In principio fu il Referendum del 2011. Gli italiani parteciparono con fervore alla raccolta delle firme e sancirono decisamente il concetto: tutto ciò che afferisce all’acqua deve rimanere in un regime pubblico. Nel comune sentire, l’acqua è bene vitale, prezioso, anche più dell’oro, e nessuno può far speculazione su di esso. Con l’inquinamento e la scarsità delle risorse naturali, anche l’acqua potrebbe diventare oggetto di grandi lucri, come accade per l’oro nero.
Veniamo alla realtà italiana. Le Regioni affidano, solitamente con convenzioni in ambito provinciale, la gestione del servizio idrico integrato (captazione, distribuzione, depurazione) ad oltre 700 operatori, suddivisi in diverse tipologie di soggetti giuridici, sia pubblici che privati: una giungla. E’ comunque possibile che gli enti locali esercitino il servizio direttamente. In generale, l’ “oro blu” in Italia è soggetto ad una gestione poco efficiente, soprattutto in alcune regioni del meridione e nelle isole. Secondo l’OCSE, l’Italia è considerata un Paese soggetto a “stress idrico” sebbene la piovosità media annua sia relativamente elevata. Circa la metà dell’acqua viene dispersa dalla rete idrica, contro una percentuale tra il 15% e il 20% a livello europeo. Questa rete avrebbe bisogno di un’opera radicale di manutenzione e ammodernamento: secondo l’ Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas, sono necessari investimenti nell’ordine di 25 miliardi per i prossimi 5 anni. Risorse che, neanche a dirlo, sono totalmente inesistenti.
Una strada possibile era quella prospettata dal cosiddetto decreto Ronchi, convertito nel 2009: si prevedeva la privatizzazione della gestione dell’acqua, mettendo in gara tutti i servizi legati all’acqua tra aziende private. La logica era chiara: pur essendo l’acqua un bene pubblico per definizione, chi si occupa di distribuzione può controllarne le tariffe di vendita, secondo logiche privatistiche. Aumentando le tariffe, si potrebbero trovare le risorse necessarie per l’ammodernamento della rete. Questo l’obiettivo dichiarato nel decreto. Ma una domanda sorge spontanea, considerato anche il Paese in cui viviamo: chi garantisce al cittadino che la “speculazione” non prenda il sopravvento, con manovre di aumento indiscriminato dei prezzi? Le annose diatribe sulle concessionarie autostradali, cui incombe l’obbligo di investimenti infrastrutturali, fanno pensare che la strada non sia agevole neppure per i gestori dei servizi idrici. E non sarei così sicuro che dove lo Stato è manchevole, il privato possa essere tanto efficiente. Il discorso si dilungherebbe nei meandri del meccanismo tariffario, che in un’ottica pubblica dovrebbe eliminare ogni concetto di “remunerazione del capitale investito”, così come sancito dall’esito del referendum. Si rileva comunque che la tariffa provvisoria fatta pagare al consumatore, il cui criterio è stato individuato dall’A.E.E.G., ha riproposto nella voce “oneri finanziari per le immobilizzazioni” una remunerazione per l’ente gestore del servizio.
La materia è complessa e frammentata, anche in relazione al diritto comunitario. Personalmente, ritengo che sia imprescindibile attenersi all’esito referendario, il cui concetto percepito e ribadito dai cittadini è quello che sull’acqua, bene primario, non si debba ottenere nessun profitto aggiunto: solo il costo per il servizio idrico. In quest’ottica, ritengo che le risorse per gli investimenti vadano ricavate dalla fiscalità generale e non addebitate nelle tariffe come avverrebbe in caso di gestione privatistica. D’altra parte, c’è il rischio di ricadere nel solito metodo inefficiente e clientelare di amministrazione della cosa pubblica, che va evitato, attraverso rigidi controlli e rigore nella spesa pubblica. Cosa è cambiato in pratica dopo il referendum? Finora ben poco: solo alcuni grandi Comuni hanno aperto la strada alla ri-pubblicizzazione a tutti gli effetti della gestione delle risorse idriche, attraverso una gestione diretta o costituendo enti o società a totale controllo pubblico, secondo una logica no-profit. Questa è comunque la strada da perseguire, i cittadini lo richiedono. Non è ammissibile che l’esito referendario rimanga lettera morta, rischio molto concreto in una Italia di referendum traditi.
5 comments
aureliano says:
Gen 9, 2014
Ottimo articolo, che però mi lascia aperte molte domande. Sono assolutamente d’accordo che l’esito referendario vada rispettato: in democrazia, per definizione la maggioranza è sovrana. Questo non significa, però, che la soluzione che emerge dalle urne sia sempre corretta nel merito. E nel caso dell’acqua onestamente qualche dubbio ce l’ho. Mi sorge una domanda in particolare: dove troveremo le ingenti risorse per i necessari investimenti? Trovarle nell’ambito della fiscalità generale mi pare un’utopia, visto che non si trovano per altre voci che tutti indicano come prioritarie (cuneo fiscale, scuola e ricerca, dissesto idrogeologico, edilizia scolastica e carceraria solo per citarne alcuni).
Temo (anzi, sono quasi sicuro) che andrà a finire così: continueremo ad avere ancora per anni la rete idrica più obsoleta d’Europa e a disperdere il 50% di oro blu. In molte aree continueremo ad avere problemi di scarsità d’acqua. E i problemi resteranno lì, esattamente dove e come sono adesso, con un enorme spreco di una risorsa pubblica. Inoltre, continueremo ad avere persone pagate profumatamente DA TUTTI NOI per continuare a gestire il servizio con la massima inefficienza! Non credete che finirà così?
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david p says:
Gen 12, 2014
@Caro Aureliano, grazie per il tuo puntuale intervento. Credo che la risposta alla tua domanda finale sia scontata: si, credo che finirà esattamente come da te previsto. Gli investimenti necessari non si faranno ancora per molti anni, e lo spreco delle risorse continuerà. Ti dirò anche che, personalmente, sono favorevole a soluzioni miste pubblico/privato con un rigoroso sistema di controllo. Tuttavia, il popolo si è espresso in modo chiaro e netto attraverso un referendum: l’esito potrà non piacere, ma comunque va rispettato. Altrimenti, vengono messe in dubbio le fondamenta stesse della democrazia. E troppe volte, in Italia, questo e’ accaduto (vedi referendum sul finanziamento pubblico dei partiti).
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lorella pozzi says:
Gen 10, 2014
Buon anno a tutti!
Vorrei portare un’esperienza personale a proposito della gestione privata dell’acqua: da circa 3 anni il Comune di Oliveto Lario (Lc), come pure altri comuni della provincia, ha affidato ad un ente privato la gestione del bene prezioso. Conseguenza immediata un incremento delle tariffe che sono raddoppiate per i cittadini residenti e quadruplicate per i non residenti; la qualità dell’acqua non è migliorata a causa del cattivo funzionamento del depuratore anche dopo il passaggio al privato. Per finire, la storia di un residente che si è visto recapitare una bolletta vertiginosa di 4.000 euro (pare a causa di una perdita nella rete) seguita da una di 9.000 euro nonostante la preventiva contestazione presso gli uffici amministrativi.
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david p says:
Gen 12, 2014
Buon anno Lorella. Grazie della testimonianza, che indubbiamente fa molto riflettere!
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darius says:
Gen 15, 2014
I vs contributi sono preziosi, così come la testimonianza di Lorella, purtroppo caso non isolato. Effettivamente quando si dice “pubblico” ci viene in mente “spreco”. Ed è su questo che bisogna agire con controlli e punizioni esemplari. Optare per il privato vuol dire profitto e su beni essenziali ciò equivale a profitto su posizioni di rendita. Ogni soluzione ha i suoi risvolti e a questo punto meglio rispettare il volere della maggioranza, che reputo il meno peggio.
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