renzinoTanto tuonò che piovve. Dopo i roboanti annunci della vigilia, ecco il piano del Governo per il rilancio economico. Il neo premier, al battesimo del suo primo vero atto politico sul palcoscenico nazionale, spariglia le carte della paludata politica romana e mette in campo dieci miliardi per rimpinguare le buste paga di dieci milioni di italiani (sotto i 25 mila euro di reddito lordo annuo). L’istrionico primo ministro, accusato dai suoi di essere una sorta di epigono berlusconiano, spiazza tutti con una manovra che più socialdemocratica non si potrebbe: riduzione della tassazione per i redditi più bassi e contemporaneo aumento della tassazione delle rendite finanziarie (dal 20 al 26 per cento). Come sempre, gli animi sono divisi. I sostenitori vedono in questa prima impronta un tentativo di dare slancio e concretezza ad una ripresa dei consumi interni, depressi da tutto quanto già sappiamo. I detrattori interpretano questa iniziativa come una mancetta pre-elettorale, priva di una visione di medio termine ed indice di una politica demagogica ed improvvisata.

Che si privilegi l’una o l’altra versione interpretativa, il fatto incontestabile che emerge è il posizionamento del mondo produttivo nella seconda fila delle attenzioni governative: riduzione del 10% dell’Irap (troppo poco, visto quello che l’imposta più odiata rappresenta per chi fa impresa), alleggerimento di 14 miliardi del costo della bolletta energetica per le imprese, sblocco del pagamento di altri 68 miliardi di debiti della P.A. ed un irrobustimento del fondo di garanzia per le PMI  nella lotta alla stretta creditizia. Rispetto agli interventi sul lavoro dipendente, certamente una proposta più blanda, pur riconoscendosi un primo segnale di presa d’atto dei problemi. Si vedrà in seguito se verranno messi in campo seri programmi di politica industriale o manovre a sensazione anche per le imprese. In ogni caso, restiamo in attesa delle rassicurazioni circa le coperture finanziarie, ancora oggi particolarmente incerte (vedasi il balletto di cifre ricavabili dai risparmi della spending review, rimbalzato sui media in questi giorni).

Concludendo, il primo voto che possiamo attribuire al governo Renzi è un 6 di incoraggiamento, non credendo completamente alla versione politologo Sartori, che ha definito il premier “un peso piuma malato di velocismo”. Non avrà, ancora o mai, la stoffa del grande statista, il suo approccio irritualmente piacione ne attira le irridenti critiche di molti, ma non possiamo non rilevare come un fatto positivo la presenza sulla scena di un politico inedito, con l’urgenza del tempo nelle vene, con la consapevolezza che si deve tentare la via di un’ambiziosa discontinuità col passato, per stoppare la discesa ed invertire la tendenza, qui ed ora.

 

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