“ La mia missione è chiara: dare a tutti le stesse opportunità e combattere le diseguaglianze ogni ora, ogni giorno, in ogni quartiere, in ogni angolo della città”. Questo il cuore del messaggio di Bill De Blasio per tutta la durata della sua campagna elettorale per la poltrona di sindaco della Grande Mela. La risposta delle urne è stata travolgente: eletto con il 73% dei voti, primo democratico da generazioni. Dalle analisi del voto, risulta che De Blasio ha ottenuto anche il consenso di una parte consistente dei 400 mila milionari newyorkesi, nonostante la promessa di un sensibile aumento delle tasse sui loro redditi per finanziare scuole pubbliche e asili nido. Perché è accaduto questo? Quali riflessioni sono state fatte? Il tema da affrontare è quello del rapporto tra le diseguaglianze sociali e la possibilità di sviluppo dell’economia.
Andiamo per gradi. Negli Stati Uniti, negli ultimi vent’anni, le diseguaglianze sociali si sono notevolmente e costantemente accentuate. In un recente articolo scritto sul New York Times, l’economista Joseph Stiglitz osserva che l’ 1% degli americani detiene il 40% della ricchezza totale del Paese e ha ottenuto quasi il 25% del reddito nazionale. A fronte di questi, il 20% della popolazione più povera detiene una percentuale infinitesimale. Anche in Italia la diseguaglianza è molto elevata: da un recente studio di Banca d’Italia, emerge che il 10% delle famiglie possiede il 45% della ricchezza, mentre c’è un 50% che in totale non arriva al 10% della ricchezza. Siamo al livello della iperliberista Inghilterra e vicino a quello degli Usa, più elevato di Germania e Paesi scandinavi.
Veniamo al punto centrale della riflessione: la diseguaglianza sociale eccessiva rende l’economia più debole e blocca la crescita. Il meccanismo è molto semplice: la possibilità di crescita è legata all’aumento della domanda aggregata di beni e servizi. La domanda a sua volta è fortemente dipendente dalla dimensione e dalla possibilità di spesa del “ceto medio”, ovvero quella parte di popolazione che, avendo redditi adeguati, può permettersi un certo livello di consumi. Quando in una società non esiste il ceto medio, o viene avvilito e spinto verso il basso (e quindi aumenta la diseguaglianza sociale), gli effetti sui consumi sono nefasti e la possibilità di sviluppo dell’economia viene compromessa.
Sembra di sentire la trama del film che abbiamo vissuto in questi anni nel mondo occidentale. Dapprima gli Stati Uniti: la concentrazione del reddito nelle mani di “pochi ricchissimi” ha avuto come effetto la creazione di una domanda artificiale per la massa dei consumatori, che hanno cominciato a “spendere a debito” risorse che non avevano. Lo scoppio della bolla del debito (i c.d. mutui subprime) ha esportato la crisi in Europa innescando un meccanismo che ha finito per travolgere non solo il sistema finanziario, ma anche l’economia reale. A questo punto, le strade si sono divise: mentre gli Usa hanno imboccato la via dell’espansione monetaria, che oggi sembra pagare in termini di ripresa, l’Europa germanocentrica ha scelto la strada opposta: politiche di austerità (aumento indiscriminato delle tasse e tagli alla spesa pubblica) applicate ad un sistema economico in recessione. Il risultato di queste scelte, che non esitiamo a definire fallimentari, è stato proprio quello di deprimere il ceto medio, ovvero quella parte della popolazione che rappresenta l’unico possibile motore della ripresa.
Se questa lettura della storia recente è vera, come noi crediamo, che cosa si può fare in Europa per una immediata correzione di rotta? Credo sarebbe molto utile assumere questo punto di vista: combattere le disuguaglianze eccessive, ridare fiato alla domanda e ricostituire il ceto medio martoriato e avvilito negli anni della crisi. Per farlo, come ci suggeriscono gli economisti più illuminati, esistono varie leve. Ne voglio citare soltanto tre, in attesa di riprendere il tema in un prossimo articolo: sostenere le imprese e gli investimenti produttivi, che sono la vera fonte di redistribuzione del reddito attraverso l’occupazione e i salari; incrementare la tassazione della pura rendita finanziaria e dei grandi patrimoni; avviare un piano straordinario di investimenti pubblici. Il gigante italiano che ha conquistato New York l’ha capito, conquistando un mare di consensi. Persino tra i ricchi, consapevoli che questo tornerà anche a loro vantaggio. E noi?
7 comments
filippo guidantoni says:
Gen 13, 2014
Parto dall’ultima frase, “consensi anche dai ricchi consapevoli che questo tornerà a loro vantaggio”. Pensiamo solo che spesso un high networth è un produttore di servizi o prodotti destinati al/anche al retail, che non è per lui positivo che si crei un malcontento nei suoi confronti da parte di altre classi sociali, che spesso i servizi di cui lui si serve sono forniti da appartenenti a classi con meno capacità di spesa, e così via.
Insomma il benessere diffuso è utile a chiunque.
La ricchezza in mano a pochi è un freno enorme perchè chi ha 10 volte la capacità di spesa rispetto ad un altro, non spenderà in proporzione in moltissime situazioni di vita quotidiana.
In Italia è la stessa cosa, con la differenza che nessuno si è (spero solo per il momento) impegnato su questo tema. Parliamo di riforme, abolizione di tasse e di tanti altri ormai straconosciuti argomenti, quando è già presente un problema sociale prima ancora che economico. Oggi chi poteva non può più e chi può ancora ha paura…questo è stato l’insuccesso dell’austerity “germanocentrica”; ossia il contrario dell’atteggiamento che deve avere un imprenditore quando c’è una difficoltà.
La crisi ci ha portato all’angolo e noi ci stiamo riparando il volto invece di uscire dall’angolo e trovare un altro punto di attacco; possiamo continuare per molto?!
Mi dispiace dirlo ma in chi ci governa manca questo approccio a favore di personalismi, battutine che diventano tormentoni, look che fanno notizia, gossip che riempiono i giornali. De Blasio è uno concreto, speriamo che faccia bene; sicuramente gli metterei in mano un’azienda dove questi principi valgono come nella società.
A quanti politici mettereste in mano un’azienda…?!
Ultima nota: l’altra sera Vittorino Andreoli presentando il suo ultimo libro “l’Educazione (im)possibile” disse: “non è che i politici sono tutti ladri, se lo sono è perchè lo sono gli italiani”. Elementare ma drammatica.
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david p says:
Gen 17, 2014
@ Filippo, il tuo intervento è un utile completamento dell’articolo e ti ringrazio. Una lettura della crisi dal punto di vista sociale credo possa aiutare molto la comprensione di quanto sta accadendo e di quello che occorre fare. La domanda, naturalmente, è se c’è la volontà di farlo… ma questa è un’altra storia.
Quanto alla domanda finale che poni…. di primo achito mi è parso di essere d’accordo con la provocazione di Andreoli; poi, ad una miglior riflessione, devo dire che non lo sono del tutto, su un punto specialmente: nella società civile italiana ci sono tante eccellenze che non si vedono in politica.
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adone paratore says:
Gen 14, 2014
Perfettamente d’accordo con Filippo. Dobbiamo reagire, senno’ chiuderemo baracca.
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gino berto says:
Gen 15, 2014
Venezia aveva negli anni ’70 circa 90.000 abitanti, soprattutto veneziani. La città, unica per bellezza ma anche per difficoltà a viverci, aveva nei suoi abitanti la vera ricchezza. Quotidianamente i veneziani interagivano con la città in tutti i settori, e la città pulsava energica. Questo ceto andava tutelato ed aiutato nelle sue evidenti difficoltà: le case, decadenti e insalubri, i mezzi di trasporto, troppo costosi per le persone e per le merci; la sanità, scomoda e limitata; le scuole, l’acqua alta… Progetti in questi ambiti avrebbero portato lavoro e sviluppo, mantenuto i veneziani nella loro città. Invece gli amministratori hanno indirizzato le risorse verso il turismo di massa e l’organizzazione di eventi d’elite. E così i veneziani per due terzi sono stati costretti ad emigrare in terra ferma, lasciando le calli, i campi e i campielli liberi a sciami di poveri turisti e ai ricchi per lo più stranieri. La città non profuma più di pane quotidiano, di via vai di vita, di ciacole in dialetto, di giochi fra bambini. Il grande ceto medio è scomparso ed è subentrato il piccolo ceto ricco e il povero turismo di massa. Se ne stanno accorgendo tutti ..ma è troppo tardi. E’ un piccolo esempio , forse neanche tanto piccolo, di che cosa significa deprimere la popolazione media con continui interventi di depauperazione del loro potere d’acquisto.
Si ripete di continuo la cantilena che ridurre le pensioni stradoro non risana la nostra economia, che un’ adeguata patrimoniale sugli straricchi serve a poco, che ridurre i costi della politica è più fumo che arrosto… e allora? Meglio deindicizzare le pensioni di milioni e milioni di persone. E il risultato è sotto gli occhi di tutti!
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david p says:
Gen 17, 2014
@Caro Gino, hai perfettamente descritto le sensazioni che provo ogni volta che vado a Venezia! Una bellissima cartolina, purtroppo ormai senz’anima. Non sapevo che negli anni ’70 fosse così viva, e mi dispiace non averla potuta vedere.
Sulle pensioni d’oro hai toccato un tasto che mi sta molto a cuore. Ho ascoltato l’altro giorno un dibattito surreale: la Giorgia Meloni giustamente proponeva di fare una riduzione “ragionata” di quelle più alte (sopra euro 5000) sulla base dei contributi effettivamente versati. Ebbene, è stata assalita verbalmente con una veemenza inaudita da parte di due celebri pensionati con motivazioni veramente risibili, e cioè: “chi ci garantisce che l’INPS saprebbe fare i calcoli giusti?”. Questo purtroppo è il nostro Paese!
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lorella pozzi says:
Gen 15, 2014
David, condivido ogni parola, lettera, sillaba della tua analisi, altrettanto dei commenti di Filippo e Gino.
Il caso “Venezia” descritto da Gino è proprio questo: i residenti sono stati privati di qualsiasi considerazione e attenzione da parte delle pubbliche istituzioni costretti pertanto ad emigrare mentre il turismo di massa si è abbattuto sulla città portando disordine ed altro, non certo denaro. Sta accadendo lo stesso fenomeno a livello nazionale con ulteriori aggravi.
David secondo me non c’è nessuna volontà di ricostituire il ceto medio, ritengo che una certa classe politica sostenuta da buona parte di quel 10% di detentori della ricchezza totale italiana e che “adula” quotidianamente la Germania, abbia finalmente realizzato un obbiettivo ideologico a lungo perseguito. Temo che questa grave situazione economica a breve non gioverà più nemmeno loro e ciò spiegherebbe in gran parte l’assoluta mancanza di volontà a tagliare i costi della pesantissima macchina burocratica (creata ad hoc dai partiti)e della politica. Si giustificherebbe allo stesso modo la politica di misure di natura esclusivamente fiscale avverso quel 50% della popolazione che detiene, si stima, il 10% della ricchezza come pure le ripetute dichiarazioni (false, infondate) circa la scarsa utilità finanziaria di tassare le pensioni “stradoro” e di fare una patrimoniale sugli “straricchi” o dell’abbattimento dei costi della politica.
Anche del governo Letta non se ne può più e Renzi.. non convince.
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david p says:
Gen 17, 2014
@ Grazie Lorella. Metti il dito su un tasto di fondamentale importanza: probabilmente non c’è la volontà politica di rivitalizzare il ceto medio. Come si può essere tanto miopi e autolesionisti? Davvero si pensa che il ragionamento “contento io contenti tutti” possa portare lontano??
I milionari americani che hanno votato De Blasio dimostrano di aver compreso qualcosa che da noi sono ben lungi dal capire. Ma il giocattolo, ben presto, si romperà…
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