“Alla fine la legge vale per tutti, anche per i re delle slot machines e i loro distratti controllori”. Così un giornale commentava, nel febbraio 2012, la multa di 2,5 miliardi di euro comminata dalla Corte dei Conti ai dieci concessionari di questo gioco d’azzardo. Una dura battaglia legale che durava da 5 anni. Una cifra ragguardevole, ma comunque molto inferiore ai 98 miliardi di danni calcolati inizialmente dalla Guardia di Finanza, basati su penali contrattuali per mancati collegamenti delle slot machines al sistema informatico centrale dei monopoli nel periodo 2004-2006.

Ma i re sono tali e non devono rendere conto al popolo. Aiutano le dissanguate casse statali e danno da lavorare a migliaia di persone (mica vorremo lasciarle a casa, si dirà). Qualcuno di loro è stato discusso per la contiguità con ambienti “poco trasparenti” o per aver al di là dell’Atlantico la propria sede, nascosto tra sperdute isolette abbellite da barriere coralline? Peccati veniali. La loro funzione sociale è comunque universalmente riconosciuta e solo i malevoli dicono che rovinano le famiglie. Ludopatia, termine oscuro.

Il prode Letta ha colto tutto ciò e si è detto: perché vessarli con questa multona? Non sia mai! E allora, limitiamoci ad una mini sanzione di soli 500 milioni di euro, con un bel condono inserito in una piega del decreto legge sull’IMU. Particolare curioso, è più o meno la cifra che gli operatori del settore e i loro legali si aspettavano 2 anni fa, prima della sentenza della Corte dei Conti.

I re hanno alla fine concesso l’elemosina al popolo affamato. Non sono certo allo stesso livello di un comune cittadino, al quale nulla è perdonato. Ci eravamo cascati tutti. Ora possiamo riprendere quel pezzo di febbraio 2012 e chiuderlo con un appropriato: “hanno tutti scherzato: a loro piace giocare!”

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