estero1Tornando settimana scorsa da Mosca, ho avuto modo di conversare in aereo con un professionista molto quotato sulla scena internazionale. Un architetto prestigioso, o come li chiamano adesso, un archistar. Vorrei qui condividere alcuni passaggi della piacevole conversazione e fare alcune considerazioni. Ho iniziato facendogli i complimenti per il suo ultimo prestigioso incarico in Russia. Dopo avermi illustrato gli altri 3-4 progetti internazionali in cui era coinvolto, la domanda è caduta su: e in Italia, che cosa stai facendo? Eravamo più o meno sopra lo spazio aereo dell’Ucraina… e si è comunemente deciso di soprassedere alla domanda. Di fatto il quadro economico italiano è quello che tutti noi conosciamo. Le cose da fare sono ormai note, serve intervenire. Ma su questo, nonostante il ciclone mediatico/operativo di quest’ultimo Governo, rimango tendenzialmente scettico. Così siamo passati alla seconda domanda, conseguenza della prima: con questi chiari di luna in Italia, le aziende italiane che vanno all’estero come si stanno muovendo? Anche in questo caso, la fotografia riporta dei chiari e scuri. C’è sicuramente tutto il bagaglio della fantasia, intraprendenza. In alcuni casi, ma sono rari e spesso sopravvalutati, della pura genialità.

E allora perché le aziende tedesche, con prodotti di pari livello a quelli italiani, con dirigenti sicuramente più grigi e meno fantasiosi, alla fine riescono ad avere molti più successi su gran parte dei mercati internazionali, rispetto ai loro competitors italiani? Il mio interlocutore mi propone una teoria: se devi mandare avanti un cantiere ed hai un solo italiano che lo segue, avrai buone probabilità di ottenere un successo. In un cantiere, anche con la migliore progettazione a monte, trovi sempre 100 imprevisti nella fase esecutiva. L’italiano non si arrende. Si ingegna e ti risolve il problema. L’opera sarà realizzata in modo conforme, i tempi saranno rispettati. Ottimo. Se però, continua l’architetto mio compagno di volo, a gestire il cantiere hai 10 italiani, fra loro colleghi, è la fine! Nessuno prenderà l’iniziativa, la responsabilità sarà condivisa in modo incerto. Ed il cantiere si blocca.

In modo speculare, il cantiere a guida monocratica tedesca soffrirà la gestione di tutti i problemi non previsti in fase di progettazione. Ma il cantiere governato da un team a guida tedesca, avrà una suddivisione dei ruoli logica e una chiara identificazione dei responsabili (ricordo che siamo il paese dove un Comandante di una nave, che prima la fa affondare e poi l’abbandona, sta ancora dialogando sulle reali responsabilità dell’accaduto…). Siccome il progetto di internazionalizzazione (chiamiamolo il “cantiere”) è per sua natura molto complesso, e gli attori necessari sono molti più del singolo (per quanto intraprendente) operatore italiano medio, si inizia un po’ a capire il nanismo tipico degli operatori italiani. E soprattutto, essendo materia di mio interesse professionale da tanti anni, si capisce perché le aziende italiane in grado di raccogliere la sfida dei mercati internazionali, sono 1/100 di quelle che provano a svilupparsi internazionalmente.

Morale della storia: come ben spiega il modello tedesco, in un progetto complesso come l’internazionalizzazione conta di più una corretta pianificazione, che l’intraprendente improvvisazione. Le forze in campo sono numerose e vanno governate, ma soprattutto vanno valorizzate! Anche il migliore solista (e ribadisco la pericolosa abitudine dell’imprenditore italiano a sopravvalutare le sue capacità) è niente senza il resto dell’orchestra. Ecco, la mia opinione è questa. L’imprenditore italiano fa il solista, non investe sul resto dell’orchestra. Non prevede budget per i fiati, il coro, la scenografia: si improvvisa lui e “mal che vada, ho risparmiato sui collaboratori…”. Ma un solista violinista che si improvvisa pianista farà un concerto pessimo. E la sala sarà sempre più vuota.

 

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