Il Wall Street Journal riferisce che la partecipazione delle donne italiane al mercato del lavoro sta crescendo. Il dato è sorprendente, perché storicamente l’Italia ha poche donne occupate: il tasso di partecipazione femminile è il 50,4%, ossia solo 504 donne ogni 1.000 hanno un lavoro fuori casa. La Spagna, nonostante la disoccupazione enorme, ha un tasso del 54,0%; la media dell’Unione Europea è il 62,3%; gli Stati Uniti raggiungono il 65,3%; la Svezia è in testa alla classifica con il 76,8%. In teoria il tasso di partecipazione femminile sarebbe dovuto calare ulteriormente a causa della recente crescita della disoccupazione italiana, che è passata dal 7,8% del 2009 al 12% di oggi. Invece le donne occupate in Italia sono aumentate nel 2012 di ben 110.000 unità.
Cosa sta succedendo? E’ ovvio che durante una crisi economica le donne cerchino un’occupazione remunerata per sopperire agli stipendi scomparsi di mariti, compagni o altri familiari. E’ meno ovvio che la trovino. Il Wall Street Journal accenna alla spiegazione più credibile, quella che anche in Italia, come in molti paesi occidentali, la fascia media del mercato del lavoro si sta svuotando. Parlo delle occupazioni qualificate e con buoni stipendi, in fabbrica o in ufficio, che non arricchiscono ma consentono a una famiglia di comprarsi una casa, allevare figli, cambiare l’auto ogni tanto e fare le vacanze. La crisi e il progresso tecnologico stanno colpendo lì. Resiste invece, o forse si allarga, la fascia bassa del mercato del lavoro, quella dei call center, delle pulizie, dei commessi nei negozi o dei servizi alle persone, che sono una caduta sociale per gli uomini che hanno appena perso un buon lavoro ma evidentemente non sono percepiti allo stesso modo dalle donne. Succede così che quando Ikea apre un negozio a Pisa e riceve quasi 29.000 richieste d’assunzione (per 250 posti disponibili), circa 2/3 di queste sono inviate da donne.
La storia suggerisce che quando qualche “accidente” spinge le donne a entrare nel mondo del lavoro poi ci restano anche dopo che l’accidente si esaurisce. Pensate alle due guerre mondiali. E’ probabile che le donne ci restino anche dopo la fine di questa crisi interminabile, e non sto a spiegare perché sarebbe una buona cosa. In generale, più lavoratori = più benessere. E non parliamo di quanto fa bene a chiunque (donne e uomini) l’indipendenza economica e un lavoro fuori di casa. Mi auguro che la crescita dell’occupazione femminile susciti anche gli adattamenti sociali che la possono rafforzare e consolidare, dall’aumento di offerta di asili a una maggiore flessibilità degli orari di lavoro. Il pienone di candidature femminili all’Ikea di Pisa è dovuto anche ai contratti part-time. Fin qui, l’osservazione della realtà. L’auspicio finale è, naturalmente, quello di una maggior presenza femminile nella fascia alta del mercato.
7 comments
david pierantozzi says:
Dic 5, 2013
Ho il piacere oggi di dare il benvenuto sul Lab all’amico Nicola Misani, con il quale ho condiviso tanti anni d’insegnamento universitario di economia. Nicola porta oggi la nostra attenzione su un fenomeno per molti versi sorprendente, segno inequivocabile degli impatti della crisi a livello sociale. Una realtà con luci e ombre, sintomo evidente di trasformazioni profonde già in atto e ancora poco indagate e conosciute…
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rita p says:
Dic 5, 2013
C’é ancora poca flessibilità nel concedere il part-time o addirittura il telelavoro. Il trade-off famiglia- lavoro é molto sentito. Quando lavori tutto il giorno x poter pagare la babysitter…un pensiero di mollare tutto e seguire in prima persona i figli viene…e magari lo fai!
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alice franco says:
Dic 5, 2013
La situazione dell’accesso al mondo del lavoro delle donne in Italia è il sintomo di un grave ritardo culturale che finché non verrà colmato frenerà il sistema-paese come una palla al piede. Il rispetto e la valorizzazione del lavoro femminile si imparano con l’educazione e la cultura, esattamente come l’onestà e l’etica. Non è un caso infatti che i livelli siano bassi in ognuno di questi campi.
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aureliano says:
Dic 6, 2013
Interessante. In realtà l’articolo contiene un messaggio parzialmente positivo, ovvero l’aumento dell’occupazione femminile, ma anche uno negativo: lo svuotamento di quella “fascia media” del mercato del lavoro che, a livello sociale, si riferisce appunto ad una “classe media” che sta scivolando verso il basso.
Inoltre, data la disponibilità di occupazione nella fascia bassa del mercato, tante donne sono costrette a svolgere lavori molto inferiori rispetto alle loro capacità e preparazione.
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wicks says:
Dic 6, 2013
bisognerebbe ribilanciare il tutto (diritti/doveri, casa/lavoro) tra uomo e donna. Penso per es alla licenza di paternità, se venisse concessa anche al maschio (poche aziende la prevedono), la donna potrebbe tornare a lavorare ben prima con tutti i vantaggi del caso…
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nicola misani says:
Dic 6, 2013
Grazie David per l’accoglienza! E’ un piacere contribuire al Lab. Grazie anche ai commentatori, che sottolineano punti molto importanti. Aureliano in particolare mette il dito in una piaga che mi preoccupa, perché è vero che oggi il mercato del lavoro è (relativamente) più favorevole alle donne proprio perché si è spostato verso occupazioni meno qualificate, che sono quelle in cui la proporzione di donne è più alta… E’ la cosiddetta “occupational segregation”. Questo è un bel link per chi vuole approfondire:
http://familyinequality.wordpress.com/2013/12/05/gender-devaluation/
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luca p says:
Dic 7, 2013
Il rapporto del Censis di ieri sembra proporre una nuova, e in parte differente, chiave di lettura del fenomeno rosa: ho letto che si parla delle donne come “nuovo ceto emergente produttivo”:
” i numeri lo attestano: il saldo delle imprese femminili nell’ultimo anno è stato di 5 mila in più, sono aumentate anche le cooperative con titolare donna e soprattutto le società di capitali a conduzione femminile (9 mila in più).”
Insomma… ci salveranno le donne…??
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