Stati Generali della cultura a Roma. Presidente, ministri, scienziati, intellettuali: tutti a chiedersi come mai la cultura in Italia, ed in particolare la ricerca, versi in questo stato di triste abbandono. Tra esortazioni e contestazioni, alla fine tutti puntano il dito contro il Colpevole di tutti i mali: la crisi, le casse vuote, le “altre priorità”. Come fossimo in crisi da sempre. Come se “prima” le cose fossero diverse. Leggo i vari resoconti dei giornali, più o meno tutti uguali, e mi resta la sensazione che questa spiegazione sia solo parziale, per non dire un comodo alibi.
Mi viene in mente un vecchio aneddoto di tanti anni fa quando facevo l’assistente all’università. Durante una riunione plenaria dei docenti, si parlava di borse di studio. Un mega professore di ruolo, certamente gratificato di ricco stipendio, annunciò che le già misere borse di studio dei giovani ricercatori sarebbero state ulteriormente “limate” per mancanza di fondi. Un ragazzo coraggioso prese la parola e domandò se qualcuno di lor signori conoscesse i costi della vita a Milano. E poi lanciò, tra l’incredulità e l’irritazione dei suoi interlocutori, un appello che ancora ricordo: farla finita una volta per tutte con l’idea che un ricercatore possa e debba vivere di gloria, quasi in una sorta di appagamento mistico per la “nobiltà” del ruolo ricoperto nella società.
Non ho mai dimenticato quelle parole. Quel giovane aveva messo il dito sulla piaga. Nella ricerca, nell’innovazione, nella cultura, nell’arte c’è il seme dello sviluppo di una società. Anche sotto il profilo dell’economia e della crescita. Finchè si è intimamente convinti, anche nelle istituzioni, che chi dedica la vita a queste cose si debba rassegnare a fare del volontariato, indossare giacche con le pezze ai gomiti e chiedere aiuto economico ai genitori fino a quarant’anni, e magari esserne pure contento, non andremo da nessuna parte.
6 comments
italyFromAbroad says:
Nov 17, 2012
Ottima osservazione David.
Quanto descrivi è probabilmente il retaggio del Medioevo, quando il valvassino ringraziava il valvassore che ringraziava il vassallo che ringraziava il re per aver ricevuto il titolo di valvassino, valvassore e vassallo..
Questa brutta abitudine si riflette in Italia in alcuni comportamenti accedemici, professionali e sociali che si riassumono nel “tu fai ricerca per 2 anni senza stipendio e poi io ti firmerò l’articolo”, oppure “tu lavori duro 1 anno, ottieni risultati prestigiosi, ed io, direttore generale, ritiro il premio a nome dell’azienda senza riconoscere il tuo lavoro”.
Questi comportamenti sottendono che attraverso l’investitura del subalterno da parte di chi ha un titolo, parte del titolo (e quindi del potere e della ricchezza) transiti nel subalterno. C’è quindi uno scambio fra quello che mi dai (il tuo lavoro, il tuo tempo e la tua fama) e il titolo (potere/ricchezza) che transita in te attraverso la mia investitura.
Nelle Nazioni che ‘vanno avanti’, il Medioevo è stato accantonato e si guarda al progresso/all’innovazione e non alla stasi economica. Pertanto il re ringrazia pubblicamente il vassallo che ringrazia pubblicamente il valvassore che ringrazia pubblicamente il valvassino per il loro contributo fin nelle piccole cose al progresso delle istituzione e della società civile.
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alice franco says:
Nov 18, 2012
Sono assolutamente d’accordo con l’articolo, David. E quel giovane che disse di smetterla di considerare i ricercatori quasi come fricchettoni che vivono d’arte e gloria ha detto una sacrosanta verità. Proprio loro che investono anni della propria vita in formazione per portare un contributo concreto e fondamentale allo sviluppo di uno stato e della sua società, vengono trattati con grave sufficienza e relegati ai piani più bassi della condizione sociale e lavorativa. Il mondo va al contrario!! E per esperienza assolutamente personale, posso testimoniare che le aspettative riguardo a lavoro, carriera in ambiente accademico e quindi qualità di vita di un ricercatore inducono a rinunciare e scappare da questo mondo. Io ho rinunciato. Non sono un granché, ma il mio contributo potevo darlo. Ora non più.
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valentina murgia says:
Nov 18, 2012
Condivido assolutamente…che dire,un Paese che non investe in cultura non ha futuro
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giulia rossi says:
Nov 19, 2012
Un’amara verità David. Questo mi fa pensare alla differenza tra l’ottica di breve termine che ha contraddistinto i più che ci hanno governato negli ultimi decenni, egoisticamente orientata a barcamenarsi nel presente, a riscuotere consensi e “arraffare” per sè quanto possibile, e una Visione di lungo termine coraggiosa e generosa, orientata al bene-sviluppo dell’Italia e alimentata da un ormai svanito amore per la patria. Come ritrovare, oggi, l’orgoglio di essere Italiani? La denuncia e il dibattito, un primo importante passo. Grazie.
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wicks says:
Nov 19, 2012
Cultura e Istruzione sono il volano dell’innovazione e sviluppo; se le sacrifichiamo, come abbiamo fatto in passato e stiamo tuttora facendo, non si va da nessuna parte e inesorabilmente l’Italia decadrà….
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gino berto says:
Nov 19, 2012
Credevo di aver toccato il fondo quando mi sono laureato in chimica ad indirizzo inorganico chimico-fisico, assieme a ben altri 2 in quell’anno lontano. Ho lavorato mesi all’Università senza retribuzione e senza prospettiva. Ho dovuto mollare, perchè non avevo risorse. E così altri hanno preso quel posto …. perchè potevano. Situazione brutta, discriminante fra chi ha e chi non ha, il merito non conta. Ma almeno il posto c’era e da qualche figlio di papà veniva occupato. Un pò di ricerca riusciva a farla, qualcosa di nuovo veniva alla fine scoperto. Oggi non c’è neanche più quel posto, perchè nella ricerca, nell’innovazione, nella cultura si crede sempre meno: si preferisce comprare il pacchetto già pronto da qualcun altro. E chi ha capacità e non accetta questo misfatto? Non gli rimane che andare a rimpinguare i centri d’eccellenza di altri Paesi: USA in testa. E non tornano più.
Del resto quando un ministro dell’economia sostiene che con la cultura non si mangia, e una ministra dell’educazione taglia a destra e a manca sulla scuola e sull’università senza un preciso perchè, che cosa possiamo aspettarci in futuro? Oh tempora, oh mores!
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