Imprenditore con una marcia in più. Bergamasco doc e cittadino del mondo, Simone Brevi dirige da oltre un decennio la OMB Valves Spa, azienda di famiglia nel settore della produzione di valvole per il settore petrolchimico, fondata nel 1973 dal padre Roberto, a sua volta straordinario imprenditore oltre che progettista geniale. Sotto la guida di Simone, validamente coadiuvato dal fratello Fabio, OMB negli anni si è trasformata in un’azienda multinazionale con un trend di crescita solido e costante, generatrice di investimenti, di occupazione e di innovazione tecnologica. Una vera eccellenza della manifattura italiana nel mondo. Considero il colloquio con Simone un’occasione unica per condividere con i lettori di Labeconomy alcune riflessioni a tutto campo sulle sorti del nostro Paese.
Caro Simone, l’Italia sta attraversando un crisi che sembra non aver fine. La tua azienda, al contrario, sta vivendo anni di crescita dei fatturati e dell’occupazione. Quali aspetti hanno fatto la differenza?
L’aspetto principale è quello di essere inseriti in una dimensione internazionale, da intendersi non tanto come Comunità Europea quanto piuttosto come presenza diversificata nei Paesi emergenti. L’anno scorso nessuna area geografica ha superato il 25% del fatturato. Naturalmente, questo risultato è stato costruito attraverso un lavoro durato più di dieci anni, con una rete commerciale fatta in parte di agenti ma anche di presenza diretta, con uffici in Giappone, Corea, Cina, Malesia, oltre alla joint venture in Arabia Saudita e le fabbriche a Singapore e negli Stati Uniti. Un altro fattore decisivo è stata la introduzione, una quindicina di anni fa, di una serie di prodotti nuovi in base all’intuizione che il nostro mercato di riferimento si sarebbe spostato dal petrolio al gas. Le cose sono andate esattamente così, il gas è diventato la principale fonte energetica nel mondo e i nostri prodotti hanno avuto una grande affermazione. Molto ha contribuito anche il blocco a livello internazionale nella costruzione delle centrali nucleari dopo il disastro di Fukushima, che ha determinato una ulteriore impennata nella domanda di gas.
OMB è una realtà multinazionale a gestione tipicamente familiare. Quali sono secondo te i punti di forza e debolezza dell’impresa familiare sui mercati globali? E’ un modello che può sopravvivere per il futuro?
Sì, nel momento in cui l’impresa familiare riesce a comprendere l’importanza di dotarsi di una struttura manageriale. Una cosa è certa: nei ruoli in cui ci vuole un certo tipo di expertise, il cognome non è sufficiente. Noi siamo stati in grado di crescere anche perché ci siamo dotati di manager con un certo grado di responsabilità e di delega. A queste condizioni, la struttura dell’azienda familiare può essere un punto di forza in quanto la catena di comando molto corta permette di prendere decisioni molto più velocemente. Questo però vuol dire che i membri della famiglia devono essere operativi. Noi siamo una società che negli Stati Uniti verrebbe definita “owned and operated by the family”. In America viene fatta una fondamentale distinzione tra impresa “a proprietà familiare” ed impresa “gestita dalla famiglia”.
La tua azienda ha recentemente fatto significativi investimenti sia in Italia che negli Stati Uniti. Quali differenze saltano all’occhio nell’approccio dei due Paesi nei confronti delle imprese?
In Italia si investe soprattutto perché si è legati al territorio, ma se un imprenditore dovesse verificare le condizioni per cui fare oggettivamente un investimento, questo è l’ultimo Paese al mondo in cui lo dovrebbe fare. Negli Stati Uniti la struttura legale, amministrativa e finanziaria, cioè le banche, sono organizzate in maniera specifica per aiutare l’investimento. In 47 giorni abbiamo avuto i permessi per costruire 10.000 mq di fabbrica con regole molto precise, passando attraverso 3 livelli autorizzativi: urbanistico, comunale e provinciale. In più ci hanno tolto la tassa patrimoniale sugli insediamenti industriali, una sorta di imu locale. In Italia tutto al contrario: l’impresa non trova nelle amministrazioni una controparte sufficientemente preparata dal punto di vista tecnico e giuridico. Inoltre, le regole sono troppe, fatte male e non coordinate, e dunque non certe. Non sai mai cosa puoi fare e cosa no. Negli Stati Uniti ci hanno detto e scritto: dovete fare il capannone in cemento armato, non potete farlo in ferro. Qui da noi ci hanno chiesto di portare in consiglio comunale un blocco fisico della struttura. Ma quali sono le regole in base alle quali il Comune ti può autorizzare o no? Non ci sono o comunque il cittadino non può conoscerle. Risultato: ad oggi sono 3 anni che siamo in ballo per avere le autorizzazioni e non è ancora finita.
Cosa ti senti di dire a tanti imprenditori sfiduciati che decidono di trasferire all’Estero le loro imprese e talvolta anche le loro famiglie? Andare all’estero può davvero rappresentare davvero una svolta?
Se uno è imprenditore, può andare all’estero o stare in Italia. Non è per il fatto di stare in Italia che non sei in grado di fare il lavoro. Mi pare una scusa. Quelli che dicono che vanno all’estero dicendo che non sono in grado di fare gli imprenditori in Italia, non saranno in grado nemmeno di farlo all’estero. L’imprenditore è comunque preparato alle sfide, dovunque siano. E’ chiaro però che un imprenditore deve valutare quali sono i benefici di fare certe attività in Italia. Ad esempio: un imprenditore non farà in Italia un’attività che ha un grosso impatto della manodopera, visti i costi della manodopera e le regole sindacali che ci sono in Italia. Lo farà su prodotti o tecnologie che gli permettono di avere un certo tipo di vantaggio.
Se tu fossi al Governo, quali provvedimenti urgenti metteresti subito in campo per il rilancio dell’economia?
Primo: l’eliminazione di tutte le attività burocratiche a livello comunale e provinciale. Togliere tutte le deleghe a Comuni e Province relativamente ad infrastrutture, trasporti e pianificazione del territorio. Ci vuole un coordinamento centralizzato a livello regionale. Cominciamo a costruire le strade in due anni invece di venticinque. Cominciamo a fare un aeroporto con un sistema di interconnessioni efficiente. Secondo: definizione nazionale delle priorità industriali. Esempio: se pensiamo che meccanica, abbigliamento e turismo siano le attività strategiche per il futuro del Paese, la struttura delle incentivazioni fiscali e degli ammortizzatori sociali devono essere finalizzati a questo. Quindi: se un’azienda chimica dovesse andare male, non fai due anni di cassa integrazione, la lasci fallire e spendi quelle risorse per riconvertire il personale per andare a lavorare nelle aziende meccaniche o turistiche. In Corea è stata portata avanti una politica di questo genere: il settore dell’abbigliamento è stato abbandonato, la cantieristica navale pesante è stata spinta, al punto che la Corea è diventata il primo produttore al mondo davanti all’Italia. Terzo ed ultimo: eliminare tutte le forme di incentivi specifici e di contributi agevolati, totalmente inutili, che servono solo a mantenere una pletora di pseudo professionisti. Da sostituire, piuttosto, con una forma di tassazione mirata ad incentivare gli investimenti imprenditoriali e disincentivare la rendita finanziaria.
In conclusione: credi che possiamo essere ottimisti sul futuro del nostro Paese?
L’Italia è ormai in fase di declino, anzi tutta l’Europa è in fase di declino. Il declino è dovuto al fatto che la popolazione non cresce, non c’è una politica di immigrazione intelligente e abbiamo una struttura sociale estremamente conservatrice. Ma questo non vuol dire che in una fase di declino non ci siano delle opportunità. Se un ragazzo va in questo momento a studiare medicina ed ha la scelta tra geriatria e ostetricia, se scegliesse ostetricia farebbe una scelta sbagliata. Che siamo condannati al lento declino è già chiaro dagli anni 70. Questo non è assolutamente da vedere come una cosa negativa, ma come una caratteristica dei tempi. Che al contrario nasconde notevoli opportunità: basta trovare la nicchia giusta.
6 comments
spartaco says:
Feb 20, 2013
Da piccolo imprenditore che cerca ogni giorno di aprirsi la via dei mercati esteri, posso ben immaginare quale sforzo enorme ci sia voluto per costituire una struttura multinazionale come quella raccontata da Simone. Posso soltanto dire che noi proviamo dieci agenti e ne va bene uno, tentiamo accordi con personaggi locali e il più delle volte ne restiamo scottati. Ma è l’unica strada. Chapeau a chi s’è mosso dieci anni fa ed oggi si trova a raccogliere i frutti.
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alessandro m says:
Feb 21, 2013
ritengo interessante il discorso delle deleghe al manager e capire che il manager va responsabilizzato e fatto lavorare, senza il fiato sul collo o impartendo singole istruzioni. Ed è importante quando l’imprenditore sa quali sono i propri limiti e si affida, collaborando, confrontandosi e misurandosi sui risultati, con persone più esperte in un certo campo. Nessuno nasce onniscente.
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adone paratore says:
Feb 21, 2013
Da site manager per PMI italiane in giro per il mondo, ho molto apprezzato l’analisi di Simone. Oltre alla parte delle deleghe ai manager, di grande rilevanza, mi hanno colpito in particolare le considerazioni sul modo con cui un imprenditore deve prima analizzare bene come ed in che modo organizzare la sua presenza all’estero. Trovandomi ad operare in un Paese dell’area mediorientale, sicuramente,a mio avviso, riveste grande importanza la scelta del partner locale e la presenza di una figura qualificata e di fiducia sul posto.Parrebbe facile a dirsi, molto a meno a farsi nella pratica concreta dell’esperienza lavorativa. I Paesi arabi, in particolare,sono da prendere con le pinze.Ma comunque e’ sull’estero e su questi Paesi che hanno bisogno del nostro konw-how che dobbiamo puntare. L’Europa, come giustamente afferma Simone, mi sembra indirizzata su una rotta di inesorabile e lento declino.
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luca p says:
Feb 21, 2013
Ottima intervista. Complimenti a Simone e David. Mi ha colpito molto un aspetto che condivido al 100%: abolire i finanziamenti agevolati. Nel 90% dei casi, vengono dati a chi non ne ha bisogno con logiche molto discutibili. Con quelle risorse, molto meglio pensare ad una riduzione dell’Irap per tutti oppure ad una detassazione degli investimenti oggettivamente realizzati. Mi pare di aver letto che esisteva un “piano Giavazzi” per disboscare questi finanziamenti inutili… che fine ha fatto? rimasto nel cassetto?
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aureliano says:
Feb 23, 2013
Molto interessante. L’unica cosa che non condivido e’ l’idea di uno Stato che sceglie i settori strategici. Siamo nel Paese delle corporazioni e mi immagino già cosa succederebbe quando si trattasse di fare la scelta. Per me, le regole della Cassa vanno cambiate radicalmente per tutti. Finita la cassa ordinaria, game over. Per il lavoratore, tutela aggiuntiva attraverso sussidio di disoccupazione e programma di riqualificazione. Oltre certi limiti, non ha senso l’ accanimento terapeutico, qualsiasi sia il settore,
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david p says:
Feb 24, 2013
Ringrazio i tantissimi amici che mi hanno manifestato apprezzamento e interesse per questa conversazione, attraverso commenti, mail, pagina facebook e conversazioni private. Non dubitavo che Simone Brevi sapesse toccare le corde giuste, conoscendolo da tanti anni sotto il profilo personale e professionale. Ma insieme al carisma individuale, riscontro con grandissimo piacere quanto interesse e quanto desiderio di conoscenza ci sia verso le belle storie imprenditoriali di questo Paese. Che diventano fatalmente fonte di fiducia e speranza, ingredienti dei quali sentiamo tutti più che mail il bisogno.
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