E’ il minimo sindacale. Il primo, vitale, banco di prova per il Governo Renzi (ma soprattutto per il Paese) è la riduzione del cuneo fiscale di almeno 10 miliardi. Veramente, per essere precisi, i miliardi di taglio necessari che gli economisti hanno calcolato per consentire all’Italia di avvicinarsi alle proporzioni tedesche sarebbero circa 25. Obiettivo irraggiungibile, almeno nel breve periodo. E allora accontentiamoci di 10: concentrandoli sui redditi più bassi, dovrebbero portare un beneficio immediato nelle tasche dei lavoratori di un ammontare (pare) nell’intorno dei 500 euro all’anno. Sempre meglio dei 14 al mese racimolati dal governo Letta.

Sull’obiettivo, tutti d’accordo. Ma come e dove reperire le risorse? Ci sarebbero i primi 5 / 8 miliardi del piano di spending review di Cottarelli, possibili (pare) già nel 2014. E poi circa 1 miliardo (oltretutto incerto) dell’aumento della tassazione delle rendite finanziarie sui titoli di Stato dal 12,5 al 20%. Tuttavia, queste magre risorse sarebbero già “opzionate” per finanziare la prossima tranche del rimborso dei debiti della pubblica amministrazione, secondo il piano già tracciato dal governo Letta. Una voce di spesa che viene considerata (giustamente) intoccabile. La coperta insomma è davvero corta, e la notte è gelida.

E allora che fare? Personalmente, credo che sarebbe una buona idea riprendere dal cassetto il “piano Giavazzi”: si tratta di una proposta articolata per ridurre proprio di 10 miliardi gli incentivi che lo Stato annualmente eroga alle imprese. Attenzione: come lo stesso Giavazzi ha ben argomentato, il totale dei finanziamenti erogati supera abbondantemente i 30 miliardi. Di questi, almeno 10 sarebbero di scarsa o ambigua utilità, erogati per lo più ad imprese a partecipazione pubblica o a settori non strategici, al punto che la stessa Confindustria si era detta favorevole ad una loro soppressione. Dunque, mi pare che ci siano tutte le condizioni per poterlo fare. Anzi mi chiedo: come mai questa proposta concreta è rimasta nel cassetto per due anni, da quando Monti commissionò lo studio? Difficile non sentire odor di clientele e pressioni consociative all’italiana.

Qualcuno obietta che potrebbe non esserci precisa coincidenza di tempi tra i provvedimenti di riduzione del cuneo (e dunque delle entrate fiscali) e la chiusura dei rubinetti di spesa, con la conseguenza di “sforare” il mitico rapporto del 3% tra deficit e PIL. Su questo punto, la mia personale opinione, come ho già avuto modo di affermare, è abbastanza secca: si proceda e basta. Se aspettiamo di avere un timing perfetto tra entrate e uscite, cioè l’approccio seguito dal governo Letta, non usciremo più dalle sabbie mobili. A questo punto, meglio sforare il 3% di qualche frazione di punto ed affrontare le conseguenze. Verrà aperta una procedura di deficit eccessivo, ma intanto i cittadini avranno in tasca qualche soldino in più. Andremo in Europa a trattare, cercando di essere abbastanza fermi e credibili per spuntare una proroga, come d’altronde hanno fatto Spagna e Francia. E se loro l’hanno ottenuta, perché noi no?

 

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