Ho il piacere di presentare una nuova sezione del Lab dedicata alla finanza. Urge una precisazione: non tratteremo dell’Alta Finanza di Wall Street, nè della Finanza Pubblica, più o meno creativa, di questo o quel ministro. La finanza alla quale qui ci riferiamo è la cosiddetta “finanza personale”, quella che riguarda tutti noi quando abbiamo il problema di come investire i nostri risparmi Intendiamoci, non si tratta di consigli diretti di investimento; piuttosto, desideriamo condividere alcuni ragionamenti e conoscenze che – speriamo – possano essere utili per assumere decisioni più consapevoli. Il coordinamento della nuova pagina è affidata alla profonda competenza di Filippo Guidantoni, membro della redazione del Lab e stimato professionista in questo settore. Lascio dunque la parola a Filippo per un primo contributo che affronta il tema dei fondi comuni di investimento. Invito tutti ad utilizzare lo spazio dei commenti per porre a Filippo tutte le eventuali domande, curiosità e dubbi che dovessero sorgere! (David Pierantozzi).

 

fondi2Cos’è il fondo comune di investimento? L’articolo 1 del TUF lo definisce così: “un patrimonio autonomo, suddiviso in quote di pertinenza di una pluralità di partecipanti e gestito in monte”. In altre parole, si tratta di denaro raccolto presso i risparmiatori ( i c.d. “sottoscrittori”) e successivamente investito in “titoli mobiliari”, come ad esempio azioni, obbligazioni private o titoli di Stato. I titoli rappresentano il “patrimonio indiviso del fondo” di cui ogni investitore detiene un certo numero di quote in base al capitale conferito. La gestione del fondo è affidata a società di gestione in cui operano professionisti che mirano a proteggere e incrementare il denaro affidatogli, acquistando e vendendo i titoli nell’ambito della politica di investimento stabilita dal regolamento del fondo stesso.

Il fondo comune di investimento rappresenta davvero una valida opzione anche per il piccolo risparmiatore? Personalmente ritengo di sì. La scelta del fondo presenta, infatti, alcuni evidenti vantaggi:
1. permette di diversificare il portafoglio anche con cifre limitate (il minimo è di solito pari ad € 1.500);
2. permette all’investitore di raggiungere mercati solitamente poco familiari (per un italiano, pensiamo all’Asia, agli Stati Uniti o ad investimenti tematici come materie prime o settori merceologici specifici);
3. se ben gestito, ha una reattività maggiore al cambiamento dei mercati rispetto a quanto possa fare un singolo investitore non professionista;
4. gode di alcuni vantaggi fiscali in merito alla tassazione delle rendite finanziarie (che ricordo dal 1 luglio passeranno dal 20 al 26%).

Sono tuttavia necessarie alcune avvertenze per non restare delusi o “scottati”. In primis, non dobbiamo dimenticare che il fondo di investimento quasi sempre investe in una specifica “categoria di mercato” (esempio: azionario Italia piuttosto che America o Paesi Emergenti) e che quindi comunque si muoverà inevitabilmente in relazione al mercato di riferimento. Pertanto, è opportuno avere in portafoglio quei fondi che, in un determinato momento storico, sono legati ai mercati maggiormente performanti (ad es. in questo periodo l’azionario Italia rispetto ai mercati Emergenti). Altri aspetti di criticità nella scelta e nella valutazione di un fondo riguardano la capacità del gestore ed i costi di gestione, composti da diverse tipologie di commissione. Tutti elementi non banali, che possono determinare il successo o meno dell’investimento, e possono trovare un utile supporto in una consulenza qualificata. Avremo comunque modo di fornire alcune indicazioni pratiche in prossimi contributi, in particolare sui criteri per valutare la validità di un fondo.

 

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