La manovra di fine anno, quella di diminuire gli impieghi e mostrarsi con bilanci migliori, non è servita alle banche. Non è sufficiente di fronte ad uno stock di crediti deteriorati che, per le prime 9 banche italiane, ammontava a 165,5 miliardi (97,1 al netto delle svalutazioni) a fine novembre 2011. Ci sarebbe molto da dire: i fondi che hanno preso dalla BCE al tasso dell’1% e che investono in titoli di debito pubblico italiano o che ridepositano presso la BCE, gli aumenti di capitale multipli, la diatriba sulla valutazione a fair value dei titoli di Stato, molto penalizzante per le banche italiane, la perdita del loro ruolo di finanziatori di imprese e iniziative di investimento. La maggior parte delle banche sono legate al sistema Italia e qui sta la loro attuale debolezza. Si può certamente dire che non svolgono più la loro funzione, che devono aiutare le imprese, che affossano il sistema se non mettono in circolo i fondi ricevuti. Tutto ciò è sacrosanto e i politici hanno ben donde a cavalcare questo tema. Ma se il sistema non funziona, dovrebbero intervenire dal punto di vista legislativo e non come “moral suasion”, avendo in mente solo l’impatto delle scelte sull’elettorato. Con le privatizzazioni, lo Stato e le varie istituzioni locali hanno sempre meno controllo sulle banche italiane e in futuro entreranno soggetti forti stranieri (in Unicredit e Monte dei Paschi in primis) attraverso gli aumenti di capitale in cantiere. E gli stranieri arriveranno; hanno in mente solo il profitto senza badare alle frasi di rito talvolta usate: “ma se la banca non aiuta una azienda importante e sana come la mia, che sta attraversando un momento di difficoltà, tutto il sistema si affossa”.
La banca è un’altra impresa, ha perso quella idea di istituzione. Così come si contratta con un possibile cliente, fornitore o partner, così bisogna impostare il rapporto con la banca. Alle banche straniere non importa se l’azienda è presente da 50 anni sul mercato, non importa se il business perseguito ha dato frutti nel passato, se l’imprenditore è un famoso cavaliere del lavoro. Importa solo il futuro. Da qui in poi. Vogliono vedere: modello di business sviluppato su più anni, managers in grado di perseguirlo, analisi di mercato e leaders con idee chiare ed una visione concreta. La banca deve essere come un partner: inutile averne 10 se nessuna di loro è un partner e ciascuna di loro è pronta a voltare le spalle. I partner vanno scelti con criterio, non è il primo che mette a disposizione qualche fondo a breve termine. Amicizie e relazioni serviranno solo per mettere in contatto: sempre meno per decidere su un finanziamento. Con le banche straniere il rapporto impresa-banca, già spersonalizzato negli ultimi anni, si fonderà su nuove basi e gli imprenditori italiani se ne stanno accorgendo. Di sicuro le imprese valide ma capaci di comunicare con efficacia, avranno la meglio.
3 comments
Aureliano 67 says:
Gen 12, 2012
analisi davvero molto stimolante. Personalmente non mi spaventa affatto, anzi sarei felicissimo di avere come controparte banche-parters che sappiano valutare il modello di business ed i business plan aziendali. Sarò forse io sfortunato, ma vedo ahimè quotidianamente nelle PMI banche che si comportano con le polverose logiche di sempre: rischio minimo (il loro ovviamente), scarsa trasparenza, nulla condivisione di obiettivi a medio e lungo termine. Io spero che la rivoluzione si compia in fretta!
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wicks says:
Gen 13, 2012
Il mondo sta cambiando velocemente e l’europa per forza di cose sta cambiando per stare al passo. Metto la mano sul fuoco, tra due anni dico che sarà tutto diverso. Con l’ingresso delle banche straniere in Italia, non credo sia più lungimirante per le banche nostrane tenere nel forziere della BCE o investire in BOT i soldi avuti in prestito, alla lunga non reggeranno e verranno assorbite.
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David Pierantozzi says:
Gen 14, 2012
Bene la concorrenza. Ricordiamoci però che oggi l’Europa è ancora un fatto solo monetario, non politico nè tantomeno culturale. In questa grave crisi abbiamo visto quanta importanza abbiano ancora l’identità nazionale e la “moral suasion” del Tesoro sulle banche nazionali: alla prova del fuoco, chi ha continuato a comprare i nostri titoli del debito pubblico? E chi invece ci ha scaricato senza pensarci due volte, magari con sorrisetti ironici di sufficienza? E allora dico: attenzione a non svendere pure le nostre banche dopo avere già largamente svenduto le nostre imprese. Io francamente mi auguro che ci sia un processo di maturazione ed evoluzione interna e non tanto un acquisto “a saldo e stralcio” da parte di qualche colosso francese o tedesco.
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