Torino, convegno di Confindustria, 17 aprile 2013. La campana suona l’ultimo giro. La situazione delle nostre imprese è drammatica, “è la crisi peggiore della storia”. Vengono commemorati i caduti di questa guerra, quelli che non ce l’hanno fatta, che non hanno retto alla disperazione e alla vergogna. Sullo sfondo, aleggiano tanti fantasmi ad alimentare le paure di ieri e di domani: la crisi, le banche, lo Stato che non c’è, Equitalia, la gelida Europa della Merkel. Ciascuno di questi elementi è carne viva, e sembra di vedere tante braccia che si saldano in una stretta mortale.
Qualcosa però non mi convince fino in fondo. Per carattere e formazione mi viene difficile dare tutta la colpa “al sistema”, nemmeno quando, come in questo caso, è palesemente ostile. A volte il nemico è molto più vicino di quanto pensiamo, a volte è anche dentro di noi. E dobbiamo conoscerlo proprio per sconfiggerlo.
Vengo subito al punto. Per troppo tempo, come sistema industriale, abbiamo coltivato l’illusione che “piccolo è bello”. Per troppo tempo abbiamo creduto, e forse alimentato, il mito dell’uomo solo al comando. Abbiamo pensato che fosse sufficiente il genio, il fiuto, l’energia straordinaria di una persona (o di pochissime) per trascinare un’intera impresa verso un successo perenne. Una surreale idea di immortalità, degli uomini ma anche dei cicli economici e dei mercati, si è impadronita di tante menti, quasi che l’”onda lunga” non dovesse mai finire. Finchè la barca va, lasciala andare, e tutti a remare con foga dietro al grande Comandante. Perchè perdere tempo a darsi una “sostanza d’azienda”, una struttura, un’organizzazione? Tempo perso, tempo buttato via.
Questa impostazione illusoria ha portato in dote a tantissime aziende (ma per fortuna non tutte) quello che io chiamo “deficit organizzativo cronico”, cioè una gravissima mancanza di organizzazione a vari livelli. Mi limito a indicarne velocemente tre. Di governo: le decisioni vengono prese da uno (o da pochi) senza un vero confronto e contraddittorio, senza attivare organismi realmente in grado di arricchire la strategia ed arginare gli errori. Di delega: i ruoli chiave vengono assegnati a membri della famiglia che spesso (per fortuna non sempre) hanno scarse o nulle competenze, che a loro volta privilegiano gli yesmen a discapito delle persone in gamba . Di sistemi di controllo: il fiuto la fa da padrone, non si dispone di indicatori affidabili, la contabilità industriale è vista con fastidio, si fanno piani e budget tanto per farli.
Ma il mondo sta cambiando velocissimo. Puoi sopravvivere, ed anche avere successo (come pure tante aziende italiane stanno avendo) se sei in grado di fare innovazione, di competere sui mercati internazionali, di prendere decisioni veloci e di buona qualità. Tutto questo non si può realizzare senza un’adeguata organizzazione, che è un presupposto anche più importante delle risorse finanziarie. Alcuni, per fortuna, lo hanno capito per tempo, e stanno raccogliendone graditissimi frutti. Per altri, purtroppo, è ormai troppo tardi. Altri ancora sono in ritardo, ma ancora in tempo. E chi in azienda ne ha la consapevolezza, deve fare le sue battaglie per farlo capire anche a chi resiste, siano essi genitori o fondatori o figli. Il tempo, implacabile, sta per scadere.
6 comments
gino berto says:
Apr 19, 2013
Se le cose non vanno bisogna partire guardandosi dentro; poi, molto poi, guardare fuori. Anche perchè sui problemi interni si può agire direttamente e tempestivamente, mentre sui problemi esterni, che non dipendono da te, è tutto più complicato, talvolta non c’è soluzione. Ma noi italiani rappresentiamo l’eccellenza dell’individualismo: abbiamo avuto successo con un’idea, bene, pensiamo che sarà sempre così. Ma l’Impresa cresce, la concorrenza comincia ad attaccare, il mercato si rivela sempre più sofisticato: ad allora tutti, e pochi, non possono far tutto. E’ arrivato il momento cruciale: passare dalla bottega all’Azienda: chi lo capisce si darà un’organizzazione che pianifica, agisce e controlla; chi non lo capisce perderà la propria efficacia sfinendosi dietro alle più svariate operatività.
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david p says:
Apr 19, 2013
@Gino, la tua prima frase mi fa capire che vieni da una scuola ancora più severa della mia. E’ proprio così, la rivoluzione deve partire da dentro, da quello che possiamo cambiare.
Passare dalla bottega all’azienda, e mettere da parte l’individualismo anche se eccellente, è una sfida titanica per tanti imprenditori. Sono davvero pochi ad avere questa lucidità e saggezza, e a garantire in questo modo un futuro alla propria creatura, ai propri discendenti e collaboratori. Quando ne incontro uno – non tantissimi, ma per fortuna ce ne sono – resto sempre ammirato dalla sua intelligenza ed anche, in un certo senso, dalla generosità e dal cuore.
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spartaco says:
Apr 19, 2013
La questione è affrontata con coraggio, in questo momento non è facile tirare le orecchie agli imprenditori con quello che sta succedendo. Ma io che imprenditore lo sono accetto la critica. Ognuno di noi sa in quale misura lo può riguardare in prima persona.
Una cosa è certa: abbiamo mille motivi per lamentarci e anche per essere incazzati. Ma nemmeno a me piace questa attitudine al lamento continuo che pervade anche la nostra categoria.
Anche a Torino mi avrebbe fatto piacere sentire qualche parola di autocritica. L’individualismo estremo (anche se eccellente, come dice Gino)si finisce per pagare a caro prezzo.
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david p says:
Apr 22, 2013
@ Spartaco, so che ci sono tanti imprenditori come te, sensibili a questi temi. Ho tanti amici che conducono vere e proprie battaglie in azienda per introdurre un po’ di organizzazione. Sono battaglie durissime, frustranti, spesso contro membri della stessa famiglia.
A volte le vincono, a volte le perdono. Hanno tutta la mia ammirazione quelli che non si rassegnano, che vanno avanti a lottare. Pagando a volte prezzi altissimi, in termini di solitudine personale, derisione e perfino emarginazione.
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lola says:
Apr 21, 2013
Credo che l’ìmput per trovare nuova linfa per l’impresa sia l’innovazione e il saper vendersi e vendere le eccellenze all’estero, cercare nuovi mercati non solo quelli blasonati dei BRICS che sono importanti senz’altro; ma avere la lungimiranza di conquistare quelle che stanno crescendo a paso lento ma sicuro fare ricerca di mercato ed investire. Credo sia noto che in Italia ci siano prodotti di ottima qualità e magari cercare congruenze a livello aziendale con i simili per avere piu forza compettitiva con le grandi multinazionali, le aziende italiane hanno “il valore agiunto” mi riferisco alle tradizioni artigianali in ogni ambito che sono le chicche che viene invidiato in tutto il mondo!
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david p says:
Apr 22, 2013
@Lola, hai perfettamente ragione, l’Italia ha la sua forza nella creatività, nella qualità, nella capacità di innovazione. Il made in Italy è ancora una forza straordinaria, nonostante tutto. Quando vado a certe fiere di settore, ultima in ordine di tempo quella del mobile, resto ammirato dalle straordinarie capacità delle imprese italiane… e proprio per questo mi viene ancora più rabbia nel pensare alla situazione in cui siamo.
Però, conoscendo bene le aziende dall’interno, voglio affermare ancora questo concetto: non diamo soltanto la colpa al sistema, quando si tratta di affrontare i mercati internazionali non si può farlo con la mentalità del piccolo artigiano, occorrono risorse, strutture e competenze. Altrimenti siamo condannati all’insuccesso.
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