Il sogno dei fumatori italiani è destinato a svanire: nonostante l’avvento della sigaretta elettronica, probabilmente dovranno continuare ad uscire dai locali per concedersi l’irrinunciabile piacere. In Francia è stato recentemente vietato l’uso della e-cig nei luoghi pubblici ed il dibattito, con annesse polemiche, si sta aprendo anche nel nostro Paese. Nel frattempo, il Ministero della salute ha elevato da 16 a 18 anni la soglia di divieto di vendita delle sigarette elettroniche con presenza di nicotina, e sono in corso controlli dei NAS per verificare il rispetto delle norme (manifattura, etichettatura e vendita). Il tema, per l’impatto sociale ed economico che genera, ci è sembrato assolutamente degno di una riflessione sul nostro Labeconomy. Due dati impressionanti: in Italia, ogni anno, circa il 15% dei decessi è legato al consumo di tabacco (circa 75mila su 560mila, tra neoplasie polmonari, altre tipologie tumorali ed altre malattie polmonari e cardiovascolari). Ed i costi diretti dovuti al fumo rappresentano quasi l’8% della spesa sanitaria totale.

Alcune informazioni generali. La sigaretta elettronica è un dispositivo (batteria, atomizzatore e inalatore) che rilascia vapore arricchito di aromi e sostanze, compresa la nicotina, aggiunte attraverso apposite ricariche liquide. L’uso delle e-cig tra gli italiani è, da circa un paio di anni, in notevole aumento: sono utilizzate regolarmente da circa 500 mila persone (1% degli italiani) in media 9 volte al giorno, verosimilmente come mezzo per ridurre o smettere di fumare (dati Istituto Superiore della Sanità 2013). Nata dieci anni fa in Cina, la e-cig era inizialmente commercializzata solo attraverso internet. Oggi, anche da noi, esistono diverse catene di negozi, che si prevede faranno “affari d’oro”, grazie anche a prezzi di tutto rispetto: da 30 a 80€ per una sigaretta, mentre 100 ml di liquido non aromatizzato con contenuto di nicotina pari a 18mg/ml costano circa 30€.

Visto il business, non mancano i primi scontri tra associazioni. Da un lato, la neonata Associazione Nazionale Fumo Elettronico (ANaFE). Dall’altro, una agguerrita Assotabaccai ha sollevato forti dubbi di natura legale: la vendita della nicotina, infatti, deve essere effettuata nel circuito del monopolio di Stato, ed i tabaccai stessi sono “submandatari” dello Stato per tale vendita. Con tanto di tassazione specifica per lo svolgimento di tale attività.

La e-cig serve davvero per smettere di fumare? Dai dati empirici disponibili, soltanto il 10% circa di chi l’ha utilizzata ha effettivamente smesso. Il restante 90% è ancora fumatore, anche se in alcuni casi il consumo di sigarette tradizionali risulta essere stato ridotto. Dal punto di vista sanitario, osservo che esistono metodi scentificamente efficaci per smettere di fumare e, ad oggi, non prevedono certamente l’utilizzo delle e-cig.

Molto discusso ed incerto è il tema della pericolosità delle e-cig. Sicuramente non si verifica la combustione del tabacco e le sostanze nocive e cancerogene presenti nelle sigarette tradizionali non vengono aspirate. Le sigarette tradizionali contengono infatti più di 4.000 sostanze chimiche diverse, delle quali almeno una sessantina cancerogene. Tuttavia, le e-cig possono contenere nicotina, sostanza che crea dipendenza da fumo. Inoltre, non si conoscono gli effetti degli aromi a livello polmonare, né le possibili conseguenze del fumo passivo (che invece è ben studiato per le sigarette tradizionali). Bisogna poi pensare alla componente comportamentale del fumo: il gesto di fumare, anche se “finto”, evoca comunque il tabagismo e potrebbe essere emulato dalle fasce di popolazione più a rischio, motivo per cui il Consiglio Superiore di Sanità ha raccomandato di vietare il fumo elettronico nelle scuole. Da medico, comprendo queste cautele e divieti, e ci vedo un solo denominatore: provare a non mandare la nostra vita …. in fumo.

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