Partiamo da questa notizia: la chiesa ortodossa in Grecia offre terra da coltivare, lo ha affermato l’arcivescovo Ieronymos. E boom è stato pure per le terre demaniali offerte da coltivare a prezzi irrisori. Ma occorreva proprio una severa crisi per pensare a queste possibilità? La necessità aguzza l’ingegno. Molti giovani cercano nell’agricoltura una via d’uscita, dopo aver inutilmente lottato per il posto di lavoro da dipendente o tentato senza successo un’attività commerciale. E se in Grecia il settore agricolo ha creato 32 mila posti di lavoro dal 2008 al 2010, anche da noi, nel secondo trimestre 2012 i lavoratori dipendenti del settore agricolo sono aumentati del 10,1% rispetto all’anno precedente e gli imprenditori under 35 del 4,2% (fonte Coldiretti). Una volta le tendenze americane varcavano l’Oceano e impattavano sui nostri costumi; ora è l’attigua Grecia a rappresentarci il futuro.
L’agricoltura pesa meno del 3% sul PIL italiano, complice un grande sviluppo degli altri settori, la nostra rivoluzione industriale primi anni ’60 e prezzi riconosciuti ai prodotti agricoli che non coprono neppure i costi di produzione. L’imprenditore agricolo non ha potere contrattuale nella determinazione dei prezzi, legati a logiche speculative internazionali e imposti da altri soggetti della filiera agroalimentare, dove la grande distribuzione organizzata la fa da padrone. Per ogni euro speso dal consumatore mediamente meno di 15 centesimi vanno nelle tasche degli agricoltori (dati Coldiretti e ISMEA) e almeno 30 centesimi se ne vanno per costi di logistica, packaging e promozioni. E la contraffazione dei nostri prodotti nel mondo non aiuta: se l’export agroalimentare fattura 30 miliardi di euro, quello dei finti prodotti “italianeggianti” ne fattura 90.
Ma il contributo dell’agricoltura alla nostra ricchezza di vita è ben superiore alla sua incidenza sul PIL, se soltanto consideriamo elementi intangibili quali la salvaguardia dell’ambiente e la salute pubblica. Dovrebbe rappresentare un presidio contro il consumo del suolo e l’urbanizzazione selvaggia, che rappresenta una stortura del PIL basato sul fare: capannoni vuoti e opere spesso inutili. Ricordiamo anche che per il nostro fabbisogno di cibo non siamo autosufficienti: nel 1960 in Italia si coltivava a cereali il doppio degli ettari di oggi. La terra è un bene scarso per sua definizione e ogni giorno 100 ettari di terreno italiano vanno persi.
Alcune idee concrete per sostenere il settore. I possibili rimedi sono diversi e non tutti facilmente perseguibili, dati i soggetti e gli interessi coinvolti. Ne citiamo alcuni: filiere corte, gruppi di acquisto solidale, iniziative km-0 e vendite dirette, agriturismo, marchi di identificazione/provenienza o di produzione “pulita” alla Farinetti, lavoro in network, produzioni ad alto valore aggiunto (di nicchia o da agricoltura biologica). Certamente occorre valorizzare il settore con interventi legislativi sia a livello nazionale che a livello comunitario. Ad esempio, il 90% del latte italiano a lunga conservazione arriva dall’estero ma i consumatori come possono saperlo? Non parliamo di sovvenzioni, neppure di trasformare l’imprenditore agricolo italiano in un imprenditore “industriale” ma di strumenti perché egli possa far valere l’eccellenza della sua produzione: il consumatore saprà premiarlo.
11 comments
gino berto says:
Gen 7, 2013
Speriamo che molte braccia tornino alla terra: i suggerimenti si sprecano!
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alessandro m says:
Gen 7, 2013
il Trota ha tracciato la via. Chissà che qualcun altro di quel milione e mezzo di italiani che vivono di politica non seguano l’esempio. Quando si dice braccia rubate all’agricoltura (senza sminuire il ruolo importante di chi lavora in questo settore, si intende). Sarebbe un bello spot per portare in auge l’importanza del settore agricolo, del paesaggio, della cultura e turismo, tutto ciò che ha fatto grande il nostro Belpaese dai tempi del Rinascimento.
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Francesco Presutto says:
Gen 8, 2013
Una “nuova” agricoltura basata sui concetti espressi da Darius (filiera corta, produzioni di qualità, valorizzazione delle eccellenze…)e, aggiungerei, gestita con canoni manageriali, sarebbe senza dubbio un valido aiuto alla ripresa dell’Italia. Oltre all’aspetto economico, riporterebbe in auge quei concetti di semplicità, umiltà e buon senso che abbiamo smarrito da qualche decennio a questa parte, e che ritengo essere necessari per una rinascita morale del Paese.
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stefano allegri says:
Gen 8, 2013
la mia riflessione è che: è necessario trovare uno spazio per l’innovazione in agricoltura, spazio che oggi viene in modo, a mio giudizio malsano, occupato dalla produzione di energia elettrica.
È necessario ripensare il settore con prospettive differenti e più imprenditoriali, l’agricoltura coincide ancora oggi con patrimonio dell’agricoltore, quando di fatto l’investimento dovrebbe essere una parte minimale dei ricavi creati e quindi della successiva reddittività.
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lorella pozzi says:
Gen 8, 2013
Argomento di estrema attualità su cui dovrebbe essere posta particolare attenzione anche a livello politico, per permettere un futuro migliore al nostro bel paese: maggiore ricchezza monetaria e soprattutto rilancio etico degli individui.
Gli ultimi dati economici disponibili segnalano comunque una forte ripresa delle esportazioni sia dei prodotti agricoli primari della nostra terra, che dei manufatti. Nel 2012 sono aumentate sensibilmente anche le esportazioni dello spumante verso i cugini francesi!?!
Piacerebbe anche a me potere intraprendere una attività nel “nobile” settore dell’agricoltura, regno da sempre dei valori della semplicità, spontaneità,umiltà, serenità,solidarietà..
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gino berto says:
Gen 9, 2013
Lorella, mi affacina la tua visione, romantica, talvolta vera…ma talvolta e spesso no… purtroppo. Pensiamo al passato remoto: la “gleba”, gli schiavi. Pensiamo al passsato prossimo: la mezzadria, le mafie. Pensiamo al presente: gli immigrati, i caporali. E il futuro? Speriamo non cada nelle mani delle multinazionali produttrici di sementi geneticamente modificati. Il mondo dell’agricoltura è duro, poco riconosciuto, vessato dalla grande distribuzione, in gran parte tutt’altro che solidale. Ma per fortuna stanno germogliando nuovi semi: il commercio equo e solidale si sta affermando, affrancando gran parte dei contadini del terzo mondo dalla dittatura delle grandi imprese. E fornisce prodotti eccellenti.
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darius says:
Gen 9, 2013
@Stefano: è attraverso il recepimento di direttive comunitarie che si è voluto creare, nell’ultimo decennio, l’imprenditore multifunzionale agricolo, quindi affiancandogli tutta una serie di servizi che, se portati all’eccesso, poco hanno a che fare con l’attività tradizionale. Ora molti campi sono coltivati solo per destinarne il raccolto agli impianti biogas. Questo perché il legislatore vedeva nell’agricoltura tradizionale una via senza uscita. A tutto però ci dovrebbe essere un limite, come da te correttamente sottolineato.
@tutti condivido i vs. validi contributi.
Aggiungo che personalmente non vorrei che la maggior redditività del suolo passi attraverso le sementi geneticamente modificate (come sottolineato da @Gino): una via senza ritorno. Si distruggerebbe la biodiversità e l’agricoltore diverrebbe novello servo della gleba delle multinazionali. Anche l’uso di pesticidi è uno degli imputati per la moria delle api. Senza di loro, al loro minuzioso operato, la Terra non sarebbe che una landa desolata, diversa da quella che conosciamo
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paola ferrari says:
Gen 11, 2013
A proposito di contraffazione: io sono stata all’estero a studiare ed è vero che in molti Paesi ci sono tantissimi prodotti alimentari che “fingono” di essere italiani. La differenza di qualità tra quelli autentici ed i “falsi” è però molto forte. E questo non vale solo per chi è cresciuto in Italia, abituato alla versione genuina, ma anche per gli stranieri che provano per la prima volta, ad esempio, un Parmigiano originale, al posto del loro Parmesan cheese, venduto in ogni supermercato. Il problema è che chi acquista questi prodotti molto spesso non è al corrente della loro non-originalità o pensa che siano comunque praticamente uguali agli originali. Non basta creare marchi DOP o DOC…bisogna fare in modo che i consumatori si rendano conto della differenza di qualità!
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aureliano says:
Gen 12, 2013
Brava Paola! Hai denunciato un problema gravissimo. Si stima che la contaffazione dei nostri prodotti sia un business da 60 miliardi di euro! Fonte: Confederazione Italiana Agricoltori.
http://www.tigulliovino.it/dettaglio_articolo.php?idArticolo=6993
Cito:” Si va dal Parmesao (Brasile) al Regianito (Argentina), al Parma Ham (Usa), al Daniele Prosciutto & company (Usa), dall’Asiago del Wisconsin (Usa) alla Mozzarella Company di Dallas (Usa), dalla Tinboonzola (Australia), alla Cambozola (Germania, Austria e Belgio), al Danish Grana (Usa). Basti pensare che solo negli Stati Uniti il giro d’affari relativo alle imitazioni dei formaggi italiani supera abbondantemente i 2,5 miliardi di dollari.”
Notare: americani primi in classifica!!
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luca p says:
Gen 12, 2013
Negli anni della crisi, la terra è tornata ad essere un bene rifugio e i prezzi si sono alzati. Questa situazione, sommata alla difficoltà di accesso al credito, rende oggettivamente difficile per giovani affrontare l’investimento nella terra.
Lo Stato dovrebbe considerare che lo sviluppo dell’agricoltura, come è stato ben detto, non è soltanto fonte di occupazione ma anche presidio ambientale e minore dipendenza alimentare dall’Estero (ho appreso anche io con sorpresa che l’Italia è dipendente dall’Estero per il 40% del cibo consumato!).
Una proposta concreta: mutui agevolati per i giovani che desiderano acquistare un terreno per l’avvio di una impresa agricola.
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spartaco says:
Gen 12, 2013
Tutte bellissime idee.
Però vorrei ricordare a tutti che l’unica cosa che i geni che ci governano hanno saputo fare, è stato di piazzare l’IMU pure sui terreni agricoli e costruzioni annesse!!!
Sempre lucidissimi non c’è che dire.
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