La vicenda della Costa Concordia racchiude in sé una gamma più che rappresentativa dei vizi e delle virtù del nostro popolo. Tutto ha inizio il 13 gennaio 2012, dalla scellerata manovra del famigerato comandante, per arrivare ai giorni nostri, il 17 settembre scorso, con lo spettacolare recupero del relitto; operazione interamente concepita da ingegneri italiani, definita dallo stesso premier Letta come un orgoglio per il nostro Paese. Nell’intermezzo di questi 20 mesi, 32 morti ed uno sfregio ambientale che ha polarizzato sulla splendida Isola del Giglio l’attenzione dei media di tutto il mondo. Eppure, anche questa pagina di cronaca insegna che da ogni tragedia nasce sempre un nuovo business, in questo caso superiore a 500 milioni: a tanto ammontano i costi per lo smantellamento della Costa, incluse tutte le fasi necessarie per la bonifica ambientale, il suo trasferimento ad una sede adeguata e la trasformazione di questo colosso del mare in rottami ferrosi da commerciare. Rilevanti sono gli interessi in gioco, molte le persone da impiegare negli appalti collegati: una buona occasione per dare un po’ di fiato all’economia delle aree che si aggiudicheranno i contratti.

In un Paese normale, non si porrebbe la questione in merito a quale sia la nazione beneficiaria di questo colossale affare. Ed infatti, chi si occuperà quasi certamente dell’esecuzione dell’opera? La Turchia! Con buona pace dei vari porti di Piombino, Livorno, Civitavecchia, Castellammare o Palermo, con le rispettive comunità di lavoratori impiegabili nell’indotto. I motivi sono molteplici, legati all’inadeguatezza infrastrutturale dei nostri porti, alle lungaggini burocratiche nell’ottenimento delle autorizzazioni necessarie, al costo della manodopera da impiegare ed alle stringenti regole per la sicurezza e per il rispetto dei vincoli ambientali. Riguardo a quest’ultimo aspetto, basti pensare alla necessità di smaltire le oltre 180 mila tonnellate di acque inquinate ed olii ancora presenti nello scafo. Subito è partita la gara all’autocandidatura, in ordine sparso, dei vari sindaci e presidenti di Regioni e Province coinvolte. Tutti a giurare che l’allora premier Monti, all’indomani della tragedia, avesse assicurato alle rispettive comunità locali la prima fila nella gestione della commessa; molti altri a rivendicare la prossimità geografica al luogo della tragedia, e nulla più, quale unico vantaggio competitivo, quasi che le condizioni tecnico logistiche in cui operare fossero un dettaglio. Ancora una volta, le singole amministrazioni locali, pur nella legittima rivendicazione, si muovono singolarmente, senza alcuna capacità di “fare sistema”.

Data la situazione, ci chiediamo, il Governo non potrebbe fungere da coordinatore di un intervento tricolore, affidato magari alla collaborazione di più enti locali? Dopo aver subìto lo sfregio di una delle nostre isole più belle, dobbiamo vederci beffati perfino dalla Turchia, che, con tutto il rispetto, non è annoverabile tra le prime potenze mondiali? In fin dei conti, anche questo è Pil, quel famoso denominatore che dovremmo incrementare per arrivare alla sufficienza in Europa. Certo è che la Carnival, società straniera proprietaria di Costa, si muove secondo scelte autonome e privatistiche, dettate da considerazioni di convenienza economica e politico-ambientale. Tutti presupposti che fanno allontanare la sventurata nave dalle coste dello Stivale, per avvicinarsi a Smirne; in Turchia, appunto, terra in cui vi sono molte meno zavorre amministrative e burocratiche, il costo del lavoro è più accessibile ed evidentemente non si ragiona come ai tempi delle signorie.

In conclusione, questa pagina rappresenta un altro esempio delle molte facce dell’italianità: la codardia e la viltà, la genialità assoluta e l’abilità nella ricerca delle soluzioni contingenti, il campanilismo e l’insufficienza infrastrutturale, fino alle solite schermaglie politiche, che ci rendono incapaci di “fare sistema” collaborando per il bene nazionale. Verrebbe pertanto da concludere che, se l’inchino fu drammatico, il balletto è veramente penoso.

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