E’ mancato un grande uomo. Lunedì abbiamo toccato su questo blog il tema del coraggio: di non cedere alle avversità, all’ingiustizia, all’angoscia. Anche quando tutto sembra remare contro. Anche quando ci sentiamo dentro una prigione di cui non si intravvede la via d’uscita. La poesia che segue è stata scritta dal poeta inglese William Henley sul letto di un ospedale. Nelson Mandela rivelò di averla recitata spesso per alleviare gli anni della sua progionia durante l’apartheid. Da leggere come un ricordo, come una preghiera. Ciao Madiba.

 

Out of the night that covers me,
Black as the Pit from pole to pole,
I thank whatever gods may be
For my unconquerable soul.

In the fell clutch of circumstance
I have not winced nor cried aloud.
Under the bludgeonings of chance
My head is bloody, but unbowed.

Beyond this place of wrath and tears
Looms but the Horror of the shade,
And yet the menace of the years
Finds, and shall find, me unafraid.

It matters not how strait the gate,
How charged with punishments the scroll.
I am the master of my fate:
I am the captain of my soul.

 

Dal profondo della notte che mi avvolge,
nera come un pozzo da un polo all’altro,
ringrazio qualunque dio esista
per la mia anima invincibile.

Nella feroce morsa delle circostanze
non ho arretrato né gridato.
Sotto i colpi d’ascia della sorte
il mio capo è sanguinante, ma non chino.

Oltre questo luogo d’ira e lacrime
incombe il solo orrore delle ombre,
e ancora la minaccia degli anni
mi trova e mi troverà senza paura.

Non importa quanto stretto sia il passaggio,
quanto piena di castighi la vita,
io sono il padrone del mio destino:
io sono il capitano della mia anima.

 

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