Improvvisamente scopriamo che le tasse sono figlie di nessuno. Nessuno le vuole, nessuno voleva metterle. Se le hanno votate, è stato più o meno con la pistola alla tempia, ma intimamente pensavano che fosse una follia. La famigerata IMU sulla prima casa in particolare, approvata poco più di un anno fa da una delle maggioranze più ampie della storia della Repubblica, ora viene rinnegata da tutti. Iniqua, recessiva, assurda, gli aggettivi si sprecano. Se è stata messa è tutta colpa dello spread, che tanto è un’entità astratta che non si presenta alle elezioni. Bisogna toglierla al più presto, sostituendola ovviamente con altre tasse: una minipatrimoniale, qualche nuovo balzello su giuochi o sigarette, o un superprelievo alla francese sui ricconi, visto che già devono andarsene al diavolo.
Nel baccano generale, ci fosse uno che parla dell’unica cosa di buon senso che in questo momento bisognerebbe dire: come e dove tagliare le spese, ovvero come riformare lo Stato. La finanza pubblica non è poi una cosa così difficile: se si vogliono ridurre le tasse (per chi le paga), oltre alla sacrosanta lotta all’evasione di cui parliamo da cent’anni, bisogna ridurre le spese. Politica? Pensioni d’oro? Regioni a statuto speciale? Province? O ancora le solite sanità, scuola, previdenza? Tagli lineari o stavolta c’è qualche illuminazione in più? Silenzio di tomba. E la famosa “discussione sul welfare”? Sembra il titolo di un libro accademico. Guai a chi soltanto si avvicina all’argomento, la perdita di voti è garantita.
Eppure è questo il cuore del problema. Chiunque si candidi seriamente al governo del Paese ha il dovere morale, ora come non mai, di dichiarare qual è il suo obiettivo di spesa pubblica per i prossimi anni. Non dimentichiamo mai che viviamo in un Paese in cui la macchina statale pesa per la metà del Pil: cioè “brucia” da sola il 50% della ricchezza totale prodotta in un intero anno, tra l’altro senza risultati apprezzabili in termini di redistribuzione del reddito. Come elettori dobbiamo pretendere che di questo si parli con serietà. Ma visto che il tempo passa e il silenzio su questi temi si fa intollerabile, propongo l’introduzione immediata di una nuova par condicio: in tutti i dibattiti, i candidati siano tenuti a dedicare lo stesso tempo alle tasse e alle spese. Ad esempio, mezz’ora sulla riduzione delle tasse, mezz’ora sulla riduzione delle spese. Per i trasgressori, si accenda immediatamente un semaforo rosso dietro le spalle, con tanto di segnalatore acustico e la scritta “alt, debito pubblico, chi tocca muore”.
11 comments
gino berto says:
Gen 14, 2013
Democrazia: il potere è del Popolo. Così dovrebbe essere, sempre. Di fatto viene consegnato ad un folto gruppo di politicanti che dovrebbe aiutare il Popolo a vivere meglio. Ed invece avviene tutto quello che David ha così ben descritto. E’ evidente il mostruoso conflitto di interessi fra gli eletti e gli Elettori. Gli Elettori chiedono meno tasse e più eque; gli eletti hanno sempre una scusa per aumentarle e sempre ai soliti deboli, rafforzando così caste e clientelismi. Gli Elettori chiedono una riduzione della spesa pubblica; gli eletti, nascondendo la mano, la mantengono e la aumentano, aumentando così il loro potere e la loro ricchezza. Gli Elettori chiedono di ridurre il branco di politici; gli eletti potranno mai agire contro se stessi? Ecco perchè la demagogia impera: il conflitto di interessi fra il potere e il Popolo lo impone.
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italyFromAbroad says:
Gen 14, 2013
Grazie David. Sperando di non far venire il mal di testa a nessuno. Aggiungo due importanti temi sul bilancio dello Stato dove “non si è fatto abbastanza”. Entrate. Si può rimodulare la tassazione, incoraggiando innovazione, produzione e scoraggiando rendita e stasi? Esempio: minore tassazione su redditi da lavoro e reddito d’impresa; maggiore tassazione su redditi da capitale e redditi immobiliari. Uscite. Si possono fornire migliori servizi pubblici spendendo di meno? (efficacia della Spesa Pubblica).
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spartaco says:
Gen 14, 2013
Io sono anche più drastico: obbligatorio per tutti parlare PRIMA di riduzione delle spese e POI di riduzione delle tasse.
Ne abbiamo le “tasche” piene delle promesse elettorali!
Sono i cttadini a dover decidere dove tagliare. E’ ora di finirla che, pur di salvare la politica, gli ospedali non hanno più farmaci e le scuole non hanno più gessi per scrivere sulla lavagna.
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filippo guidantoni says:
Gen 15, 2013
Nel mondo in cui noi professionisti, manager, imprenditori viviamo quotidianamente, chi ha poteri, ossia deleghe ad operare deve sempre rendere conto ai suoi azionisti privati o istituzionali, si parli di aziende quotate che non.
Ora, chi gestisce “l’azienda Italia” deve rendere conto agli elettori in base al confronto tra i risultati e le promesse; e si noti bene, non parlo di coerenza tra promesse e azioni ma tra promesse e risultati. Questo perchè per risanare un’azienda non bastano gli “sforzi” ma conta l’attitudine dei mezzi che si misura solo su quello che in altri ambiti si chiama “raggiungimento del budget”.
Semplice, banale ma efficace.
Altro punto: quando si vuole risanare un’azienda si parte dal taglio dei costi anche piccoli; il fatto che i costi della politica non rappresentino una cifra così elevata (rispetto a cosa poi?) è irrilevante. L’azienda per cui lavoro ha 300 Mlns./€ di cassa; sarebbe come dire che se sprechiamo qualche milione in divertimenti gli utili sono comunque alti…INACCETTABILE
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david pierantozzi says:
Gen 26, 2013
@ Filippo, benvenuto nel blog e grazie del tuo commento!
Poni l’accento su un tema importante: la gestione della “cosa pubblica” ahimè prescinde da qualsiasi basilare criterio di buona amministrazione.
Dovrebbe essere come dici tu: in campagna elettorale si enunciano degli obiettivi (e non delle promesse irrealizzabili), chi vince governa e viene rieletto o meno in funzione dei risultati conseguiti.
Questo meccanismo ineccepibile si inceppa spesso anche nelle imprese, soprattutto le PMI, dove l’appartenenza familiare e la fedeltà al capo oscurano molto spesso la gestione per obiettivi che tu descrivi. Ed ecco che alla logica del “merito” si sostituisce quella dei “diritti acquisiti” che rappresenta una vera piaga della nostra cultura di governo a tutti i livelli.
Da questo punto di vista, sottoscrivo un intervento dell’amico Giovanni su questo stesso blog: non è tutta e solo colpa dei politici, il cambiamento deve avvenire a partire da ciascuno di noi. Anche attraverso un esercizio più consapevole ed informato del diritto di voto.
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lorella pozzi says:
Gen 16, 2013
Da qualche anno la mia convinzione è che siamo un paese difficilmente “riformabile”, da qualsiasi rappresentanza politica che vinca le elezioni perchè numerose sono le “caste” che ogni partito deve tutelare sia all’interno della pubblica amministrazione che della società civile. Dovrebbero, a mio avviso, essere azzerati oltre ai vertici politici anche tutto il management pubblico (“nominato” da quest’ultimo). Come fare? Io non lo so.
Vi racconto questa mia ESPERIENZA”: nel mese di marzo 2011 partecipai ad un convegno organizzato in Bocconi dal Corriere della Sera sulla Situazione italiana e le condizioni per lo sviluppo economico (non ricordo esattamente il titolo del convegno ma lo stesso era stato realizzato anche nel 2010 e nel 2009). Erano presenti il Prof Monti, il Prof Bruni, l’ex Rettore Prof Targhetti ed altri, moderatore Dr F.De Bortoli. Ebbene, dopo l’introduzione di De Bortoli che sosteneva la non “governabilità” del nostro paese per motivi”antropologici” (tesi sostenuta in quei mesi sul giornale da lui diretto) seguirono le relazioni dei Professori che sostenevano all’unanimità che la ricetta per ridurre il debito pubblico e rilanciare lo sviluppo economico era di tagliare i costi complessivi della PA attraverso un’ampia riforma della struttura dello Stato e dall’altra di ridurre l’imposizione fiscale diretta. Tutti sostenevano anche che il governo Berlusconi non sarebbe riuscito in ciò e dichiaravano grosse perplessità sull’opposizione. A quel punto, uno studente presente in aula chiese la parola e dichiarò innanzitutto di non essere in grado di dire se questo o quel governo potesse “fare le riforme”, in secondo luogo, rivolgendosi ai Professori, chiese di sapere perchè non si “rendevano disponili al paese per risolvere la crisi”. Ci fu una risatina generale..
Nel mese di settembre 2011, ricorderete, fu nominato senatore a vita il Prof Monti e con un colpo di mano il governo Berlusconi” eletto democraticamente” fu rovesciato. Il Presidente della Repubblica nominò il governo dei tecnici presieduto dal Prof Monti.
Il seguito della storia la conosciamo tutti. Non aggiungo altro perchè andrei a scrivere solo tante parole negative.
Concludo esprimendo forte indignazione perchè oltre al “danno” anche la “beffa”: leggo su molti giornali e sento dire da alcuni politici, giornalisti e gente comune che i laureati in Bocconi non sono capaci di “fare i conti”, non sanno “prevedere”,etc
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gino berto says:
Gen 16, 2013
Gentile Lorella, la conclusione qual è? era meglio continuare con berlusconi?
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lorella pozzi says:
Gen 16, 2013
La conclusione è nelle prime cinque righe
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darius says:
Gen 22, 2013
Sappiamo che durante una campagna elettorale è più facile parlare di riduzione delle tasse piuttosto che riduzione della spesa pubblica. L’equazione che potrebbe balzare agli occhi di un elettore è: minore spesa pubblica, minori servizi. Non è sempre così perché nella spesa pubblica vi sono molte aree di disservizio e inefficienza; in una impresa privata capita che la penuria di risorse disponibili costringa a pensare su come tagliare le spese inutili e concentrarsi su ciò che è necessario.
Bene o male dovrebbe essere la finalità della spending review, vale a dire, meno risorse per tutti e cercare di trovare soluzioni migliori. Tutto facile, se non fosse che lobbies, corporazioni e interessi privati alla fine hanno la meglio e riescono a mantenere delle sacche di privilegio. Un capitolo emblematico è quello della moltiplicazione delle Authorities, quelle che servono a sistemare i compagni di ventura delusi, il cosiddetto “sottobosco politico”.
Qualche cosa si può fare, introdurre un po’ di privato nelle aziende pubbliche. E’ statisticamente dimostrato che una partecipata è più redditizia quando il privato vi partecipa, anche in posizione minoritaria (e non parliamo, attenzione, della privatizzazione e dismissione di servizi strategici).
E lo stesso dipendente pubblico, soprattutto il dirigente, deve essere responsabilizzato per le azioni sue e dei suoi sottoposti, con la possibilità di azioni disciplinari, pecuniarie, fino al licenziamento; non ci dovrebbe essere differenziazione di disciplina rispetto al settore privato.
Cose risapute ma come detto, le sacche di privilegio sono estremamente difficili da cancellare, il tutto a scapito della maggioranza dei cittadini.
Sull’immobiliare non mi accanirei ulteriormente, la tassazione è già molto elevata ma tasserei la pura speculazione, come quella di rendere edificabili le aree agricole quando ciò non risponde ad una reale esigenza. IMU duplicata di anno in anno su capannoni costruiti e mai utilizzati, soprattutto quando nei dintorni ve ne erano di sfitti da anni.
Nel loro intimo, all’ombra di telecamere e cronisti, i politici sanno cosa occorra fare anche se durante una campagna elettorale le parole ufficiali più usate sono: “riqualificazione” e “ riduzione” della spesa pubblica: non si entra nel dettaglio per non scombussolare gli animi. Il che vuol dire mantenere uno status quo. Basterebbero due parole d’ordine: lotta vera alla corruzione e tagli alla spesa inutile.
Parole semplici ma la difficoltà rimane la volontà di applicarle.
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igor leone says:
Gen 26, 2013
Secondo me, il problema é dato dal sistema elettorale in generale.
Per farsi eleggere bisogna prima di tutto convincere le persone a farsi votare e per fare ciò bisogna trovare cosa gli elettori vogliono.
Se tutti fossero come David e come voi, effettivamente ci sarebbero dibattiti su come abbassare i costi di funzionamento dello Stato, come migliorare la produttività del paese o come attrarre nuovi investimenti.
Sfortunatamente la maggior parte della popolazione vuole solo sapere quanti soldi gli sono prelevati oggi (domani é un’altro giorno…): vediamo quindi un’escalation di promesse elettorali tutte più improbabili le une delle altre, ma che fanno si che i voti si spostino da destra a sinistra, passando per il centro ovviamente…
L’uomo politico non ha bisogno di trovare vere soluzioni, ma solo fare tante belle promesse (grazie ai sondaggi, sanno cosa la gente vuole, sanno che é inutile promettere qualcosa che é apprezzato da 2% della popolazione, quando possono toccarne il 50% semplicemente promettendo meno tasse).
Quello che decide di parlare dei veri argomenti, del fatto che abbiamo vissuto tutti con soldi che non c’erano per anni, del fatto che per “fottersene dello spread” bisogna prima di tutto rimborsare i debiti, del fatto che per tenere le industrie in Italia bisogna aumentare la produttività (e/o attaccare solo mercati ad alto valore aggiunto) e che per fare tutto questo ci vuole tempo, ci vogliono sacrifici e ci vuole una revisione completa non solo del sistema paese, ma anche della mentalità della gente, beh quel politico ha semplicemente perso in anticipo.
Se poi decide di fare belle promesse solo per farsi eleggere e poi mette in pratica i cambiamenti radicali di cui c’é talmente bisogno, prima di tutto sarebbe un bel bugiardo e poi dovrebbe trovare un altro lavoro perché non sarebbe più rieletto…
E’ questo il nostro sistema “democratico” ?
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david pierantozzi says:
Gen 26, 2013
@Igor, innanzitutto benvenuto nel blog! E grazie per lo stimolante contributo.
E’indubbiamente vero quello che dici. Chi ha il coraggio (e la competenza) per dire la verità, è quasi automaticamente condannato alla impopolarità. Così era stato per decenni anche nella Prima repubblica, dove non erano mancate alcune serie e lungimiranti voci di dissenso rispetto alle culture dominanti (cattolica e comunista), rimediando al massimo il 4 / 5% dei voti.
Ora il problema è: che fare? Rassegnarsi a questa cruda realtà e chiudersi in un proprio eremo di delusione e rassegnazione?
Noi vogliamo tentare una strada diversa: attraverso il confronto e la condivisione delle idee, attraverso lo scambio di esperienze e competenze, cerchiamo di dare un piccolo contributo allo sviluppo di una coscienza critica che è condizione NECESSARIA e FONDAMENTALE per evitare di cadere nella rete degli imbonitori, delle ideologie e dei populismi di ogni tempo, colore e bandiera.
Lavoro lungo e difficile, certo. Ma da qualche parte bisogna pur cominciare!
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