L’obiettivo è navigare a vista, in attesa che passi la tempesta o che qualcuno stacchi la spina. Questo è il destino del governo Letta, che, a dispetto dell’incrollabile ottimismo e dei toni rassicuranti del premier, vive la fibrillazione ed il contrasto quotidiano delle sue varie anime. L’incapacità del centrodestra di guardare oltre il berlusconismo, o almeno di farlo alla luce del sole, e le eterne contraddizioni di un centrosinistra spacchettato in correnti, consegnano al Paese un esecutivo raccogliticcio, senza respiro e senza futuro.

Emblematica è la vicenda dell’abolizione dell’Imu sulla prima casa, venduta agli italiani non solo come incentivo alla ripresa economica, ma anche, udite udite, come una vittoria dell’equità e della giustizia sociale. Peccato che, finite le conferenze stampa di annuncio trionfalistico, siano in pochi a spiegare che quasi certamente pagheremo più acconti su imposte dirette ed Irap già da novembre, perderemo le detrazioni fiscali sulle polizze vita e probabilmente aumenteranno le accise sui carburanti (ergo, altre tasse). Tutto questo solo per la copertura della prima rata di giugno, mentre per compensare le minori entrate del saldo di dicembre sia tutto avvolto nella nebbia. La copertura a regime per il 2014 è invece affidata alla nuova service tax, sui presupposti della quale regna la vaghezza, quando non la reticenza e l’imbarazzo. Chi vivrà vedrà, forse il Governo neanche ci sarà più. Nel frattempo, il banco vince sempre.

A conti fatti, aver onorato questa cambiale elettorale costerà due miliardi di euro, una parte dei quali si sarebbero potuti recuperare con il mantenimento di un prelievo Imu sulle prime abitazioni di pregio: avrebbe significato maggiore equità, oltre che essere in linea con quanto succede nel resto del mondo civile. Nel frattempo gli enti locali, cui l’Imu è necessaria per quadrare il cerchio, brancolano nel buio per chiudere i loro bilanci di previsione, facendo i conti con risorse sempre più esigue. La tendenza generale è quella di spostare a livello periferico un crescente potere di imposizione fiscale ed il conseguente carico di impopolarità politica, obbligando di fatto i Comuni all’accorpamento di più balzelli in tributi unificati. Il fenomeno ricorda, per quest’ultimo aspetto, quanto succedette nel 1998, quando furono soppresse sette imposte e ne venne istituita una nuova, la più odiata da imprese e professionisti: l’Irap.

Ciò che pare ormai consolidato è la totale assenza di un progetto strategico di politica economica e fiscale per le imprese ed il mondo produttivo. La crescita economica è una chimera affidata agli studi di macroeconomia ed alle dichiarazioni del ministro Saccomanni, che forse vive l’operatività di altre galassie: nella pratica, non si scorge nessuna misura con orizzonte di medio termine che consenta di rischiare, investire ed assumere. D’altronde, pretendere oggi dal duo Letta – Alfano l’elaborazione di una linea d’azione condivisa, con i pressanti vincoli di bilancio a cui siamo costretti, è come chiedere ad una coppia di coniugi, sull’orlo della separazione e con le tasche vuote, di programmare insieme le vacanze estive.

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