In questi anni si è assistito al nascere di professionalità ibride. Questo fenomeno è evidente nel sistema bancario e finanziario internazionale. Un tempo era dominato dai laureati in economia, oggi vede una vasta partecipazione di ingegneri, fisici, matematici, chimici, biologi, psicologi, sociologi, spesso con titoli e curriculum di alta caratura.

Non stupisce questa tendenza: come già evidenziato in questo blog, i ricercatori fanno la fame, ma un risk manager che lavora per una grossa banca vive nel benessere. Tuttavia, sono meno chiare le conseguenze sistemiche della tendenza in atto. Infatti, mentre eserciti di scienziati gareggiano alla ricerca di un modello più preciso per prevedere il mercato finanziario, l’umanità è affamata di importanti scoperte, per esempio nell’ambito delle energie alternative o nei farmaci che curano senza creare dipendenza e con poco costo.

Nel frattempo, vi è una crescente necessità di controllo sul sistema finanziario e più in generale sull’industria  privata; si pensi per esempio ai prodotti alimentari, l’uso di pesticidi e di additivi, o le sementi geneticamente modificate. Controlli che sono lasciati a strutture pubbliche minute con modesti finanziamenti e che non riescono a tenere il passo con l’abbondante produzione d’innovazione del settore privato. Ne consegue che le industrie riversano sul mercato prodotti innovativi i cui effetti di lungo periodo non sono chiari.

Alla luce di quanto detto, mi chiedo se, ad esempio, un fisico nucleare che studia se il prezzo di un opzione dovrebbe essere 44.20 dollari o 45.35 dollari offre all’umanità un servizio equiparabile alla ricerca sull’atomo e su tutte le possibili ramificazioni positive o negative che la fisica applicata potrebbe avere sul futuro dell’umanità.

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