Comunque la si pensi, da sostenitori o da avversari, le primarie del centrosinistra sono state una bella pagina di democrazia. Il confronto è apparso aperto e coinvolgente, ha riacceso un desiderio di partecipazione sepolto sotto anni di frustranti e sterili contrapposizioni. Nel duello televisivo finale i due contendenti si sono affrontati a viso aperto, marcando le loro differenze senza colpi bassi.

Il Padre punta sull’esperienza, non promette miracoli, tenta di rassicurare sostenitori attuali e potenziali. Il Figlio si sforza di dare l’immagine del giovane baldanzoso e coraggioso, senza tabù e timidezze. Il primo rivendica con orgoglio le sue famose “lenzuolate” liberalizzatrici e ne promette di nuove. Il secondo fa leva sulla sua azione di giovane amministratore, annuncia l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti ed una lotta decisa agli apparati ed ai costi della politica. Il segretario appare ferrato sui contenuti, ma certamente più legato agli schemi tradizionali dell’azione politica e sindacale che in tante occasioni hanno ingessato il cambiamento. Il sindaco cerca a tratti di sorprendere, di mettere in campo qualche idea nuova, è simpatico e ammiccante, a tratti appare un po’ ingenuo ed idealista.
 
I due spunti più belli, uno per parte. Bersani quando dice che le liberalizzazioni sono di sinistra, dal momento che la democrazia dà regole al mercato, a differenza del liberismo dove il mercato dà regole alla democrazia. Renzi quando parla di meritocrazia nella scuola, e sostiene che dare dignità agli insegnanti, difendendone il valore sociale, vuole anche dire premiare chi vale di più e sanzionare chi non fa il proprio dovere. Ha coraggio da vendere il ragazzo.

L’Europa, con la sua austerità, è il convitato di pietra. Si parla di riduzione di tasse, di mettere soldi in tasca ai meno abbienti e perfino di elargire miliardi al ceto medio. Nessun cenno a come e dove tagliare le spese, oltre a misure simboliche. In compenso, alla Merkel e alla Germania diremo con orgoglio che noi non siamo mica qui a suonare il mandolino, che siamo un popolo serio, discendenti di Spinelli e De Gasperi. Noi lo diremo, loro si convinceranno. L’importante è crederci, ed anche sognare un po’. Almeno per questa sera. 

 

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