Le banche italiane sono state le più grandi utilizzatrici del prestito triennale della BCE del 29 febbraio (l’asta a 3 anni ha assegnato un totale lordo pari a 529 miliardi a un tasso dell’1%) ed ora tutti si chiedono cosa ne faranno della liquidità raccolta: se verrà utilizzata per le scadenze dei loro rimborsi obbligazionari, per pagare il debito degli Stati acquistando i titoli governativi (potendo beneficiare del cosiddetto “carry trade”) oppure per allentare i cordoni del credito e sostenere le imprese. Vorrei proporre al Laboratorio qualche riflessione sulla situazione attuale dei rapporti tra banca e impresa offrendo qualche elemento per meglio comprendere il comportamento delle banche in questi mesi.

Durante lo scoppio della crisi 2008/2009 le banche italiane sono state descritte come il sistema finanziario virtuoso focalizzato su attività tradizionali e lontano dalla speculazione; ora al contrario vengono accusate di essere le protagoniste del credit crunch. Provo a fare un po’ d’ordine. Gli istituti di credito possono rimborsare le loro obbligazioni solo se hanno un mercato dove emetterne di nuove (il “mercato primario” è attivo in contesti economici favorevoli dove ci sono risparmio e liquidità), altrimenti usano fonti alternative di liquidità (es. liquidità raccolta da BCE). Possono fornire credito a minor costo a condizione che lo spread sui titoli dello Stato resti su livelli contenuti. L’erogazione del credito non può comunque prescindere da un’attenta selezione, in un contesto di crisi e legislazione sempre più penalizzante. Gli animi in questi giorni  sono decisamente tesi: giovedì 1 marzo il comitato di presidenza dell’ABI ha rassegnato le dimissioni contro la norma contenuta nel decreto legge sulle liberalizzazioni (azzeramento delle commissioni sugli affidamenti bancari) perché le liberalizzazioni non possono tradursi in un’imposizione dirigistica di vincoli, prezzi, tariffe. E le banche rivendicano di essere “imprese tra imprese”.

Sino ad oggi le statistiche di Banca d’Italia danno comunque ragione all’opinione pubblica: negli ultimi mesi 2011 l’erogazione del credito a livello nazionale ha subito una continua contrazione con disparità regionale: particolarmente colpito è stato il Nordest, proprio quella realtà territoriale dove sono maggiormente presenti le piccole e medie imprese. Il credit crunch è un pericolo reale da combattere non solo per la forte contrazione del volume complessivo erogato, ma anche perché lo scarso credito rischia di confluire verso imprese meno efficienti ma apparentemente “più stabili”, con il rischio di penalizzare imprese giovani, innovative, esportatrici, progetti ed attività che comportano costi fissi e investimenti.

Nonostante questi dati, non mi pare manchino segnali positivi da parte delle banche. Sono numerosi gli interventi a sostegno del credito: sabato 19 febbraio il Governatore della Banca d’Italia ha ammonito “le banche devono svolgere bene la loro funzione di allocazione del credito […] con acuita capacità selettiva”. Il sistema bancario italiano sembra rispondere con dei fatti. Martedì 28 febbraio è stato firmato un accordo fra l’Associazione Bancaria (ABI) e le Associazioni delle imprese. L’accordo contiene misure per il credito alle PMI e prevede: sospensione per un anno della quota capitale dei mutui e finanziamenti in essere, allungamento delle scadenze sino a tre anni, operazioni di finanziamento connesse ad aumenti dei mezzi propri realizzati dall’impresa. Molto importante è anche l’impegno comune per cercare di ottenere lo smobilizzo dei crediti vantati dalle imprese verso la Pubblica Amministrazione. Finalmente segnali di riavvicinamento tra banche e imprese?

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