Negli ultimi mesi si è assistito a una brusca correzione al ribasso di una categoria di mercati divenuta ben nota al grande pubblico: i Paesi Emergenti. Questo gruppo di mercati aveva ricevuto ingenti flussi di capitali negli ultimi anni: le attese di una vivace crescita economica, corroborata da fattori quali il buon andamento delle materie prime, la competitività del mercato del lavoro e l’apertura al commercio internazionale, hanno indotto molti investitori ad affrontare il rischio. Ora, visto lo scivolone, i giornali hanno immediatamente evocato lo spettro della “fine di un’epoca”, puntando sull’effetto panico che fa sempre notizia.

Cerchiamo di capire cosa è successo. La correzione di giugno è stata scatenata dai grandi investitori che hanno deciso di monetizzare i guadagni maturati (la c.d. “presa di profitto”). Il motivo fondamentale (o la scusa, se preferite) è stato l’annuncio della FED di una possibile riduzione dei volumi di acquisti di titoli governativi già da Settembre 2013. L’effetto dell’annuncio ha portato i grandi investitori ad assumere scenari di tassi d’interesse più elevati con un’economia americana più forte. La conseguenza è stata una corsa all’acquisto del dollaro e alla vendita degli asset dei Paesi Emergenti, soprattutto di quelli che hanno un maggiore indebitamento verso le banche e il sistema finanziario.

Il risultato di questi fattori, unito a qualche dato meno brillante del solito sull’economia reale, ha prodotto pesanti perdite su tutti i mercati che in alcuni casi (India, Brasile, Indonesia, Turchia) hanno sfiorato il 30%. Tuttavia, ragionando a mente fredda, non ci sembra il caso di alimentare le fantasie di chissà quali incombenti disastri. Registrare qualche rallentamento della crescita di questi Paesi dopo anni di cavalcate instancabili è ragionevole. Nonostante questo, i tassi di crescita delle economie dei Paesi Emergenti sono maggiori dei tassi di crescita dei Paesi Sviluppati, l’indebitamento pubblico è mediamente inferiore e il costo del lavoro resta minore (anche se il divario si è parzialmente chiuso).

Certamente la riduzione dei valori nei Paesi Emergenti ha fatto sorgere diversi dubbi a chi aveva investito in questa categoria d’investimento. Ora, passata un po’ la moda, dei Paesi Emergenti se ne parlerà meno per la strada e di più nei salotti della finanza. Magari i BRIC se ne staranno per un po’ con i piedi a bagno maria e la macchina del marketing finanziario si polarizzerà sugli Stati Uniti, offrendo ai grandi investitori un’opportunità di rientro. A quel punto, ripartirà un nuovo giro di giostra ed ecco che compariranno i titoloni sui giornali e i Paesi Emergenti ritorneranno di moda. In tutto questo vorticoso movimento, ovviamente c’è sempre qualcuno che finisce con il cerino in mano, e vi lasciamo indovinare di chi si tratta.

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