Il più eloquente commento all’ultimo “decreto salva Italia” è senz’altro affidato alle ormai famose lacrime del ministro Fornero, provata dalla durissima impresa di mettere insieme, in pochissimi giorni, i pezzi di una finanza pubblica sull’orlo del baratro. Il contesto in cui questa manovra si inserisce è quello plumbeo di un’Italia senza sorriso, sfiduciata e sfibrata da tre manovre in sei mesi. Bisogna risalire al governo Amato del ’92 per ricordare un assedio di interventi pubblici di così consistente portata.
Senza avventurarsi in più ampie considerazioni di carattere macroeconomico, quello che balza subito all’occhio di un osservatore medio è l’intervento sulle pensioni, che costituisce un vero e proprio tackle a gamba tesa nei progetti di vita di tante persone; intervento forse evitabile o modulabile diversamente, ma l’urgenza è nota e tant’è. Un’unica considerazione in merito: in Italia esistono, per difetto, circa due milioni e mezzo di percettori di pensioni doppie e cinquecentomila triple: perché non intervenire su quelle? Si è osservato che sarebbe stato troppo il tempo necessario per la valutazione di queste posizioni, non compatibile con l’attuale congiuntura, che richiede interventi immediati e certi nell’ammontare.
Il professor Monti ha tenuto più volte a precisare che “non è vero che pagano i soliti noti”, esponendo i provvedimenti che egli riteneva costituire la confutazione del solito ed abusato commento di ogni manovra della storia repubblicana. E’ pur vero che una sorta di “patrimoniale indiretta” è stata abbozzata (tassazione per le auto di grossa cilindrata, imbarcazioni e aerei privati, bollo sulle attività finanziarie ed in fondo la stessa ICI), ma è altrettanto vero che non avrebbe costituito uno scandalo, in un contesto come questo, un prelievo minimo sui patrimoni oltre la soglia dei 10 milioni di euro. Questo avrebbe dato un bel segnale di vera equità, ma si è obiettato che la mappatura di tutti i patrimoni da assoggettare ad un’ipotetica tassazione avrebbe comportato un lavoro troppo ponderoso, con tempi non compatibili con uno Stato sull’orlo del default. A corredo di tutto ciò, l’aumento dell’addizionale regionale Irpef per le persone fisiche ed i noti aumenti legati alla rivalutazione degli estimi, raccolti nella nuova Imu.
E le PMI? La famosa crescita, quel mantra di cui tutti i politici si riempiono la bocca, è ridotta a pochissime misure: l’odiata Irap viene alleggerita con un aumento delle deduzioni sul costo del personale, ma escludendo gli oneri finanziari, che pesano nei bilanci delle imprese in modo spesso rilevante. Sempre in ambito Irap, vengono incrementate le deduzioni per chi assume giovani under 35 e donne. Inoltre vengono agevolate, con una detassazione del 3%, le imprese che apportano capitale di rischio e che reinvestono in equity gli utili conseguiti. Diciamo subito a chiare lettere che l’entità di tale incentivo è tale da non considerare particolarmente appetibile questa agevolazione.
In compenso, già con il precedente governo si è dato il via ad un giro di misure draconiane, confermate ed ampliate dal governo Monti: nuovi obblighi di comunicazione telematica delle operazioni oltre una certa soglia, inasprimento della disciplina sulle società di comodo (anche le società che chiudono in perdita per tre anni consecutivi dovranno dichiarare un reddito minimo anche laddove non conseguito!), accertamenti immediatamente esecutivi per accelerare i tempi della riscossione, pene più severe per chi evade imposte oltre certi valori (queste ultime, va detto, misure sacrosante). Segnalo un’agevolazione per gli imprenditori più piccoli che provvedano ad inviare telematicamente alle Entrate i corrispettivi e le fatture, istituendo un conto corrente specificamente dedicato all’attività d’impresa.
Il vero grande problema delle PMI, cioè l’accesso al credito bancario, è parzialmente agevolato soltanto in via indiretta, mediante la possibilità per gli istituti di credito di emettere bond garantiti dallo Stato. Ciò dovrebbe consentire alle banche un più agevole reperimento di risorse ed una conseguente nuova immissione di liquidità nel sistema, ma ci riserviamo il beneficio del dubbio, essendo questo provvedimento legato alla discrezionalità di comportamento del sistema bancario, troppo spesso riluttante a distribuire a valle quanto ottenuto a monte.
Questi interventi sono gli unici che guardano ad una timida incentivazione per chi produce reddito e posti di lavoro, tutto il resto è demandato alla cosiddetta fase due. Si parla di infrastrutture, di liberalizzazioni e deregulation: staremo a vedere! Attendiamo fiduciosi, non potendoci permettere il lusso del disfattismo ed avendo a cuore i destini del nostro Paese.

Print Friendly, PDF & Email