Avete presente quelle certezze così radicate che solo i bambini riescono ad avere? Ecco, io avevo una certezza forte e solida: da grande avrei fatto il cantante! Mi ci vedevo già su quel palco: io, la mia chitarra ed il mio microfono con asta. Naturalmente con canzoni scritte da me. A scuola ero bravo nei temi e le mie insegnanti mi dicevano che riuscivo a trasmettere emozioni forti con i miei pensieri. Ho fatto tutte le cose a dovere per raggiungere il mio obiettivo. Ho studiato musica e canto. Ho imparato a suonare la chitarra classica e moderna. Una volta diplomato ragioniere – niente conservatorio, perché i miei volevano “che avessi un lavoro in mano” – comincio a fare sul serio: mando demo alle case discografiche, ai manager, alle agenzie di spettacolo. Per mesi non ottengo risposte. Non importa, aspetto. Niente. Aspetto ancora. Mi chiama una casa discografica: si complimenta per la mia musica, ma c’è crisi, dicono, non possono investire sul mio talento. Lo ritengono un gran peccato, ma il mercato è fermo e loro non ci possono fare granchè. Un giorno, poi, mi chiama un’agenzia della mia città: cercano cantanti che facciano cover in piccoli pub di zona. Offrono poco più che un rimborso spese. E’ un inizio, mi dico, ma il sogno prende forma, sono entusiasta. Al diavolo i soldi, arriveranno anche quelli. Inizio a lavorare nei pub. Sono bravo, mi apprezzano, anche se posso fare solo cover, ma le personalizzo e sono fiero di me e della mia perseveranza. Trascorrono così alcune stagioni lavorative e la mia famiglia mi dice che devo trovarmi un lavoro serio… IO HO UN LAVORO SERIO. Ma non guadagno abbastanza. Mi è chiaro. Comincio a rabbuiarmi e perdere qualche certezza, ma poi, quando vado a suonare, sento una tale carica di energia che mi dico che sì, io devo cantare nella vita!
Una sera, mentre canto, si avvicina una ragazza e mi dice che sono bravo, che posso osare di più, che ho la grinta e la stoffa giusta. Lei si chiama Daniela e fa la giornalista. Diventiamo amici. Crede in me e mi sprona a non mollare. Ci innamoriamo e decidiamo di fare un progetto di vita insieme. Ma io devo avere un lavoro, un lavoro serio, come diceva mio padre. Dopo avere inseguito il mio sogno per anni, trovo un lavoro come impiegato, trovo casa, mi sposo con Daniela e mettiamo su famiglia. Lavoro di giorno e suono abitualmente nei locali la sera. Sono deluso? No! Ho una famiglia meravigliosa, un discreto lavoro … e poi ho la mia chitarra, compagna di vita con la quale canto nei locali ma soprattutto canto la ninna nanna alla mia bellissima bambina. Certo, non posso sostentarmi con la musica, ma ugualmente lei mi accompagna ogni giorno. Volevo solo fare il cantante, e tutto sommato lo faccio…. Mi sento realizzato e va bene così.
Sliding doors…
Una sera, mentre canto, si avvicina una ragazza e mi dice che sono bravo, che posso osare di più, e mi porge un bigliettino. Lavora in una casa discografica. Mi dà appuntamento per la settimana seguente. Mi presento, porto i miei provini. La produzione ritiene che io abbia dei testi interessanti, che trasmettono emozioni, che io sia un talento e nonostante il momento molto difficile per il settore, decidono di credere in me. Mi portano in studio di registrazione. Canto, insieme alla mia fedele chitarra e tra una cosa e l’altra mi ritrovo su uno palchi più importanti del mondo: l’Ariston di Sanremo! Lo sapevo. Ci ho creduto, me lo sono guadagnato… e ora faccio il cantante. Dopo l’esperienza del Festival arriva un disco, le interviste, i concerti in piazza. Riesco a guadagnare discretamente e sono contento. Viaggio molto per concerti e promozioni e tra un’intervista e l’altra conosco Daniela, una giornalista. Ci innamoriamo, ci sposiamo e mettiamo su famiglia. Volevo solo fare il cantante, e ce l’ho fatta. Mi sento realizzato e va bene così.
Conclusione, la realizzazione è prima di tutto dentro di noi. Intorno a questo principio si cerca di plasmare, nel migliore dei modi possibili, ciò che avviene fuori. Ma non ci possiamo nascondere che questo “processo di adattamento”, che per fortuna la maggior parte di noi riesce a compiere, porta spesso con sé un carico di delusione e frustrazione non indifferente. Lavorando nel settore musicale (ma il discorso si può estendere a tutto il mondo delle arti nel nostro Paese), tocco quotidianamente con mano quanta energia, quanto talento, quanta passione vengano ogni giorno dissipati e sprecati, nell’indifferenza generale. E’ dovere di ognuno di dare il meglio di sé, ma è anche dovere di un Paese dare un’opportunità. Come se ne esce? Il nostro Paese si è affermato nel mondo, prima di tutto, per il suo patrimonio artistico e culturale, e non possiamo vivere solo dei fasti del passato. E’ ancora lecito sperare che qualcuno se ne accorga?
6 comments
ace69 says:
Ott 7, 2013
Il racconto mi è piaciuto molto. Come se ne esce? Difficile trovare ricette magiche, però una cosa lasciatemela dire: spero di non sentire mai più un ministro dell’economia dire che “con la cultura non si mangia” come ci è toccato di sentire negli ultimi anni. Indice di una miopia e ignoranza che l’Italia non si merita.
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aureliano says:
Ott 8, 2013
@Ace, mi ricordo bene anch’io la frase di Tremonti… e il faccione paonazzo del “povero” Bondi che cercava goffamente di protestare (con tale veemenza che poi si è dimesso..)
Ma voglio anche ricordare quello che ha detto Letta nel discorso di insediamento: “se ci saranno altri tagli alla cultura, mi dimetto..!”. Staremo a vedere. NdR: ma chi li dovrebbe fare eventualmente? Saccomanni? Hahahahah
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Monica Landro says:
Ott 10, 2013
Ciao Ace, Aureliano,
come ho già avuto modo di argomentare in altre sedi, tutti noi, bambini, abbiamo avuto un sogno. Il sogno non era avere un lavoro, il sogno era IL lavoro, QUEL lavoro. Quanti creativi, pittori, attori di teatro, scultori, poeti, cantanti, sportivi ci sono che non possono donarci il loro estro? Possibile che questo Paese, culla di cultura per secoli, non possa più nutrire queste virtù? Qui si perde il lavoro, la casa, i risparmi….e pure la cultura. Eppure una volta mi avevano detto: “studia, perchè la vita, la politica, la società, il caso ti può togliere tutto, ma non la cultura!”. Siamo proprio sicuri? Riprendo David che enuncia i dati del budget destinato alla cultura e mi domando quale livello di cultura sarà permesso di raggiungere ai nostri figli, andando avanti di questo passo…
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david p says:
Ott 8, 2013
Penso che siano in tanti a ritrovare qualcosa della propria vita nel racconto di Monica. Quanti di noi hanno coltivato un sogno nel cassetto e hanno dovuto accantonarlo… chi non si è in qualche modo “infiammato” da ragazzo per qualche campo dell’arte o della cultura?
In un modo o nell’altro credo tutti. Chi è riuscito a trasformare i sogni in una realtà che consenta di vivere? Davvero pochissimi.
In questo fenomeno di vera e propria “frustrazione culturale”, le politiche di gioverno hanno una enorme responsabilità. Cito solo un dato: il budget disponibile per il Ministero dei Beni culturali è passato da 2,7 miliardi del 2001 a 1,5 previsti per il 2013: lo 0,2% per bilancio dello Stato! In questi numeri credo ci sia tutta la drammaticità di questo settore e, indirettamente, del momento che stiamo vivendo.
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spartaco says:
Ott 9, 2013
Bello il racconto, proprio vero: “uno su mille ce la fa!”. Non darei però tutta la colpa allo Stato che non aiuta. Anche il “pubblico”, i cittadini hanno le loro colpe: il disinteresse per certe forme di cultura (penso ad esempio al teatro) e la piaga della pirateria sono fenomeni che hanno radici profonde nella società.
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Monica Landro says:
Ott 10, 2013
Ciao Spartaco,
l’amore per la cultura nel senso più vasto del termine, viene insegnata in famiglia, per alcuni, ma altri la devono sviluppare da sè e lo possono fare se si offrono loro gli strumenti per conoscerla. Alle elementari mio figlio -12 anni- veniva accompagnato a teatro dalle maestre. Ha avuto modo di saggiare il sapore di quel palco e l’arte di quegli attori. Il mio piccolo -9 anni- quest’anno a teatro non lo porteranno: tagli alla scuola, dicono. Riesco ad esprimere il mio disappunto con queste poche righe?
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