L’acciaio, lega a base di ferro, è un prodotto molto versatile e viene utilizzato da ampi settori dell’industria manifatturiera, dalla cantieristica fino alle industrie di scatolame. Già dai primi anni del secolo scorso ha rappresentato un irrinunciabile substrato per l’industria pesante e per un ruolo strategico della nazione. Oggi il “sistema Ilva” vuol dire soddisfare il 40% delle richiesta nazionale di acciaio e l’1% di incidenza sul PIL. L’acciaieria di Taranto, rilevante anche per i temi della salute e dell’occupazione, riporta inoltre l’attenzione sul modello produttivo italiano e sulle sue tendenze di sviluppo. La nostra economia è composta ormai prevalentemente da servizi (78% sul Pil) mentre il settore manifatturiero e agricolo hanno sempre minor peso.
In particolare sul settore manifatturiero si addensano molte nubi. Dal 1976 ad oggi il peso della manifattura sul Pil si è praticamente dimezzato: dal 30% al 16%. Il contenuto tecnologico del settore è inferiore rispetto ad altri paesi industrializzati, forse perché pesa l’assenza di numerose grandi industrie elettroniche e chimiche, chiuse negli anni’80-’90. Le nostre brillanti tecnologie non fanno massa critica e siamo caratterizzati da comparti che “utilizzano processi produttivi relativamente facili da imitare all’estero, che richiedono investimenti sul marchio più che sulla ricerca di base e che si trovano a concorrere sul prezzo con Paesi il cui costo del lavoro è più basso” (fonte: “XVII Rapporto sull’economia”, centro studi Luigi Einaudi, curato da Mario Deaglio).
Eppure il manifatturiero continua ad essere un fondamentale volano di sviluppo. Da qui partono i guadagni di produttività dell’intero sistema economico attraverso le innovazioni utilizzate dal resto dell’economia. Ma vi è di più: oltre il 78% delle nostre esportazioni sono costituite da prodotti industriali, attraverso i quali possiamo finanziare le importazioni di materie prime, energia e alimentari. Inoltre, considerando l’interazione tra i vari settori (in primis i servizi per le imprese), è dimostrato che un calo dell’attività manifatturiera ha un effetto esponenziale sull’intero sistema economico: si calcola che un calo del 10% avrebbe un effetto sul Pil pari a circa il doppio.
Insomma, l’importanza della manifattura va molto al di là di quanto non appaia dalle fredde statistiche. E’ vero che la tendenza alla contrazione del peso del settore manifatturiero è comune a tutte le maggiori economie avanzate. Tuttavia, Paesi come Stati Uniti, Germania, Regno Unito e Francia hanno da tempo focalizzato il problema, intervenendo in vario modo: sia apertamente a difesa dell’industria nazionale, sia attraverso interventi sulla competitività complessiva del sistema economico. Il nostro Paese ha come al solito un grande gap da recuperare. Personalmente, non credo molto alle politiche pubbliche di sostegno a specifici settori. Ritengo piuttosto che sia necessario partire dai parametri di competitività dell’intero sistema economico, per individuare delle precise priorità di intervento. Ma questo è un tema complesso, che avremo modo di affrontare.
6 comments
spartaco says:
Dic 10, 2012
Il problema dei piccoli imprenditori industriali come me, non è quello di avere un sostegno pubblico. Non è nemmeno quello di avere finanziamenti e agevolazioni. E’ QUELLO DI NON ESSERE HANDICAPPATI DA UN SISTEMA INSOSTENIBILE CHE CI RENDE NON COMPETITIVI sotto tutti i profili:
– tasse
– burocrazia
– costo del lavoro
– giustizia
– eccc…..
Non chiediamo condizioni di vantaggio, ma nemmeno di giocare con i ceppi alle caviglie rispetto alle altre economie avanzate (attenzione, non mi sto paragonando a Cina, India and company).
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italyFromAbroad says:
Dic 10, 2012
Grazie Darius per la lucida analisi. Le previsioni di ‘crescita’ economia per l’Italia sono di -0.3% per il 2013. Una decisione sbagliata sull’Ilva può peggiorare questo dato fino al -1.3%. L’Italia sta chiudendo uno dei peggiori anni della sua storia economica con un PIL a -1.9%… Non tiriamoci la zappa sui piedi!
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darius says:
Dic 10, 2012
Spartaco mi ricorda cosa è importante per un imprenditore.
Una recente analisi sulla competitività di Deloitte, riguardante il settore manifatturiero, cita come fattore importante la possibilità di “innovare e avere talenti a disposizione”. Altri fattori chiave sono i costi energetici, infrastrutture fisiche e logistiche, il costo del lavoro e dei materiali. Non meno importante, è il sistema economico, finanziario e fiscale di un paese oltre alla disponibilità di un sistema giuridico e normativo rapido ed efficiente. Per la cronaca ci piazziamo al 32° posto in questa classifica, basata su interviste a CEO mondiali. E se guardiamo invece alla classifica stilata dagli esperti del World Economic Forum, l’Italia si piazza al 42° posto, penalizzata anche dal sottosviluppo del nostro mercato finanziario e dalla diffusa corruzione. E mi piace ricordare che altri fattori di competitività di un sistema economico sono la sanità, l’educazione, la formazione.
E ora qualche dato, giusto per sapere come siamo messi:
1- secondo l’ultimo rapporto PWC in Italia le imposte sulle imprese si portano via il 68,3% dei profitti. E’ una media ma sono sicuro che a volte si portano via anche le “perdite”, cioè si pagano imposte pur in presenza di perdita finale
2- secondo Nomisma Energia, l’energia costa il 40% in più rispetto alla media europea
3- per la World Bank, per un imprenditore italiano chiedere giustizia vuol dire attendere anche 642 giorni in più rispetto ad un suo pari comunitario
4- secondo Transparency International, in una scala da 1 a 10 (minima corruzione), l’Italia è 3,9 (Germania 8)
In definitiva, qui in Italia vi è una selezione naturale dove sopravvivono i più temprati. L’imprenditore italiano è così allenato alle avversità strutturali del sistema paese, che non ha nessuna paura nell’affrontare i mercati esteri. E in effetti le esportazioni tengono ancora.
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david pierantozzi says:
Dic 11, 2012
Stamattina per l’ennesima volta sono passate in televisione le immagini del Presidente Obama in visita alle fabbriche di automobili di Detroit. Sono frequentissime le visite del capo della Casa Bianca nelle fabbriche americane. Le cose che mi colpiscono sono almeno due. La prima, vedere il presidente tenere i suoi discorsi a bordo di una catena di montaggio. La seconda, vedere gli operai che lo applaudono con entusiasmo.
C’è tutto in queste immagini: c’è uno Stato che dice alle industrie quanto esse siano importanti per tutti i cittadini, che fa sentire alle imprese manifatturiere di essere un patrimonio nazionale.
E ci sono gli operai di quelle fabbriche che evidentemente si sentono parte di qualcosa, si fidano delle istituzioni, sono motivati a collaborare nei momenti difficili accettando sacrifici anche molto pesanti.
Certo, ogni Paese ha la sua storia. Ma per noi c’è davvero tanto su cui riflettere.
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Francesco Presutto says:
Dic 11, 2012
E’ di oggi la notizia che il gruppo Lucchini fermerà per un mese l’altoforno di Piombino: 2300 persone in cassa integrazione o ferie forzate, senza considerare le ripercussioni sull’indotto. Un altro duro colpo per il comparto manifatturiero di casa nostra. Sullo sfondo la possibilità di cessione dell’impianto al fondo svizzero Klesch, lo stesso che si era proposto per l’acquisizione dell’Alcoa di Portovesme.
Ridare slancio e sostegno all’industria italiana deve essere una priorità nel programma del Governo, qualunque esso sia.
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darius says:
Dic 11, 2012
purtroppo è evidente che tutto il sistema economico è in affanno. E’ evidente nella vita di tutti i giorni: dall’imprenditore che passa notti insonni, al lavoratore che combatte con un potere d’acquisto al lumicino.
E parlo anche del settore agricolo e dei servizi. Fa tristezza notare i negozi vuoti e i commessi guardare fuori in attesa di qualcuno. Ma non è demagogia, occorre veramente trovare il bandolo della matassa. Comincerei ad eliminare tutto ciò che è inutile, tutto ciò che non serve al cittadino, tutto ciò che non porta valore aggiunto. E senza guardare in faccia a nessuno, dato che la situazione richiede scelte indifferibili.
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