Esistono almeno due modi di concepire il rapporto tra il cittadino e lo Stato. La storia europea, e quella del nostro Paese in particolare, è caratterizzata dal modello del “sovrano e del suddito”: il “potere”, rappresentato per secoli da imperatori, principi e re di ogni bandiera, si è evoluto nella democrazia, ma a ben vedere la concezione del rapporto tra il Palazzo e il popolo non è molto cambiata. In questo modello, lo Stato interviene a regolare e limitare in mille modi la vita e la libertà dei cittadini. Due esempi di attualità: in campo economico, tutto è vietato salvo quello che viene esplicitamente autorizzato; in campo politico e istituzionale, i parlamentari (e perfino i governi) non sono in realtà scelti dai cittadini, ma cooptati da chi già si trova al potere. Specularmente, il cittadino “sente” lo Stato come qualcosa di distante, di “altro da sé”. In molti casi, perfino come un’entià apertamente ostile. In questa logica tipicamente oppositiva, molti si sentono anche legittimati a non rispettare le leggi, a partire dagli obblighi fiscali, visti come “gabelle del principe” a cui non corrisponde un’adeguata contropartita (senza pensare al danno arrecato agli altri cittadini).

Negli Stati Uniti, basta un viaggio di pochi giorni per accorgersi che la situazione è radicalmente diversa. La cittadinanza non è un diritto acquisito per nascita, ma l’adesione ai valori della Costituzione, in primis proprio la libertà e la proprietà privata. Questi valori sono in qualche modo considerati “sacri”, e lo Stato deve garantirli e promuoverli al meglio possibile, a partire dall’idea delle “pari opportunità” tra i membri della comunità (“land of opportunities”). Nel mondo delle imprese, quello che più da vicino ho potuto osservare, questo si traduce in agevolazioni per lo start up, permessi ottenuti in poche settimane, tassazione chiara, controlli snelli e spesso basati su autocertificazioni, ampia libertà nei rapporti di lavoro. In cambio però si chiede responsabilità: non a caso, tra i reati più gravi, e condannati socialmente, ci sono la falsa testimonianza e le false dichiarazioni pubbliche (causa di impeachment anche per i Presidenti). E l’evasione fiscale, come noto, è punita molto duramente. Come a dire: la relazione è di fiducia, fino a prova contraria. Le leggi non sono molte, ma si rispettano.

Queste riflessioni mi hanno suggerito una lettura circa i fatti di questi giorni, meglio noti come “la rivolta dei forconi”. Ascoltando le ragioni della protesta, legittima e comprensibile fino a quando non tracima nella violenza, come non leggervi un moto di ribellione del suddito verso lo Stato-Re che lo opprime in modo non più sopportabile? A ben vedere, non si tratta soltanto di estrema manifestazione di disagio sociale e di indigenza economica, ma anche – e forse soprattutto – di pressante e arrabbiata richiesta di dignità e libertà: contro l’oppressione della burocrazia, delle tasse, dei divieti, della “ingiusta giustizia” che non arriva mai a conclusione. Mi ha colpito molto un signore veneto, un piccolo imprenditore, che alla domanda: “ma in fondo cosa volete?” ha risposto semplicemente: “vogliamo essere liberi di tornare a fare il nostro lavoro in pace”.

La classe politica e le istituzioni dovrebbero riflettere a fondo su questo. Spero vivamente che la protesta non venga derubricata ad una semplice “rivolta del pane” di manzoniana memoria, cioè la reazione del popolo affamato da anni di crisi. Se questa fosse la lettura, si potrebbe erroneamente pensare di risolverla con qualche provvedimento tampone, qualche “lex frumentaria” che prometta quattro soldi a destra e a manca per placare gli animi. Fino alla prossima rivolta. Al contrario, penso che l’unica risposta efficace debba passare attraverso un ripensamento radicale del ruolo dello Stato nei confronti dei cittadini. Il “modello americano” non è – a mio avviso – da copiare in toto (in particolare per quanto riguarda il welfare). Ma alcuni spunti ce li può e ce li deve dare: uno Stato snello, che favorisce l’iniziativa dei singoli e delle imprese, che mette poche regole chiare e le fa rispettare. Uno Stato che possa finalmente essere visto come alleato e non come nemico. Sto sognando ad occhi aperti? Le culture centenarie possono cambiare? Concedetemela almeno come letterina per Babbo Natale.

 

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