Il lavoro: un tema a cui mi avvicino con molto rispetto, come si deve fare con qualcosa che riguarda la vita di tutti noi. Dei più forti e dei più deboli. Dei più fortunati, dei più garantiti, dei più rappresentati e quelli che di fortuna, protezioni e garanzie ne hanno avute ben poche. Proprio in questi giorni tutte le parti in campo stanno compiendo uno sforzo che mi pare serio per cambiare alcune regole oggettivamente obsolete. Dobbiamo fare il tifo perchè questo accada. Dobbiamo davvero augurarci che la montagna non partorisca un topolino frutto di qualche compromesso al ribasso, come già ahimè troppe volte in passato (purtroppo proprio oggi la trattativa pare essersi nuovamente incagliata). Vorrei provare a fissare alcuni principi ai quali secondo noi la riforma dovrebbe ispirarsi e poi, a cose fatte, verificare se le cose sono effettivamente andate come auspicavamo.
Il primo: contrastare il fenomeno dei “precari a vita”. Troppi giovani sono tenuti in questa umiliante condizione. Anche giovani capaci, volonterosi e preparati. Attenzione però: non dobbiamo pensare che il fenomeno sia dovuto al fatto di avere, dall’altra parte, imprenditori che sfruttano cinicamente la situazione lucrando sulla pelle dei giovani. Ritengo piuttosto che sia il frutto di una spirale perversa indotta dalla recessione da un lato e da un sistema di regole troppo rigide dall’altro sui contratti a tempo indeterminato. Quindi: sacrosanto disincentivare il precariato e favorire la stabilizzazione; ma ricordiamo che un certo grado di flessibilità in azienda è assolutamente necessaria e dunque se la riduciamo da una parte dovremo aumentarla dall’altra (vedi punto 3).
ll secondo: colpire gli abusi nell’utilizzo degli ammortizzatori sociali. La cassa integrazione deve tornare ad essere ciò per cui era originariamente nata: uno strumento per affrontare una crisi temporanea (cassa ordinaria) o un processo di ristrutturazione (cassa straordinaria). Al di fuori di queste fattispecie, quando la situazione è palesemente irrecuperabile ed i posti di lavoro sono perduti, devono entrare in gioco i sussidi di disoccupazione. La cassa straordinaria come ulteriore cuscinetto prima della mobilità non mi pare abbia molto senso, ha costi molto elevati per le casse dello Stato e prolunga l’agonia dell’impresa. Alla giusta tutela dei lavoratori si può provvedere con un idoneo sussidio.
Il terzo, il temutissimo articolo 18, totem e tabù a seconda dei momenti e dei ministri, al centro di scontri acerrimi, di scioperi generali annunciati e realizzati, è stato finora di fatto intoccabile. Pur prevedendo formalmente una “giusta causa”, l’effetto pratico di questa norma nel sistema giuridico italiano è quello di non potere mai licenziare nessuno, quali che ne siano i motivi (mi riferisco chiaramente ai licenziamenti individuali). Non si può negare che una tale rigidità abbia un riflesso psicologico ben preciso, specialmente sul piccolo imprenditore (se hai 20 o 30 dipendenti non sei certo grande!) e in tempi di crisi. “Prima di assumere qualcuno ci penso cento volte!”, ecco quello che ci sentiamo dire quotidianamente nelle aziende che frequentiamo. Bisogna rendersi conto che in una realtà di queste dimensioni, sbagliare l’assunzione di un commerciale o di un tecnico che costa 100 mila euro l’anno e non fa il suo lavoro o non rispetta le regole o semplicemente non va bene in quel ruolo o in quell’ambiente (nota bene: potrebbe anche essere l’azienda che non fa per lui!) non è sostenibile e mette a repentaglio gravemente tutta l’organizzazione. O magari semplicemente per via della crisi quel costo non è più sostenibile. E allora? E allora deve essere possibile per l’impresa dire alla persona “così non possiamo andare avanti”. Naturalmente garantendo un congruo indennizzo, magari commisurato al periodo della collaborazione e all’età anagrafica. In Germania è così. In Francia anche peggio. In Spagna la nuova riforma è andata esattamente in questa direzione. Personalmente ritengo che sia una scelta obbligata se vogliamo liberare seriamente il mercato del lavoro nelle nostre PMI. Fermo restando naturalmente un “no” senza se e senza ma a qualsiasi licenziamento che sappia di discriminazione o persecuzione, caso per il quale (ma solo per questo) la possibilità di reintegro deve rimanere ferma.
17 comments
maxfal says:
Mar 21, 2012
La riforma del mercato del lavoro, come d’altra parte quella delle pensioni, sono sempre stati terreni minati per la politica: meglio leggeri interventi (se non addirittura rinvii) per non rischiare voti! Solo un governo come questo, senza ipoteche sul futuro e quindi libero da vincoli rielettivi può affrontare questioni così importanti per il rilancio del nostro paese. La riforma del lavoro, come dice bene Pierantozzi, deve essere fatta senza compromessi al ribasso, passando da una logica di welfare ad una di workfare. In Italia non si conoscono politiche attive del lavoro,non abbiamo mai creato realmente un mercato aperto e accessibile così come non è mai stato concepito un meccanismo efficace di riqualificazione e di sostegno al reinserimento in caso di perdita di occupazione.
Per questo che accanto alla misure contenute nel testo di cui si sta discutendo occorrerebbe valutare un piano articolato che riveda le competenze dei Centri per l’Impiego, un processo di outsourcing ai privati (agenzie per il Lavoro) per il monitoraggio dei fenomeni dispersivi e la predisposizione di azioni formative e l’inserimento obbligatorio per le imprese di progetti di outplacement in caso di riduzione del personale.
In ultimo dovrebbe essere assolutamente affermato il principio per chi gode di un sussidio di disoccupazione che qualora rifiutasse una proposta lavorativa dovrebbe perdere i benefici economici che sta percependo. Oggi queste regole non vengono applicate perché gli uffici di collocamento e l’INPS non dialogano tra loro.
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gino berto says:
Mar 21, 2012
E’ una vera partita a scacchi. Quantomeno lo spirito delle parti è quello dello scacco matto: io vinco e tu perdi. Le pedine hanno faccie e ruoli ben precisi e tutte vogliono fare delle mosse che evidenzino la propria indispensabilità e giustifichino la propria esistenza. Ma si pensa poi alle conseguenze che ciascuna mossa ha nello scacchiere vero della realtà? Già perchè il dubbio è che queste teste d’uovo facciano tutte le analisi, quella della situazione, dei problemi, della decisione, ma non facciano l’analisi dei problemi potenziali che nascono dalle loro decisioni. E soprattutto, una volta che hanno verificato che il problema da potenziale diventa problema e basta, non fanno niente per apportare gli aggiustamenti necessari. E così dalla flessibilità è nata la precarietà, dalla cassa integrazione è nata l’assistenza, dalla tutela del posto di lavoro è nato il mantenimento del posto di lavoro a prescindere. L’augurio è che si passi dal gioco degli scacchi al gioco del ballo, dove per non pestarsi i piedi se uno fa un passo avanti l’altro deve fare un passo indietro e viceversa. Con soddisfazione di entrambi.
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Monica says:
Mar 21, 2012
I punti analizzati sono sacrosanti e fotograno perfettamente la realtà del mondo del lavoro..realtà che ha mandato in tilt il sistema!
E’ vero che bisogna contrastare il fenomeno del precariato a vita e si sottolinei, ahimè, che non è problema dei soli giovani ma di un ampio spettro di categoria dei lavoratori. Riguarda i dipendenti privati, ma anche i pubblici (vedi settore istruzione!). Bisogna dare credito al problema dei precari, MA è d’obbligo intersecare il punto uno al punto tre. E’ necessaria anche una tutela maggiore per il datore di lavoro che se sbaglia dipendente, paga a caro prezzo. Ci vogliono leggi e tutele a monte per l’una e l’altra categoria.. perchè allo stato attuale nè l’una nè l’altra se la passano bene.
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David Pierantozzi says:
Mar 21, 2012
Ciao Monica, benvenuta nel Laboratorio! Mi fa molto piacere incontrarti e ti ringrazio per le giuste puntualizzazioni, che ci fanno riflettere sul fatto che oggi non ha veramente più senso contrappore i giovani ai meno giovani nè gli imprenditori dai prestatori d’opera. Una riforma seria deve essere positiva “per il sistema impresa” e non soltanto per una parte, altrimenti nessuno ne trarrà alcun beneficio. Speriamo che questo principio sacrosanto possa prevalere sulla bieca difesa degli interessi di parte.
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alessandro m. says:
Mar 21, 2012
analisi ineccepibile. L’unica cosa, relativamente al tuo terzo punto, è la sottile linea che corre tra il motivo di “discriminazione” (visto dal lato del dipendente) e quello di “inadeguatezza” (visto dal lato del datore di lavoro). Mi sa che il primo dipendente messo alla porta farà appello al motivo discriminatorio
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matteo bettini says:
Mar 23, 2012
Prima di tutto complimenti per l’iniziativa del laboratorio di idee che state sviluppando.
Personalmente credo che una riforma del mercato del lavoro debba ricomprendere anche un ripensamento del ruolo dei sindacati da una parte e associazioni di categoria dall’altra.
La vera sfida dovrà essere quella di trovare un punto di equilibrio tra una nuova generazione di lavoratori, che già si muove in assenza di coordinate sociali e che potrebbe ritrovarsi non solo precaria ma anche privata di alcuni diritti basici, e le esigenze di un’economia d’impresa che deve ripartire.
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david p says:
Mar 23, 2012
Grazie Matteo e benvenuto nel Laboratorio! Il tema che suggerisci lo trovo interessantissimo, il ruolo del sindacato e delle associazioni di categorita merita senz’altro un tavolo di discussione apposito che spero riusciremo ad imbastire presto.
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ace69 says:
Mar 25, 2012
Voglio denunciare una lacuna di questa riforma potenzialmente molto pericolosa che riguarda il c.d. “popolo delle partite Iva”. Questi lavoratori in Italia pare siano almeno 5 / 6 milioni, non hanno alcuna rappresentanza e restano regolarmente stritolati dal dualismo industria/ sindacati che ovviamente fanno soltanto gli interessi dei propri associati. Vengo al punto: il Governo si appresta ad affermare il principio che tutti i lavoratori con partita iva e cliente unico (o quasi)sono “dipendenti mascherati” e dovranno essere assunti dal loro committente. Innanzitutto questo non è vero: conosco personalmente giovani che, pur non essendo iscritti ad albi ed avendo un cliente prevalente, stanno benissimo nella loro condizione di lavoratori autonomi e non vogliono essere trasformati in dipendenti. In secondo luogo, pensiamo a quante persone non più giovani hanno in essere collaborazioni con partita iva con aziende che, se costrette a scegliere, li lasceranno certamente a casa! Allora dico: fermo restando il principio giusto di combattere gli abusi, non si può essere così drastici. La realtà mi pare molto più variegata di quella che immaginano i Signori Professori, e soprattutto andrebbe esaminata nella sua interezza. Evitando magari i pranzi di Cernobbio.
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spartaco says:
Mar 25, 2012
Confermo quello che dice Ace, cioè il rischio che molte partite iva non verranno trasformate in lavoratori dipendenti ma semplicemente perderanno il contratto di lavoro. Perchè viene previsto un automatismo senza la possibilità per il “professionista” di confermare liberamente la sua volontà di mantenere lo status di partita iva? Pensiamo che siano tutti sotto ricatto? Ma dai Prof!
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gino berto says:
Mar 26, 2012
Bravo ACE, hai toccato un punto vero. E nel contempo ci hai fatto capire quanto facilmente si può sbagliare se non si riflette bene prima di prendere una decisione. Ma credo che ai professori non manchi l’attitudine alla riflessione e nemmeno chi può eventualmente, a peso d’oro, aiutarli e consigliarli. Speriamo.
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mary73 says:
Mar 26, 2012
Insomma che il precariato sia la logica di molte imprese indipendentemente dalle potenziali riforme è cosa nota, c’e’ interesse ad avere monodopera mal pagata e quando si vuole; basta pensare al turnover che c’e’ nelle societa’ di consulenza. Occorre cambiare un po’ la logica aziendale prima di fare una riforma, la mentalita’ degli imprenditori, per non lasciare a quella “giusta causa” il tempo che trova…..
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David Pierantozzi says:
Mar 26, 2012
Ciao Mary73, benvenuta nel Laboratorio! La tua notazione è sicuramente un monito per una certa parte più “spregiudicata” del mondo imprenditoriale (secondo me fortunatamente minoritaria nelle PMI a matrice familiare ma molto diffusa, come dici, in altri ambienti) a non dimenticare mai, pur nelle difficoltà del momento storico, i valori fondamentali delle relazioni umane; primo tra tutti un senso di correttezza e di equità nei confronti dei propri collaboratori.
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spartaco says:
Mar 29, 2012
Sento da diverse parti dire che la riforma proposta dal Governo sarebbe peggiore del modello tedesco, perchè in Germania il lavoratore può sempre ricorrere al giudice ed esiste anche la possibilità di reintegro in caso di finti licenziamenti economici. Però si dimenticano due “piccole” cose:
1. la precentuale di dipendenti che impugnano il licenziamento davanti al giudice è bassissima perchè, in caso di sconfitta, il lavoratore NON ha più diritto ad alcun indennizzo.
2. I giudici danno quasi sempre ragione alle aziende, salvo ingiustizie eclatanti.
Non voglio entrare nel merito di formule giuste o sbagliate, dico soltanto che i sistemi degli altri non andrebbero citati solo per le parti che fanno comodo; ricordando che, nella fattispecie, mi pare un po’ difficile applicare il modello tedesco senza i tedeschi.
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ace69 says:
Apr 9, 2012
A proposito del mio precedente intervento, forse qualcuno si è accorto dell’assurdità del provvedimento automatico di conversione delle partite iva a tempo indeterminato, che darebbe un colpo letale a tanti piccoli operatori, soprattutto giovani e ultracinquantenni. Auguriamoci che il Parlamento si ricordi di esistere per qualcosa che non siano i rimborsi elettorali e riesca ad emendare questa assurdità.
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david p says:
Apr 10, 2012
Ringrazio Ace69 per aver sollevato sul Laboratorio il problema delle partite Iva con oltre 2 settimane di anticipo rispetto alla stampa nazionale. Ora pare che se ne siano accorti anche i Professori. Segnalo che abbiamo ricevuto in redazione varie segnalazioni di amici e lettori il cui futuro lavorativo rischia di essere seriamente compromesso dalla “mannaia” prevista dalla prima bozza del provvedimento.
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cicolandia says:
Apr 12, 2012
La riforma del mercato del lavoro, in questo momento, insieme ai vari provvedimenti economici di Monti può costituire o l’ancora di salvezza del Ns. Paese o il definitivo colpo di grazia. Occorre dunque ponderare e studiare molto bene i provvedimenti da adottare, impiegando anche un pò piu tempo di quanto previsto dalla tabella di marcia del Ministro.
A mio ,per risolvere il problema dell’occupazione, non bisogna ricorrere agli ammortizzatori sociali , considerate soluzioni “tampone”, ne modificare l’art. 18, bensì “creare occupabilità” . Come farlo? Innanzi tutto sgravando ogni tipo di impresa ancora del 5/7% dai costi complessivi dei lavoratori e “incentivando”, anche attraverso “patti territoriali” aziende esistenti e nuove aziende; ma come debbono avvenire gli incentivi? Attraverso “accordi tra le parti” tra Imprese, Enti disposti a destinare incentivi economici e sindacati, tutto questo in cambio di cosa? Di impegno da parte di imprese di assumere con contratti almeno triennali lavoratori del terrotorio e di non licenziarli se non siano passati tre anni, in maniera di assicurare un minimo di stabilità anche in tempi di crisi e a fronte cali di produzione. Tutto questo sistema può essere troppo dispendioso per le casse del nostro Belpaese? Non mi sembra una idea pazza! Costa troppo questo sistema? Proviamoci…crisi per crisi!!!!!
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David Pierantozzi says:
Apr 16, 2012
Benvenuto a Cicolandia nel Laboratorio! Da operatore del settore, ha messo sul tavolo la stimolante proposta dei “patti territoriali” in grado di offrire stabilità in cambio di incentivi. Una proposta che mi pare potenzialmente positiva per crescita ed occupazione, a condizione di trovare le risorse necessarie e di non finire (come purtroppo spesso è stato in questo Paese) per creare posti artificiali, non rispondenti a reali esigenze industriali, all’unico scopo di beneficiare di sovvenzioni pubbliche.
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