Dopo undici anni (undici!) di inutile attesa per le autorizzazioni, British Gas ha deciso di abbandonare il progetto del rigassificatore di Brindisi. L’Ad di British Gas Italia, Luca Manzella, ha annunciato nei giorni scorsi sul Sole 24 Ore che «la casa madre delusa e scoraggiata dall’infinito braccio di ferro con le autorità italiane ha deciso di riconsiderare dalle fondamenta la fattibilità dell’investimento» e di aver chiesto la mobilità per i venti dipendenti, nonostante i 250 milioni di euro già investiti. Il progetto, pensato nel 1999, autorizzato nel 2003, avviato nel 2005, contrastato e sospeso nel 2007 (!!), con tanto di sequestro dell’area per tangenti, avrebbe dovuto garantire l’approvvigionamento di 8 miliardi di metri cubi di gas all’anno creando 1000 posti di lavoro ed un notevole indotto in tutta l’area.
Undici lunghi anni sono sì un’eccezione, ma la regola non è per niente incoraggiante: ben 258 giorni in media è il tempo necessario per avere un permesso di costruzione in Italia! (rapporto «Doing Business» della Banca Mondiale). I nostri sono tempi biblici, prima di avere il benestare, occorre superare le forche caudine di ben 11 permessi. Per non parlare dei 36 giorni all’anno rubati annualmente dal “mostro burocratico” per gli adempimenti fiscali. Se pensiamo a cosa ha riferito l’imprenditore Corniani nella recente intervista sul LaboratorioPMI in merito alle facilitazioni che si incontrano negli Stati Uniti, vengono i brividi.
L’osservatorio internazionale della Banca Mondiale ha stilato una illuminante classifica dei Paesi dove è meno complicato fare affari e aprire un’azienda, tenendo conto di diversi fattori, come le libertà economiche, la facilità di accesso al credito, la semplicità del Fisco e l’efficienza dei tribunali. Ebbene, l’Italia si trova all’87mo posto posto su 183 (rapporto «Doing Business»). Neanche a dirlo: Stati Uniti, Germania e Francia sono rispettivamente in quarta, diciannovesima e ventisettesima posizione; più sorprendente è trovarsi alle spalle di Paesi ex comunisti come Romania e Ungheria e di diversi Paesi dell’America Latina (rapporto «Doing Business»). Inoltre, l’Italia si trova al penultimo posto in Europa tra gli Stati che hanno accolto investimenti esteri in rapporto al PIL, solo la Grecia sta dietro OCSE Foreign Direct Investment Stat FDI series of BOP and IIP aggegates, Section Globalisation); in valore assoluto, gli investimenti in Italia rappresentano un terzo di quelli fatti in Francia…. un dato davvero deprimente. (rapporto ICE- pag 9).
E’ proprio l’incertezza che imperversa a tutti i livelli, oltre all’assenza di qualsiasi strategia di sviluppo, a frenare gli investimenti esteri in Italia. Una possibile via d’uscita potrebbe arrivare proprio dall’osservazione del caso francese, ove vige per le opere pubbliche il metodo del débat public: sei mesi al massimo per la discussione con i cittadini e poi rigide limitazioni alle impugnative amministrative, alle varianti di progetto ed agli oneri compensativi. In Francia funziona bene, Monti e Passera hanno dichiarato di credere che questo metodo potrebbe portare grande giovamento anche al nostro Paese. Personalmente nutro qualche dubbio che sia applicabile, pensando anche alla TAV…… ma il dibattito è aperto!
4 comments
ace69 says:
Mar 10, 2012
La vicenda British gas è veramente inquietante. Leggo che in questo momento in Italia ci sono ben 331 cantieri bloccati per lo stesso motivo. Questo Paese deve immediatamente decidere se vuole andare verso il progresso oppure se vuole un ritorno alla civiltà bucolica degli inizi del ‘900! Mi indigna che alcune minoranze (più o meno organizzate), con la complicità della burocrazia, dettino legge su quella maggioranza di cittadini che invece vorrebbe che le opere (dopo tutte le discussioni e analisi ambientali del caso) venissero fatte. Da noi questo sembra normale, in Francia sarebbe inconcepibile. Ecco perchè gli investimenti vanno in Francia e perchè sono scettico che il debat public da noi possa funzionare.. richiede una cultura democratica che onestamente da noi non vedo. Scusate l’amarezza della conclusione.
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Aureliano 67 says:
Mar 10, 2012
Particolarmente grave il fatto che questo avvenga nel settore dell’energia, dove è proprio il caso di dire che…”siamo alla canna del gas”. Segnalo per conoscenza diretta professionale anche il gravissimo caso di Porto Tolle: 50 milioni di euro già spesi dall’Enel a partire dal 2005 per la riqualificazione a “carbone pulito” di una vecchia centrale inefficiente, dopo aver ottenuto le autorizzazioni da tutti i Ministeri competenti. Lavori bloccati una prima volta da gruppi ambientalisti che fanno ricorso al Tar. Ricorso respinto. Nuovo ricorso al Consiglio di Stato che stavolta accoglie. Si torna al Ministero dell’ambiente che modifica il progetto. Nuovo ricorso ed ora il tutto di nuovo al Consiglio di Stato. Risultato: Enel ha depennato il progetto dal suo programma di investimenti triennale. Milioni di soldi pubblici buttati e molte imprese (tra cui una primaria PMI di Magenta subfornitore di Enel) che vedono sfumare commesse di vitale importanza. O si cambia o si muore.
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david p says:
Mar 11, 2012
Personalmente l’idea del dèbat public mi sembra valida. Un tempo sufficientemente lungo per un confronto con gli enti locali, i cittadini e le associazioni. Chi ha qualcosa da dire lo dice in quella fase. Si apre un confronto serio e si recepiscono le richieste sensate. Dopo di che le istituzioni decidono e si passa alla realizzazione dell’opera. A quel punto i ricorsi al TAR e simili sono consentiti soltanto per ragioni molto gravi ed in casi specifici. Lo scandalo di Porto Tolle si sarebbe evitato. Perchè non deve essere possibile anche da noi? Lo trovo giusto, non siamo da meno dei francesi, sosteniamo le proposte che possono aiutare questo Paese a cambiare marcia!
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wicks says:
Mar 12, 2012
anch’io credo che si debba fare qualcosa per smuovere le acque e evitare queste discussioni infinite. Il débat public facileterebbe la discussione a tutti i livelli nella fase iniziale del progetto, la gente comune, l’amministratore locale, il progettista, ecc, in un ragionevole tempo prefissato. Siamo anche noi un Paese democratico o no? In Francia in passato la protesta aveva raggiunto livelli anche esasperati, e si sono visti i positivi risultati del débat public.
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