ambulatoriale, con possibili disservizi sia per le visite ambulatoriali che per le domiciliari urgenti notturne e festive.

Sotto il profilo economico –  come già evidenziato dalle Regioni, contrariamente a quanto affermato dal ministro Balduzzi e da Milillo (rappresentante della FIMMG, il sindacato dei medici di base), questa “rivoluzione” non sarà assolutamente a costo zero. In primo luogo le ASL dovranno fornire ai medici associati (20-25 colleghi) le strutture per i poliambulatori, che inevitabilmente dovranno avere dimensioni ragguardevoli: oltre ai medici di base, infatti, in queste strutture dovranno trovare spazio anche i medici specialisti, sottoposti anch’essi all’obbligo di coprire turni di 24 ore. Le Regioni dovranno sobbarcarsi non solo il costo delle strutture architettoniche, ma anche il costo del personale sottoposto ai turni: indennità per la copertura notturna e festiva degli specialisti e per il maggiore impegno dei medici di medicina generale; segretarie, infermieri, addetti alle pulizie e manutenzione. A ciò si aggiunga il costo per l’ acquisto di apparecchiature elettromedicali, incluse le analisi di laboratorio di emergenza, con tecnico adeguato. Altro che costo zero! La ventilata riduzione degli accessi in pronto soccorso rappresenta a mio avviso una pia illusione. Prima di tutto molti pazienti sceglierebbero comunque il pronto soccorso per la migliore organizzazione e accessibilità agli esami. Secondo, con l’aria di medicina difensiva che tira, vorrei sapere quale collega non invierebbe il paziente al dipartimento di emergenza qualora avesse anche il minimo sospetto di una polmonite (per eseguire un torace) o di un problema coronarico per il prelievo degli enzimi, che in poliambulatorio non si potrebbero dosare secondo metodiche sicure.

Ad aggravare l’impatto sulla spesa sanitaria, dobbiamo anche prendere in attenta considerazione quanto già avvenuto in altri Paesi come la Gran Bretagna. In quel Paese stanno facendo una seria autocritica, da quando si sono resi conto che l’apertura “allungata” degli ambulatori ha portato ad una maggiore domanda da parte degli utenti. In pratica i pazienti potendo accedere continuativamente alle strutture sanitarie, hanno innescato una maggiore richiesta di ricette, sia per esami che per farmaci. Ciò si è tradotto in un netto aumento della spesa sanitaria. Questo comportamento sicuramente si verificherebbe anche da noi, soprattutto tenendo conto della mentalità del paziente italiano medio. Esistono delle alternative percorribili e compatibili con le finanze pubbliche? Certamente sì, e sarà argomento di un prossimo articolo su Labeconomy.

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