L’agroecologo Giuseppe Altieri definisce gli OGM come “organismi che non esistono in natura, vengono creati in laboratorio, modificando il DNA di alcune specie introducendo pezzi di DNA, chiamati costrutti transgenici, derivanti da altre specie viventi”. Ad oggi l’uomo non conosce completamente le conseguenze di queste ricombinazioni artificiali di materiale genetico: applicarle su larga scala, senza dare il giusto tempo per accertarne la nocività, potrebbe portare a conseguenze irreparabili per la salute. Scotta ancora l’aver scoperto troppo tardi la pericolosità dell’amianto. E gli stessi sperimentatori della bomba atomica non erano sicuri di quando si fosse fermata una reazione nucleare a catena. Nel dubbio, la Natura ha sempre ragione e ciò che la altera ci spinge in aree poco controllabili.

Attualmente sono importati in Italia oltre 60 OGM. Ogni Stato europeo può vietarne la coltivazione solo per motivi di sicurezza ambientale e di salute. Sarebbe auspicabile rendere più efficace la legislazione comunitaria, eliminando lacune normative, posizioni equivoche e zone d’ombra con le legislazioni nazionali. Lo stesso dicasi per un’azione forte e senza remore da parte dei nostri rappresentanti nelle istituzioni europee in chiave anti OGM, dato che la maggioranza degli italiani (8 su 10 secondo Coldiretti) sono contrari agli OGM. Come disse il ministro dell’ambiente Orlando lo scorso luglio: “…c’è bisogno che il nostro Paese si renda protagonista in Europa di una seria discussione sul tema dell’autonomia dei singoli Stati sull’ammissibilità degli OGM”. Sintomatica della confusione legislativa è la recente vicenda dell’agricoltore friulano che ha combattuto per affermare il suo “diritto” a seminare mais transgenico Mon810, a dispetto di un decreto tardivo dei ministri della Salute, dell’Agricoltura e dell’Ambiente. Si è appellato alla sentenza della Corte di Giustizia UE per cui se l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA, con sede a Parma) e la Commissione Europea  hanno approvato a livello comunitario un OGM, nessuno Stato si può opporre alla sua coltivazione. Ma intanto il 10% delle colture tradizionali adiacenti si sono inquinate. Chi paga il danno?

Siamo sicuri che le etichette garantiscano ex Regolamento comunitario 1830/2003 una perfetta tracciabilità dei prodotti OGM e che identifichino senza dubbio i prodotti “OGM free”? Già le tracce di OGM sotto lo 0,9% sono tollerate. Dato che gli europei sono diffidenti, per le grandi marche sarebbe un’ottima strategia di marketing poter assicurare che i loro prodotti siano sicuramente OGM free, con il supporto di certificatori rigorosi. Negli Usa invece la frittata è fatta e almeno il 70% dei cibi venduti nei negozi americani contengono OGM. Altra tematica è quella degli OGM che entrano nella catena alimentare umana in via indiretta: si dovrebbe rendere obbligatoria l’etichettatura per latte, carne, uova e formaggi derivanti da animali che sono stati nutriti con OGM. Secondo Greenpeace il 30% della dieta degli animali da allevamento è composta da OGM.

Dipendere dagli OGM inequivocabilmente vuol dire in futuro uccidere la biodiversità e dipendere in tutto e per tutto da chi gli OGM li ha creati. Nel suo libro “Il Mondo secondo Monsanto”, uscito nel 2008, la giornalista francese Marie Monique Robin ha analizzato il campione delle sementi OGM, la Monsanto. Interessante il sottotitolo: “inquinamento, corruzione e il controllo della produzione del cibo; inchiesta sulla più controversa azienda del mondo”. E quello che appare strano è l’origine di questa azienda, nata come industria chimica specializzata in esplosivi, vernici, armi chimiche. E come può essere che ora sia leader delle sementi OGM brevettate? Sementi modificate geneticamente, che resistono solo al diserbante più usato al mondo, il Roundup, sempre di Monsanto. Come vendere l’auto con i suoi accessori: OGM e il loro diserbante viaggiano in simbiosi. Tutta da dimostrare è invece la capacità degli OGM, nel lungo termine, di resistere ai parassiti. Questi ultimi si specializzano e diventano più ostici in modo repentino, gene o non gene modificato. Gli OGM invadono, sopraffanno, contaminano altre colture. Il film americano At Any Price descrive efficacemente i condizionamenti delle multinazionali dell’agrofarma. L’agricoltore si impegna contrattualmente a non conservare una parte del raccolto per riseminarlo l’anno seguente in quanto è obbligato ad acquisire i semi dal produttore OGM e deve usare solo i diserbanti annessi. Monsanto, come ogni multinazionale potente, è campione nell’opera di lobbying e di promozione.

Passando a noi, l’Italia può essere un avamposto per l’agricoltura biologica, eccellenza che sfrutta in modo intelligente gli strumenti offerti dalla natura. Il mercato è in crescita e vale 3,1 miliardi di euro. Apparentemente costa produrre biologico, ma costa ancora di più usare “pesticidi”, la scarsa qualità dei prodotti, l’inquinamento, l’alterazione dell’ecosistema. Occorre privilegiare e valorizzare prodotti “a chilometri zero”  e biologici, in modo che gli stessi stili di consumo si adeguino a condotte più equilibrate. La biodiversità è ricchezza e sicurezza alimentare, non dimentichiamolo, e una migliore distribuzione dei prodotti agricoli contribuisce ad evitare il loro spreco. Concludendo, non si è certo contro l’innovazione e il miglioramento delle condizioni di vita. Ma non si ritiene lecito piegare la tutela della salute alla mera logica del profitto, assumendo rischi non calcolabili. Occorre procedere con la massima prudenza, perché tutti siano consapevoli dei rischi a cui si va incontro, senza che alcuno si arroghi il diritto di usare la popolazione inconsapevole in una sperimentazione su vasta scala.

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