Cos’è questa “grande bellezza”? Da quando abbiamo vinto l’Oscar come miglior film straniero grazie alla pellicola diretta da Paolo Sorrentino, sembra sia diventata la metafora del riscatto generale, il segno che esistiamo, che possiamo ancora vincere e ripartire nonostante la stanchezza e la disillusione dominanti. A me rivedere i ponti e i monumenti della città eterna, bellissimi e immortali, ha fatto pensare, per contrasto, all’effimero che cresce quotidianamente davanti ai nostri occhi, al consumo di suolo, alla costruzione di ponti, palazzi e complessi ipermoderni, che spesso non c’entrano nulla con il paesaggio che li ospita e con la vita delle persone che li attraversano. Cosa danno al mondo in più? Di cosa ci nutrono se lo sguardo scivola via lungo le architetture d’autore ma si emoziona scoprendo tracce di passato custodite nel marmo tra le erbacce di un muretto lungo un’anonima via di Roma? Proprio la città dove è ambientato il film di Sorrentino.
La grande bellezza non è quella descritta in un film con cinismo decadente perché il film, come è normale che sia, non può cogliere tutte le sfaccettature del nostro Paese. Non è nemmeno l’Oscar che ha riportato l’Italia al centro dell’attenzione per la sua storia, il suo gusto, le sue opere d’arte. L’Italia non dovrebbe aver bisogno di un riconoscimento dell’Academy per ricordare al mondo, e soprattutto a noi stessi, che siamo questo ed anche molto altro. Calpestiamo un suolo che sembra non appartenerci più, così proiettati con lo sguardo a un futuro nebbioso. E siamo così estenuati che rivedere sul grande schermo, in versione estetizzante e caricaturale, le nostre meschinità, l’ipocrisia delle parole, la ripetizione rituale e ipnotica dei gesti – dal trenino dei gaudenti sui terrazzi di Roma, a quel dialogo stupendo, attuale, vero, crudele che contrappone Servillo alla giornalista interpretata da Galatea Ranzi – ci genera quasi una sorta di sollievo. Esorcizzare i propri demoni attraverso l’arte procura piacere visivo. E questa volta ci ha procurato anche una statuetta.
Ma bellezza non è estetismo. E non è superficie. Così come la cultura italiana non si identifica con una classe di pseudointellettuali che a furia di parlarsi addosso ha perso ogni forza vitale finendo con il trascinarsi da un vernissage a una festa radical-chic. L’Italia non si può riassumere in un film né in una definizione né in una visione negativa e qualunquista. Ci sono troppe cose che ci appartengono nel profondo e che dobbiamo recuperare, cose che abbiamo sepolto sotto il tappeto del torpore e della disillusione: opere d’arte stratificate nei secoli che da ogni dove ci parlano, menti più o meno giovani che ancora si fanno venire un’idea ma non sanno come darle sostanza e corpo, persone che stanno a fatica percorrendo una strada alternativa, comunità e piccoli gruppi dove è ancora possibile liberarsi da quella pigrizia stagnante per la quale troppo spesso non ci sappiamo più muovere in modo autonomo. Ci sono le imprese che ancora hanno voglia di creare qualcosa e di condividerlo, le persone che amano lavorare bene e nel proprio lavoro si riconoscono, i progetti che possono cambiare le cose. Forse non abbiamo nemmeno bisogno di costruire inutili orpelli per stupire il pubblico dell’Expo o di inventarci chissacché per confermare il nostro genio creativo: basterebbe aver voglia di recuperare, restaurare, sanare, ristrutturare, valorizzare. Ma non porta voti e richiede più Umiltà che Ego. La grande bellezza c’è già. Da questa dobbiamo ripartire.
7 comments
david pierantozzi says:
Mar 7, 2014
Abbiamo oggi il piacere di ospitare Francesca Tozzi, finissima critica cinematografica ed attenta osservatrice delle dinamiche della nostra società, oltre che cara amica. Avevo chiesto a Francesca una recensione del film di Sorrentino, ma devo dire che abbiamo ricevuto molto di più: una acuta e stimolante riflessione sulla società del nostro tempo. Amara ma anche piena di speranza. Un contributo veramente prezioso per il nostro Lab, del quale ringraziamo sentitamente l’Autrice.
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alice franco says:
Mar 7, 2014
Questo articolo è veramente bellissimo! Complimenti all’autrice!
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gino berto says:
Mar 7, 2014
“la grande bellezza”. Nel passato quanta povertà per mantenere la sparuta signoria e la chiesa…già, prelati e signori, non ricchi. Il ritorno erano opere di bellezza, e così gli Strozzi gareggiavano con i Pitti per il palazzo più bello, il Papa chiedeva al Cellini i conii per le monete d’oro, e Francesco Primo la Saliera d’oro, i Dogi costruivano Venezia, eppoi Roma, semplicemente grandiosa. Più o meno inconsapevolmente ci hanno regalato “la grande bellezza” della loro cultura. Ma come dice Schopenhauer “un babbeo sarà sempre un babbeo”, e non ha mente per apprezzare. E così oggi si scivola sul calatrava, e quel pò di nuovo che si vede deve avere l’interprete che te lo spiega…altro che emozioni!
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gino berto says:
Mar 7, 2014
Francesca, un complimento vero per la grande bellezza dell’articolo. In questo momento vorrei averti vicina per abbracciarti e lasciarti solo dopo un tango sentimental.
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aureliano says:
Mar 7, 2014
La Grande Bellezza e’ lì’ che ci guarda. A volte la guardiamo incantati, a volte, distratti dai mille pensieri di tutti i giorni, non ce ne accorgiamo nemmeno. Personalmente non penso che sia solo e soltanto appannaggio del passato, anche se il nostro Paese e’ un museo a cielo aperto ed il paragone e’ spesso impietoso. Ma la Bellezza delle cose, per essere tale, ha bisogno di un animo sensibile, attento e pronto a coglierla, altrimenti e’ solo una bella cornice.
In un certo senso, la Grande Bellezza va scoperta anche dentro di noi. Ecco, questo alla fine mi ha comunicato il film.
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Michele D' Apolito says:
Mar 7, 2014
non posso far altro che applaudire l’autrice…articolo bellissimo, profondo e condivisibile in toto.
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darius says:
Mar 8, 2014
ottima analisi. Dalla decadenza di una società che molto basa sull’apparenza, ad una società che costruisce passo dopo passo, senza strafare. Mi ricorda un servizio visto in tv recentemente: ad una festa a Napoli, una supposta Napoli “bene”, ragazzi alla moda e festaioli che intervistati dicono con sorriso ebete ed artefatto: “ma dove sta la crisi? La crisi è solo un aspetto psicologico”. E a domanda: che fai di lavoro? Risposta: imprenditore, imprenditore, imprenditore. Domanda: di cosa? Mmmm…emmmm…di industria. Vabbé se questa è la speranza d’Italia, meglio preoccuparsi. Ma come dice Francesca, c’è anche un’altra Italia, meno apparente ma più solida. Confidiamo in quest’ultima.
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