Il bollettino è quasi di guerra: tre milioni i senza lavoro, un tasso di disoccupazione all’11% che sale in maniera preoccupante al 36% per i giovani. Si aggiunga la cifra di Bankitalia rispetto alla perdita di ricchezza degli italiani, dal 2007 ad oggi, calata del 5,8% in termini reali. Un panorama più freddo della neve che sta investendo l’Italia. Una crisi acuta e forte che andava aggredita con reazioni altrettanto energiche soprattutto in tema di partecipazione al mercato del lavoro.
A tal proposito la riforma Fornero è stata una risposta non convincente rispetto ai propositi con cui era stata annunciata, e da un certo punto di vista quasi “anticiclica”; la sua logica di fondo, improntata alla stabilizzazione del rapporto di lavoro, è a mio avviso più adatta ad un welfare da ciclo economico di espansione. Le fasi congiunturali recessive che stiamo vivendo avrebbero piuttosto richiesto forme di forte flessibilità e facilitazione all’ingresso nel mondo del lavoro. Il tema del welfare resta un cantiere aperto che richiederà ulteriori ed urgenti provvedimenti.
Fin qui l’analisi. Ma ritengo fondamentale, soprattutto in questa materia, passare alle proposte concrete. A mio avviso, la sfida si può giocare su molteplici livelli di intervento:
- sistema produttivo: occorre concentrare per almeno tre/cinque anni gli sforzi per consentire alle imprese di risollevarsi e soprattutto di tornare ad essere competitive e con rinnovata capacità di assorbimento di forza lavoro
- normativa del lavoro: è fondamentale premiare le aziende che assumono piuttosto che disincentivare le forma contrattuali a termine. Esattamente La direzione opposta imboccata dalla recente riforma.
- miglior raccordo tra istruzione e lavoro: scuole ed università dovranno progressivamente allinearsi alla richiesta di formazione tecnica e scientifica proveniente dalle imprese
- ruolo dei Centri per l’Impiego, da rendere più incisivi trasformandoli in vere agenzie di servizi per il personale
- contrattazione di secondo livello: deve diventare predominante. E’ necessario definire a livello aziendale le regole contrattuali su organizzazione e produzione, lasciando al contratto collettivo nazionale una funzione di garanzia su trattamenti normativi ed economici comuni.
- politica fiscale sul reddito da lavoro: ridurre i prelievi sul salario di produttività è urgente per combattere il cuneo fiscale che oggi soffoca il reddito dei lavoratori.
Con strategie di questo tipo la Germania è scesa sotto la metà del nostro indice di disoccupazione. Questa sfida l’Italia non può più rinviarla.
5 comments
gino berto says:
Dic 18, 2012
Massimiliano, io non sono un tecnico e quindi ho difficoltà ad andar oltre l’attenta lettura del tuo articolo. E così non farò alcun commento, se non quello di approvarlo in toto, icona di testa compresa.
italyFromAbroad says:
Dic 18, 2012
Grazie Massimiliano, apprezzo il pragmatismo costruttivo del tuo intervento.
aureliano says:
Dic 19, 2012
Credo che qualsiasi legge sul lavoro, in questo momento storico, debba partire da un semplicissimo concetto: aiutare l’imprenditore che oggi dice “nel dubbio, non assumo” a dire “nel dubbio, assumo”.
Tutto il resto viene di conseguenza.
spartaco says:
Dic 19, 2012
Aureliano, scusa ma sei un po’ illuso. Sai che in Italia le cose semplici non passano mai.
Per le nostre menti eccelse è meglio pensare di rendere forzatamente “eterno” ciò che nella realtà cambia continuamente.
Con i risultati che vediamo.
alessandro m says:
Gen 3, 2013
un mio professore canadese mi ha detto recentemente: il vostro problema è che siete 60 milioni in un territorio così piccolo! E se guardiamo a chi sta meglio, troviamo Australia, Canada, Brasile: grandi territori (anche con risorse naturali) e tutto da fare, con relativamente poca popolazione. Sarà semplicistico ma è come pensare ad una numerosa famiglia in una piccola casa. O si lavora tutti come matti (leggasi giapponesini delle prima ora) o si litiga tutti quanti per lo spazio vitale (sarà crudo, ricorderà qualcosa, ma è veritiero). Le risorse sono poche e non bastano. La valvola di sfogo è sempre stata l’emigrazione.