Il calcio in Italia e’ una cosa seria, questo si sa. Quando si parla di pallone, tutti hanno qualcosa da dire, con tono professorale e cognizione di causa. Tuttavia, discettando di moduli tattici e gesta dei protagonisti del rettangolo verde, molto spesso si sottovaluta la portata economica del fenomeno: 1,5 miliardi di fatturato suddivisi tra 20 club, alcuni dei quali quotati in Borsa. La metà dei ricavi deriva dalla vendita dei diritti televisivi; la vendita dei biglietti, che dovrebbe essere la principale fonte di sostentamento di una società di calcio, è molto penalizzata rispetto ai maggiori campionati europei a causa della vetustà degli stadi, solitamente di proprietà dei Comuni, inospitali ed inadatti ad una vera gestione manageriale dei club. Per porre rimedio a questo stato di cose, da diversi anni si discute di una legge ad hoc, che consenta alle società di costruire nuove strutture più moderne ed accoglienti, a misura di famiglie e deterrenti per la criminalità nascosta dietro alle bandiere. L’idea è quella di agevolare la realizzazione di “stadi del futuro” intesi come strutture polifunzionali, aperte non solo in concomitanza con l’evento calcistico, che armonizzino il complesso sportivo con il tessuto urbano.
Dati gli investimenti in gioco, è palese che la gran parte di queste società non ce la può fare solo con risorse proprie. E’ necessario avere un quadro normativo che incentivi iniziative di partnership tra soggetti diversi, interessati ad un business trasversale. La risposta legislativa a queste istanze è affidata ad un disegno di legge, il cui titolo è “Disposizioni per favorire la costruzione e la ristrutturazione di impianti sportivi anche a sostegno della candidatura dell’Italia a manifestazioni sportive di rilievo europeo o internazionale” (il titolo risente del periodo in cui il ddl fu presentato, cioè quando l’Italia si candidò ad ospitare Euro 2016, poi aggiudicato alla Francia). Approvato alla Camera e giunto al Senato da qualche settimana, il disegno di legge si è arenato e rischia di essere definitivamente affossato. I motivi sono principalmente legati ai contrasti politici in ordine a due punti: 1) la possibilità di costruire senza vincoli di cubatura edifici residenziali e commerciali a corollario dello stadio 2) l’assenza di gare d’appalto per l’affidamento dei lavori e del terreno. Il principale timore degli oppositori al disegno di legge è quello di fornire il lasciapassare a speculazioni edilizie selvagge, in violazione dei vincoli urbanistici, che rendano marginale l’edilizia sportiva a favore di nuove cementificazioni. Un ulteriore sospetto è quello che si voglia favorire tutti quei proprietari di squadre con interessi anche nell’edilizia, senza una visione organica del problema.
Preoccupazioni in buona parte legittime, ma noi crediamo che la risposta non debba essere il boicottaggio tout court, potendosi ancora apportare opportuni emendamenti. Per esempio, la fissazione di alcuni limiti dimensionali ai metri cubi edificabili e l’introduzione di meccanismi di gara all’insegna della trasparenza. In aggiunta, l’investimento potrebbe essere reso appetibile, mediante incentivi fiscali mirati a beneficio dei soggetti compartecipanti al progetto. Come al solito, si guarda il dito e non la luna: è sicuramente importante valutare i contrappesi di ogni testo di legge, ma sarebbe l’ora di favorire riforme strutturali anche in questo ambito. Si darebbe un sicuro impulso alla crescita, con nuovi investimenti privati ed un indotto commerciale che creerebbe occupazione e sviluppo, non soltanto a beneficio delle società promotrici e dei “soliti noti”. Insomma: evitiamo di buttare, per l’ennesima volta, il bambino insieme all’acqua sporca.
6 comments
adone paratore says:
Nov 9, 2012
Sono d’accordo con il tuo articolo e con la chiusa finale. Certo e’ che i meccanismi chiari e trasperenti per le gare d’appalto sono assolutamente condivisibili ed anzi auspicabili. In un Paese come il nostro poi,..addirittura necessari ! Bisogna creare i meccanismi legislativi che veramente favoriscano la partecipazione di tutti i soggetti in grado di competere. Favorendo cosi i soggetti privati dotati di migliori capacita’ imprenditoriali. In Italia qualcosa di valido si e’ cominciato a vedere , a Torino per esempio, ma e’ ancora troppo poco. Milano e Roma ..latitano. ( chiedo scusa per l’esempio partigiano).
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david p says:
Nov 9, 2012
Mi sembra giusto che anche gli enti locali, Comuni in primis, diventino un po’ imprenditori, naturalmente nel rigoroso rispetto di certe regole. Questo potrebbe consentire ai più capaci di recuperare preziose risorse a beneficio dei servizi per i propri cittadini. E da questo punto di vista, mi domando: quale investimento può essere più remunerativo, in Italia, di quello fatto nel business del calcio? La trovo un’ottima idea!
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melchisedec says:
Nov 11, 2012
Calcio, appalti, Pubbbliche Amministrazioni: 3 settori che da anni sono agli onori delle cronache per gestioni non propriamente specchiate. Messi insieme rischiano di essere una miscela espolsiva!
L’idea è sicuramente valida, ma nell’Italia di oggi unire pallone, colate di cemento e soldi pubblici è un’idea che mi spaventa un po’…
Regole, controlli e soprattutto sanzioni dovranno essere ancora più stringenti, al limite del regime militare.
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Michele D' Apolito says:
Nov 11, 2012
Concordo con quanto dice Melchisedec, cioè che pallone, cemento e soldi pubblici possono creare alchimie distruttive.
Infatti lo spirito legislativo corretto dovrebbe essere quello di favorire e incentivare investimenti privati. Per fare questo, bisogna creare la spinta (detassazione, project financing) per soggetti fuori dal calcio a considerare appetibile partecipare alla costruzione di nuove cittadelle sportive
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Bruno Rottoli says:
Nov 12, 2012
Credo che per le squadre di calcio sia essenziale possedere uno stadio di proprietà, per questioni puramente economiche, stile premier league. Il problema è che quasi impossibile che si concretizzi. La Juventus è l’unica società italiana di calcio ad aver costruito uno stadio di proprietà. Sì, ma totalmente a suo carico, senza alcuna agevolazione, almeno per ora, la procura di Torino ha infatti aperto la cosiddetta inchiesta sulla sicurezza, per acciaio venduto non a norma. Ma a parte questo, il trade union ipotetico con le amministrazioni pubbliche locali per consentire la costruzione di stadi è puramente ipotetico. Prendiamo il caso della nostra piccola Cremona. Un progetto indetto dal comune e da poco vinto da uno studio di architettura prevede la ricostruzione totale dello Zini e la riqualificazione urbanistica della zona denominata ex Macello adiacente allo stadio. Per riqualificazione si intende qualche migliaia di unità abitative e il nuovo polo tecnologico IT. Secondo voi, con la crisi immobiliare del momento, chi andrebbe a comprare casa vicino ad uno stadio? E’ ovvio che rimarrebbero quasi totalmente invendute. Ora, le amministrazioni locali, le imprese edilizie e le società di calcio possono intervenire in un ipotetico piano di ricostruzione o costruzione di un nuovo stadio solo ed unicamente con le premesse di sopra. Lo stile british è molto lontano e così non si va da nessuna parte…
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Michele D' Apolito says:
Nov 12, 2012
caro Bruno, perfettamente d’accordo. conosco molto bene il progetto cui ti riferisci ed in quel caso il mio dubbio riguarda non tanto il fatto che si costruirebbe a fianco di uno stadio (con l’attuale conformazione), ma che 20.000 metri cubi resi edificabili sono troppi per un mercato che fatica già a far passare di mano il tanto invenduto. è chiaro che se poi pensiamo di aprire la finestra e vedere le attuali cattedrali nel deserto che sono gli stadi arrugginiti italiani,d’accordo che anche quello è un disincentivo a comprare in quella zona. per quello è urgente ripensare l’urbanistica complessiva di intere aree: ma deve esservi una propulsione pubblica,una visione di insieme di questo ambito, per non lasciare a pochi pionieri il doversi confrontare con un mondo ostile
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