Le manovre degli ultimi mesi stanno rendendo lo Stato sempre più invasivo nella vita delle imprese e dei privati cittadini. La trasparenza richiesta alle imprese, senza distinzione di dimensioni, è sempre più totale: l’Agenzia delle Entrate chiede all’imprenditore di inviare in via telematica ogni genere di dati, prospetti e documenti (il famigerato spesometro è solo l’ultimo di una lunga serie); per non parlare dei conti correnti bancari sui quali la stessa Agenzia proclama di voler attuare un monitoraggio tanto serrato da far impallidire il Grande Fratello di orwelliana memoria.

E che dire del nuovo redditometro? Andrà a fare la radiografia dei nostri beni grandi, medi e piccoli, dalle case alle automobili, dai viaggi alle colf, passando per le scuole dei figli e l’abbonamento alla palestra. Un pressing senza precedenti, passando “da un estremo all’altro” in uno schema tipicamente italiano. Ai limiti della violazione di diritti fondamentali, tanto da far dire al garante della privacy, destatosi per l’occasione dal suo torpore,  che la situazione configura “uno strappo allo Stato di diritto”. Detto questo, il pressing  forsennato sarebbe anche condivisibile alla luce della spaventosa evasione fiscale che avvinghia questo Paese, se non fosse per un piccolo particolare….. la richiesta di trasparenza è totalmente e assolutamente….. a senso unico!

Imprese e cittadini sono vivisezionati, ma possono sapere poco o nulla circa le modalità di impiego delle risorse da parte delle pubbliche amministrazioni. La gran parte delle decisioni di spesa sono gelosamente nascoste nelle segrete stanze dei vari assessorati (a tutti i livelli) e contabilizzate in modo criptico e inaccessibile. Magari facendosi pure scudo tarmite la legge sulla privacy.  Al contrario, informazioni quali budget e consuntivi, dettagli di spesa, nomi dei responsabili dei centri di costo, prezzi delle forniture, gare e consulenze in essere (tanto per dirne alcuni) dovrebbero essere disponibili in rete e facilmente reperibili per tutti. Perché no? In fondo non è proprio questo che lo Stato sta chiedendo alle imprese private e ai cittadini? E per lo Stato non deve valere?

L’Open Budget Index, lo studio dei bilanci curato dall’International Budget Partnership (link), analizzando l’accessibilità ad otto documenti fondamentali di budget, stila la classifica dei Paesi più o meno trasparenti: la survey del 2010 dice che l’Italia è in ventiquattresima posizione, dietro a Paesi avanzati come Regno unito, Francia, Norvegia, Svezia, Stati Uniti, Sud Africa e Nuova Zelanda (top six), ma anche…. udite udite dietro a India, Polonia, Ucraina, Repubblica Ceca, Russia, Mongolia, Romania, Paesi con tradizione democratica non proprio centenaria.

In conclusione amici la trasparenza non è una strada a senso unico. Lo Stato la potrà veramente pretendere ed ottenere trasparenza dalle imprese e dai cittadini il giorno in cui sarà anche in grado di offrirla. Se no non è democrazia, non è Stato di diritto, ma semplice esercizio di autorità fine a se stesso.

Print Friendly, PDF & Email