Tanto tuonò che piovve. Nell’articolo sul Monte di fine novembre 2012, parlavamo di indagini finanziarie per una presunta maxi tangente connessa all’operazione Antonveneta. I due miliardi scoperti a Londra, se anche non fossero tangente, di sicuro caratterizzano un’operazione enigmatica e, aggiungiamo, nata sotto una strana stella, degna di un romanzo giallo o di una puntata di approfondimento di Carlo Lucarelli.

Nello stesso articolo parlavamo dei Monti bond, prestiti esosi concessi dallo Stato. Mi permetterei di dire, a questo punto consideriamo anche la nazionalizzazione, come avvenuto per banche inglesi molto blasonate. Il motivo è presto detto: non vorrei che il prestito si tramutasse nella famosa equazione “perdite pubbliche e utili privati”. Cosa farà la banca per recuperare il 9% di interessi sui Monti bond? Non verrà fatta fallire, ma sarebbe giusto che un potenziale futuro acquirente, certamente straniero, la acquistasse dallo Stato piuttosto che da soci privi di ogni merito. Mi riferisco ovviamente alla Fondazione Mps e non ai piccoli azionisti, che hanno tutto il diritto di chiedere come minimo un risarcimento danni. Su di loro si abbatterà tra l’altro un probabile aumento di capitale da 6 miliardi autorizzato per i prossimi 5 anni.

I vertici finanziari di Mps negli ultimi anni si sono lanciati in arzigogolate operazioni derivate, si “sussurra” per occultare perdite, non facendo emergere i reali valori di mercato dei prodotti finanziari sottoscritti: basta venderli alla pari. Ma la banca connivente, disposta ad acquisirli a valori superiori a quelli di mercato, ampiamente si rifà rifilando altri prodotti, facendoli strapagare. E si va avanti così, un circolo vizioso, sperando che le cose girino in meglio nel futuro. Di sicuro il rischio dei derivati, che vuol dire agire a leva e amplificare le tendenze di mercato, mal si concilia con la storia di una banca che è sempre stata molto cauta da quando è nata nel lontano 1472. Non è il suo mestiere e personalmente ritengo che vivere grazie ai derivati non dovrebbe essere il mestiere di nessuna banca: esistono i casinò per questo. Comunque sia, la finanza creativa, soprattutto quando non la si padroneggia, non risolve i problemi annosi di una struttura di costi elevata e di scarsa efficienza nel concedere prestiti.

Sul caso interviene Bersani che dice: “se ci attaccano li sbraniamo”, accennando ad altri scandali bancari come il credito Euronord e il Credito cooperativo fiorentino. Premesso che non siamo per reticenze da parte di nessuno, il fatto è che nessun partito politico deve monopolizzare, “volere”, possedere o anche solo influenzare una istituzione finanziaria. Le Fondazioni bancarie, 88 in tutta Italia e con un patrimonio di oltre 40 miliardi di euro, devono essere ripensate, non possono essere il campo di battaglia per politici, locali o nazionali. Le Fondazioni devono tornare autonome, il loro unico fine è il perseguimento di opere di utilità sociale attraverso gli utili della banca e non possono permettersi di esprimere un Mussari qualunque.

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