Il ministro del Lavoro Fornero ha avviato in questi giorni la consultazione delle parti sociali sulla riforma del lavoro. Dalle prime indicazioni trapelate sulla stampa sembra che l’orientamento del ministro ricalchi la proposta Boeri – Garibaldi, ossia l’introduzione di un periodo lungo di prova di tre anni con incentivi alla conferma a tempo indeterminato e disincentivi alle forme di contratto atipiche e a termine. Riforme più radicali che tocchino l’art. 18 dello statuto dei lavoratori, come quelle contenute nella proposta Ichino, sembrano al momento escluse.
Ci chiediamo come mai sono stati proposti proprio tre anni e quali possano essere gli effetti della proposta sulla crescita economica e sulle PMI. Un ciclo completo di crescita economica ha una durata media di circa cinque anni. Nella prima fase si ha espansione del ciclo e nella seconda la contrazione. Le due fasi durano mediamente tra due e tre anni. All’inizio dell’espansione, l’imprenditore mira ad aumentare la produttività. Solo nella seconda metà del ciclo di espansione, l’imprenditore deve assumere nuovo personale. Ecco quindi che i tre anni della proposta Boeri – Garibaldi sono un tempo più che adeguato per permettere al datore di lavoro di ridimensionare la forza lavoro quando il ciclo economico si sta contraendo senza incorrere negli alti costi imposti dall’articolo 18. La proposta, quindi, avvicina la nostra normativa alle economie di Paesi industrializzati come Stati Uniti o Inghilterra. Tuttavia, in assenza di più ampi interventi, è ragionevole aspettarsi che la forza lavoro tagliata durante la contrazione sarà la stessa che è stata assunta durante l’espansione. Questa proposta, quindi, preserva un sistema a due velocità, dove i lavoratori a tempo indeterminato attualmente impiegati mantengono una posizione di maggiore protezione legislativa (art.18) rispetto ai nuovi lavoratori a tempo indeterminato (che sono gli attuali lavoratori atipici o temporanei) con periodo di prova a tre anni che continueranno a pagare per primi il prezzo della recessione. Per spezzare il circolo vizioso è necessario modificare l’articolo 18 che però, nonostante gli auspici del Governo, resta argomento tabù per i rappresentanti dei lavoratori. Tornando alla crescita, vero tormentone del 2011, essa può essere aumentata rendendo più flessibili i fattori di produzione. Che cosa vuol dire? Pensiamo all’economia italiana come un corridore ed alla crescita economica come la velocità a cui corre. Se gli ingessiamo una gamba (il lavoro), il corridore non riuscirà con l’altra gamba (il capitale) a battere gli altri corridori (le altre economie europee ed internazionali). Ecco perché la maggiore flessibilità del fattore lavoro dovrebbe produrre maggiore crescita. L’introduzione del periodo di prova di tre anni aumenta la flessibilità del lavoro e questa favorisce la crescita.
E le PMI? Per il momento non se ne parla sui giornali, ma dal nostro punto di vista è importante sottolineare che se l’obiettivo del Governo è quello di aumentare la crescita economica di lungo periodo, allora devono essere presi in considerazione interventi legislativi ad hoc a favore delle PMI. L’attuale articolo 18 si applica a tutte le aziende con più di 15 dipendenti. Le aziende con meno di 15 dipendenti hanno quindi maggiore flessibilità in tema di licenziamenti. Innalzare l’attuale soglia oltre i 15 sarebbe molto probabilmente uno stimolo alla crescita dimensionale, consentendo altresì di adattare meglio i fattori di produzione alle necessità del ciclo economico. Il risultato sarebbe una maggiore capacità delle PMI di sopportare le fasi negative del ciclo nonché una migliore competitività sui mercati europei e globali.
Concludendo, l’intervento in discussione nella forma trapelata dalle prime indiscrezioni rappresenta un punto di partenza. Sono evidenti i possibili benefici di una riforma più ampia del mercato del lavoro che però toccherebbe i centri nervosi delle forze sindacali. Infatti, non sono state ancora varate importanti riforme del Sistema Italia che incidano sulle rendite di posizione e che migliorino l’equità contributiva. Se la riforma dovesse limitarsi all’introduzione di un lungo periodo di prova ed alla penalizzazione del lavoro atipico e temporaneo, è ragionevole aspettarsi che il sistema politico dovrà riaprire presto il capitolo lavoro e considerare modifiche più o meno radicali dell’articolo 18, che auspichiamo per la crescita delle nostre PMI.
7 comments
wicks says:
Gen 10, 2012
Penso che, oltre alla crescita che latita e che dovrebbe essere favorita dalle misure citate (liberalizzazioni, revisione degli ammortizzatori sociali, ecc), dovremmo preoccuparci anche di favorire il ricambio generazionale, visto che ancora oggi ci sono tanti 65enni e ben oltre ancora in attività che occupano posti di potere e non pensano proprio di lasciare. O sono veramente tutti validi e insostituibili ? ci credo poco…
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Aureliano 67 says:
Gen 10, 2012
ho qualche dubbio che sia giusto accantonare completamente il tema dell’art 18….. agli imprenditori chiediamo (giustamente) di dare più garanzie ai giovani ed ai precari, senza toccare in alcun modo quelli che invece sono iper-garantiti?? mi sembra una richiesta sbilanciata!
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Francesco Presutto says:
Gen 10, 2012
concordo con Aureliano 67: la flessibilità del lavoro è essenziale per la crescita. Posto che io non conosco imprenditori che licenzierebbero collaboratori validi, anzi di solito fanno carte false per tenerseli e valorizzarli…
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David Pierantozzi says:
Gen 14, 2012
La proposta che ho sentito in settimana di esonerare dall’art.18 le imprese fino a 30 dipendenti mi sembra una soluzione un po’ “all’italiana” (anche se meglio che niente): perchè 30 e non 40 o più? se la motivazione è quella di agevolare la crescita e contrastare il nostro cronico “nanismo industriale”, che senso ha mettere un limite? La risposta ci sembra insita nelle stesse domande. E’ un po’ triste vedere quanto siamo ancora ingessati da scelte compiute negli anni ’70 che rendono quasi impossibile una riflessione serena su questi temi, costringendo di fatto le aziende a scaricare tutte le esigenze di flessibilità (inevitabili per sopravvivere) sugli ultimi arrivati, i giovani e i precari. Dov’è la giustizia in tutto questo?
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Stradivari says:
Gen 16, 2012
Ritengo l’art.18 il paradigma di un certo modo di fare politica e di partecipare come sindacato ai tavoli di confronto: è un tema che coinvolge una percentuale infinitesimale di aziende, ma riempie giornali e media perchè fa notizia ed è intriso di ideologia.
Pertanto, ci si sfinisce a discuterne, ma il mondo è già avanti. L’unica frontiera possibile è, a mio parere, ridurre gli spazi per i contratti parasubordinati, che non danno una prospettiva di vita stabile e non consentono autonomi ai giovani, ma tutti dovrebbero accantonare la prospettiva del vitalizio in una sola azienda.Quindi anche i sindacati dovrebbero smettere di fare barricate sull’art. 18
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Andrea Dal Santo says:
Gen 18, 2012
Sull’esigenza di abbandonare moduli, schemi e concetti retrò c’è accordo soprattutto fra coloro che non sono lavoratori dipendenti.
In ogni caso, considerati i livelli di disoccupazione, qualunque modifica dell’art.18 non potrà essere radicale. Qualora non vi fossero modifiche, il governo ha comunque ampi margini di intervento su altre categorie che sono ad oggi forse ancor più favorite rispetto ai lavoratori dipendenti.
Sull’elevamento della soglia dei 15 dipendenti, anche una lieve modifica avrebbe un importante effetto segnaletico, purché ci sia la volontà politica di non rimangiarsi tutto alla prossima legislatura!
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max L says:
Feb 5, 2012
Vorrei esprimere il mio parere su quello che il premier Monti in settimana ha dichiarato in una trasmissione televisiva: “….che noia il posto fisso….”.
Non ho visto la trasmissione, non so nemmeno se la frase è stata estrapolata da un discorso più articolato, come spesso succede quando capitano polveroni mediatici.
In linea di principio questo concetto lo trovo giusto, appartengo peraltro ad un mercato del lavoro, quello dell’informatica dove è quasi dannoso fossilizzarsi su una tecnologia, è importante aggiornarsi e imparare sempre cose nuove.
Quindi è quasi fisiologico un certo tipo di turnover nelle aziende di consulenza informatica.
Non posso però non vedere in che condizione è il mercato del lavoro in generale in Italia, oggi come oggi, con un tasso di disoccupazione mai cosi alto,e con tante persone che vengono lasciate a casa.
In un contesto del genere quella frase è uno “schiaffo” a chi
in questo momento soffre perchè disoccupato o precario ed è in cerca
di un posto di lavoro.
Ecco perchè penso che il premier poteva risparmiarsi questa frase, almeno per una questione di rispetto.
Sull’articolo 18 la penso come STRADIVARI 2 paragrafi prima.
E’ una questione politica che fa gola ai giornali, ma in realtà
il mondo è già andato avanti, è già andato oltre.
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