A volte non servono articolati ragionamenti, valgono di più le sensazioni. Vedere un governo con esponenti delle opposte fazioni che si stringono la mano, tra cui diversi quarantenni, personalmente mi ha suscitato una reazione positiva, direi quasi un moto di speranza. La storia sembra essersi incaricata di fare ciò che gli uomini non hanno avuto la lucidità di fare da soli: portare gli eterni contendenti su un sentiero di confronto e di collaborazione.

Qualche riserva mi nasce sulla designazione del responsabile del dicastero dell’Economia, illustre rappresentante del mondo delle banche e della finanza nazionale e internazionale. Avrei preferito una persona più vicina all’economia reale, alle aziende, al mondo del lavoro e della produzione. Ma non voglio partire prevenuto, le persone vanno giudicate dai fatti. Proprio per questo, mi permetto di inviare al nuovo governo un telegramma virtuale firmato Labeconomy, con un messaggio di tre punti assolutamente prioritari per la nostra martoriata economia, sui quali credo sarà giusto e doveroso giudicare l’azione del nuovo esecutivo.

Primo: ridurre il carico fiscale. Con un total tax rate del 65%, cittadini ed imprenditori sono depauperati, demotivati e frustrati. Almeno tre misure sono assolutamente urgenti: riduzione del prelievo sul reddito da lavoro per le fasce più deboli; drastica revisione dell’IMU sulla prima casa, esentando le fasce meno abbienti e gli immobili gravati da mutuo; inizio di un percorso di abolizione dell’IRAP, il mostro giuridico, economico e costituzionale che stritola le nostre aziende.

Il secondo punto è il mantra del nostro Lab: la riduzione della spesa pubblica. Sul tema, chiariamo ancora una volta: non ci sono in assoluto comparti di spesa da salvare ed altri da tagliare. In ogni settore (previdenza, sanità, istruzione, difesa, giustizia, eccetera) c’è una parte di spesa “buona”, che anzi è spesso insufficiente, ed una “cattiva”, frutto di sprechi e inefficienze quando non di corruzione e malaffare. Occorre archiviare definitivamente la stagione dei tagli lineari e concentrarsi su tagli mirati alla spesa del secondo tipo. Le risorse recuperabili sono assolutamente ingenti, e possono essere impiegate non soltanto per la riduzione delle tasse, ma anche per vitali investimenti nei settori della scuola, università, ricerca e cultura.

Terzo ed ultimo punto del nostro telegramma virtuale è l’azione da svolgere a livello europeo. La politica economica europea, comunemente nota come “politica dell’austerità”, ha dimostrato di essere fondata su presupposti fragili o addirittura errati. Molti lettori ricorderanno il nostro articolo del 14 novembre scorso “Quel terribile abbaglio del fondo monetario”. E’ di questi giorni un’altra chicca clamorosa: un celebre studio di due professori di Harvard, Reinhart e Rogoff, alla base di molte scelte di politica economica europea, afferma che un Paese con un rapporto debito/PIL superiore al 90% non può oggettivamente conseguire tassi di crescita sufficienti. Ebbene, sembra una barzelletta, ma pare che sia stato scoperto un errore madornale nel foglio di calcolo (excel) tale da invalidare le conclusioni dello studio. Risultato: l’idea che per tornare a crescere sia necessario ridurre il debito a tutti i costi (ripeto: a tutti i costi) non avrebbe legittimazione scientifica. 

Intendiamoci, in Italia il debito sta già avvicinandosi pericolosamente al 130% del PIL e non è il caso di andare oltre per tante ragioni. Dei paletti vanno comunque messi. Ma è arrivato il momento che l’Europa rimuova quella camicia di forza che, in nome di teorie molto discutibili (per non dire altro), determina una serie di vincoli assurdi, quali ad esempio impedire agli Stati membri di procedere ad investimenti strategici o precludere la possibilità che gli enti locali paghino i loro fornitori, pur avendone i fondi (il c.d. “patto di stabilità”).

Mi fermo qui, ce n’è a sufficienza per un’intera legislatura. Voglio riservare il pensiero finale ed una profonda solidarietà a Giuseppe Giangrande, servitore dello Stato, vedovo da poco con una figlia di vent’anni, che ha rischiato di perdere la propria vita proprio per consentire che tutto ciò di cui abbiamo parlato diventasse possibile.

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