E’difficile trovare qualcosa di originale nella vicenda Alitalia. In effetti è una tipica storia italiana come tante altre, fatta di guadagni personali, conflitti di interesse, speculazioni, perdite per il cittadino. Non è una storia edificante, certamente. Non lo è per lo Stato, quando vuole trasformarsi in imprenditore, non lo è per chi vuole ergersi a capitano d’impresa. E salto subito alle conclusioni: quando qualcuno guadagna senza merito e senza sacrificio, c’è qualcuno che perde: la comunità. La comunità dei lavoratori bistrattati, quella dei piccoli azionisti della ex Alitalia (per intenderci) e quella di tutti i contribuenti. Il danno stimato dall’operazione “Fenice” elaborato da Intesa Sanpaolo, tra mancata vendita ad Air France e oneri sociali per i cassa integrati pluriennali, ammonterebbe a circa 5 miliardi di euro. Ma qualche analista azzarda a molto di più. Nessuno sa quantificarlo con certezza, le cifre si sprecano.
Di sicuro la vecchia Alitalia perdeva prima, svariati miliardi da quando venne quotata, e perde ora. Adesso Alitalia-CAI è solo un po’ più piccola, con meno dipendenti (14.000), fa prevalentemente voli a corto-medio raggio. L’indebitamento supera comunque 1 miliardo di euro e ha perso in media 700 mila euro al giorno dalla sua “rinascita” nel 2009. E dove fallì Cimoli, accusato dalla Corte dei Conti di aver procurato, insieme al predecessore, 3 miliardi di danni, non ebbero migliore fortuna i nostri capitani riuniti in CAI. E qui si sprecano i conflitti di interesse e gli intrecci politico-finanziari. Intesa Sanpaolo (socio CAI) dell’allora Corrado Passera, era creditrice del gruppo di Toto (socio CAI), il quale rifilò AirOne a CAI; i Colannino (soci CAI), imprenditori che vanno a braccetto con la politica; i Benetton (soci CAI) che gestiscono Fiumicino e lo sponsorizzano come hub per Alitalia; Banca Leonardo che ha fatto la valutazioni degli asset ex Alitalia e in cui risultavano soci i Ligresti (soci CAI) e i Benetton; e altri azionisti CAI implicati a vario titolo in scandali (i Riva, i Gavio, oltre agli stessi Ligresti e Toto). Che forse si aspettassero favori vari per aver garantito l’italianità del vettore? Li hanno ottenuti? Speravano forse di rivendere con una bella plusvalenza ad Air France, avendo pagato la “good company” a sconto: 1 miliardo, AirOne compresa. Però Air France non è più altrettanto generosa come nella primavera del 2008. Ora la vuole a niente, e più leggera di dipendenti. I capitani fallimentari si aspettano ancora l’aiuto a vario titolo dallo Stato: Ferrovie, C.D.P & Sace, Eni, Letta-bonds eccetera. Troppo comodo e poco coraggioso far l’imprenditore così.
Non perseveriamo nel danno alla comunità. Che sia il consumatore a decidere se per andare da Milano a Roma, e viceversa, preferisce Alitalia, EasyJet o il treno. La professionalità dei piloti italiani, riconosciuta universalmente, sarà certamente valorizzata con altre compagnie. E il personale Alitalia potrebbe essere aiutato per un certo periodo di tempo o agevolato nel suo reinserimento lavorativo. Il lavoro del vettore va svolto da chi lo sa fare: compagnie internazionali in grado di conseguire rilevanti economie di scala, che hanno la forza di effettuare voli intercontinentali, maggiormente profittevoli, o compagnie specializzate nel low-cost. L’accanimento terapeutico, nella vicenda Alitalia, sta costando troppo. E i politici hanno operato in modo fallimentare con le loro soluzioni “di sistema”. Il tempo degli inutili interventi è scaduto, allacciare le cinture e prepararsi all’atterraggio.
7 comments
luca p says:
Ott 9, 2013
Sono d’accordo che sia ora di alzare bandiera bianca. A tutto c’è un limite. Abbiamo dimostrato di non essere in grado di gestire una compagnia aerea. Quando fu vicina al fallimento, British Airways seppe fare una ristrutturazione drastica, con pesanti tagli al personale; e l’azienda si salvo’. Noi abbiamo continuato a sprecare denaro pubblico, considerando la compagnia una specie di ammortizzatore sociale. Ora questo non è più possibile, le casse sono vuote. Voleremo con chi sa gestire questo tipo di aziende. Game over.
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aureliano says:
Ott 9, 2013
Leggo che gli azionisti sarebbero pronti a versare 100 milioni a patto che il Governo “dia un segnale importante di sostegno”. Vergogna! Stavolta sono pienamente d’accordo con Letta quando ha risposto: “la compagnia è vostra, mettete i soldi!”. Speriamo che tenga duro su questa linea!
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gino berto says:
Ott 10, 2013
Ancora si discute sul salvataggio di Alitalia dal fallimento, che è già avvenuto anni fa?! Ma davvero si pensava che la decisione di berlusconi fosse onestamente volta a salvare Alitalia dalle fauci francesi, e che la cosa migliore fosse quella di consegnare una compagnia aerea ad un gruppo di vecchi affaristi che di aerei conoscono solo le poltrone da viaggio? Il risultato è sotto gli occhi di tutti: fallimento confermato. Nel frattempo si discute il da farsi. Per una volta berlusconi, e il suo gruppo di grandi imprenditori italiani, dovrebbe essere invitato a mettere la mani nelle proprie tasche rigonfie e non nelle tasche ormai rivoltate del cittadino italiano.
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fabrizio sacchi says:
Ott 10, 2013
Gentili amici,
direi che la nostra classe imprenditoriale è di primissimo piano: penso a Colannino che, rilevando l’Aprilia, ha vinto in poco tempo due mondiali superbike (proprio con “Aprilia Alitalia racing”) e che adesso sta rilanciando con buoni risultati la Moto Guzzi, in un settore, peraltro, in severa crisi da qualche anno.
Il problema, a mio sommesso avviso, è invece, come paventa giustamente anche Darius (“i politici hanno operato in modo fallimentare”), il settore pubblico.
Chi si trova ad operare in contesti in cui la politica entra pesantemente nelle scelte manageriali, condizionandole negativamente, ne esce irrimediabilmente danneggiato nonostante le abilità manageriali dimostrate nelle proprie aziende di famiglia.
Purtroppo negli acquisti, nelle assunzioni, nella scelta dei fornitori non prevalgono logiche di convenienza e di mercato ma forzature del politico di turno che ha interesse a veicolare le attività verso imprese e soggetti amici; questo andazzo determina, nel breve periodo, il fallimento economico dell’impresa.
Occorre che la politica faccia un passo indietro tornando ad occuparsi delle scelte strategiche dell’impresa d’interesse nazionale e lasciando piena libertà gestionale al management di realizzarle nel contesto delle leggi di mercato.
Qualora la politica non riesca a ricomporsi in questi limiti di saggezza occorrerà privatizzare tutto con buona pace dell’interesse nazionale.
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david p says:
Ott 12, 2013
Fabry, anche una certa classe imprenditoriale ha le sue colpe. Troppo comodo fare gli imprenditori coraggiosi quando tutto va bene e poi chiedere aiuto allo Stato quando si tratta di coprire le perdite. Questo insano connubio tra politica e affari ha fatto comodo a tutti, ma ora qualcuno ne vorrebbe socializzare tutte, o quasi, le conseguenze negative. Questo andazzo deve assolutamente finire, e chi ne ha avuto tanti benefici in passato oggi deve essere pronto a pagarne il prezzo.
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darius says:
Ott 10, 2013
Tra tutte le ipotesi non avevo pensato alle Poste Italiane. Ma gira e rigira sempre lì siamo. E una volta per tutte non sentiremo più parlare di Alitalia. Le perdite annuali Alitalia annegheranno in mezzo al bilancio di questo colosso. Al limite aumenteranno i costi dei servizi postali…ci sarà la “componente Alitalia” come nelle bollette energetiche per la “componente fonti rinnovabili e assimilate”. Per @Aureliano, Letta si è smentito. Ma questo si sapeva. Non vorrei che alla fine i capitani/imprenditori coraggiosi ne escano ancora bene, addossando tutte le perdite della loro gestione allo Stato, sempre noi. Gli imprenditori italiani possono essere in gamba, chi più chi meno, certo che lo Stato può essere un freno alla propria attività o un buon viatico, per pochi eletti. Infine: se veramente andrà alle Poste, che se ne farà degli aerei? Vuole diventare un corriere espresso internazionale? Far concorrenza ai vari FedEx, ups, dhl? L’importante è che i passeggeri non vengano trattati da pacchi postali 😉
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fabrizio sacchi says:
Ott 17, 2013
In questo caso David però è il contrario, fu lo Stato a chiedere aiuto agli imprenditori; questi però hanno accettato perché c’è, come dici tu, quell’insano connubio tra politica e affari per il quale quegli stessi imprenditori hanno ricevuto, in passato, regali dallo Stato (debito di riconoscenza).
E’ vero! E’ ora di finirla con la politica che gioca a fare l’imprenditore con i soldi dei cittadini!!
Il mondo è cambiato, prima c’erano l’IRI, l’ENI e l’EFIM che gestivano, direttamente e indirettamente, quasi la totalità dell’economia italiana ma c’era anche il protezionismo, c’erano i dazi e c’era la lira. Oggi il mondo è globalizzato, si compete a viso aperto e senza difese; questo richiederebbe un cambiamento nell’approccio dello Stato all’economia, un passo indietro per evitare indebite intrusioni nella gestione delle imprese e una maggiore presenza, invece, nella individuazione dell’interesse pubblico che, invece, per la stessa debolezza della politica non viene dichiarato.
L’entrata di Poste nel capitale di una compagnia aerea è fisiologico poiché la mission dichiarata dall’impresa è il trasporto di persone e merci da un luogo all’altro. Del resto alitalia, fino a qualche anno fa, quando terminava le corse per i passeggeri faceva girare gli aerei di notte per trasportare la posta.
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